martedì 29 luglio 2008

I "diversi" secondo Anna Maria Ortese

IN DIFESA DEI CERCATORI D'IDENTITA' E D'ANIMA

“Oggi si dà alla parola diverso una dimensione fisica o psichica limitata alla sfera affettiva, personale. I veri diversi, per mia esperienza, sono altri, e sono di sempre: sono i cercatori d’identità, propria e collettiva, e nazionale, e d’anima. Coloro che videro il cielo, che mai lo dimenticarono, che parlarono al disopra dell’emozione, dove l’anima è calma. Che non credono, o credono poco, ai partiti, le classi, i confini, le barriere, le fazioni, le armi, le guerre. Che nel denaro non hanno posto alcuna parte dell’anima, e quindi sono incomprabili. Quelli che vedono il dolore, l’abuso; vedono la bontà o l’iniquità, dovunque siano, e sentono come dovere il parlarne. I cercatori di silenzio, di spazio, di notte, che è intorno al mondo, di luce che è intorno al cuore. Questi diversi, che vorrebbero semplicemente dare il senso del segreto umano, e trovare, o indicare, il rapporto di dovere tra vita e vita, non dovrebbero, io penso, essere considerati scrittori moralistici o politici. Ma è quello che si fa, quando non hanno difesa di confratelli, e lo spazio per loro, nel paese, va vertiginosamente rimpicciolendo. È quello che si fa, se non hanno denaro proprio e, ripeto, sono fragili. A loro la vita viene sottratta con la sottrazione dell’altro – che ora parla altra lingua! E quando vorrà mostrare a che cosa, nel suo paese, e sotto gli occhi di tutti, sia ridotta la vita – discarica e ammazzatoio, dopo allevamento e oscuramento – lo si indicherà come guastatore e visionario. E del resto, poco per volta, facendo scendere su di lui, per ogni libro, la cappa del silenzio o, alzando i megafoni della distorsione, gli saranno tolti lecito guadagno e quella sempre sperata indipendenza; e sotto la spada della dipendenza, condotto a un cortile, un luogo di servitù e di silenzio dove vivono le minoranze – che impediscono gli affari – di tanti paesi, a lui toccherà, con l’indebolimento, un ben strano destino. Di credersi il peggiore e trovarsi, alla fine, dopo mille convulsioni di speranza e di dolore, d’accordo con quanti lo spinsero via e persuasero di essere un sognatore, con nulla o quasi da dire. E forse il castigo, forse non castigo – reale sanzione del nulla a coloro che onorarono la maestà del vivere e patire terreno -, fu l’indurli a credere che non vi era maestà del vivere e del patire. Che la vita, semplicemente, onorava il «buon senso»: e il trionfo del «buon senso» su una qualsiasi fede, il piede pressato freddamente sul cuore del vinto, era in realtà tutto ciò che agli onesti, ai normali, Dio richiedeva”.


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