di Domenico Condito
L’Italia vive come in esilio, lontano dal suo vero “luogo”, dove la civiltà del Rinascimento aveva indicato al mondo l’orizzonte della modernità. Un paese ormai inconoscibile, scriverebbe ancora Anna Maria Ortese, in cui la degradazione è la dea del momento. Un patrimonio millenario di convenzioni e memoria delle convenzioni, di lingua e linguaggio del passato, mandato al macero, immolato alla dea della separazione, del distacco, dell’inconoscibilità.
Viviamo ormai in un paese estraneo, senza averne neppure la consapevolezza. Un po’ per mancanza di senso critico; forse anche per la grandezza della catastrofe. È il declino della “civiltà italiana”, e “ogni civiltà stremata – scriveva E. M. Cioran – aspetta il suo barbaro, e ogni barbaro aspetta il suo demone”. Ed eccoli i nuovi barbari, giunti dal profondo nord, fare razzia di memoria, simboli, identità, i “luoghi dell’anima” sui quali avevamo costruito nei secoli il senso fondante d’una identità comune.
La Lega Nord è tutto questo. Il disprezzo dell’italianità, l’orrore della memoria nazionale, la disgregazione del paese sono le ragioni fondanti della sua storia politica. E la secessione geografica, solo momentaneamente accantonata per puro calcolo strategico, è perseguita in realtà attraverso un’ampia e sistematica destrutturazione dei “simboli” comuni. Primi fra tutti, la lingua e il linguaggio. Scriveva Anna Maria Ortese: “Lingua e linguaggio; e memoria di lingua e linguaggio del passato; e degli affetti, i pensieri, i dolori delle passate generazioni, altro non sono lo sappiamo, che identità di nazione. Dunque libertà nazionale. E comincia con l’imposizione di un linguaggio, oppure, al contrario, con la distruzione sistematica del linguaggio originale di un paese – su cui si voglia agire in profondità; comincia con questa aratura imponente del suolo umano qualsiasi seria operazione di colonizzazione”.
In Italia si parlava una lingua alta. Il pensiero che in essa è nato ha aperto l’era moderna, e ad esso il mondo occidentale deve lo stesso concetto di “civiltà”. L’irruzione della Lega Nord sulla scena nazionale ne ha distrutto la grammatica, frammentato la sintassi, disperso il pensiero; i barbari, appunto, la tardiva progenie dell’oscurantismo medievale in Val Padana. E la distruzione e la disintegrazione della sintassi di un popolo ne segnano inevitabilmente il declino, la ricollocazione in una dimensione primigenia, l’esilio dalla modernità.
Il dileggio del tricolore, l’esposizione minacciosa del cappio in Parlamento, le invettive sprezzanti contro gli extracomunitari, la minaccia del ricorso ai fucili per la risoluzione delle controversie politiche, la pietosa esternazione canora del leghista Matteo Salvini contro i napoletani, fino all’invito a fischiare i bambini rom che avrebbero sfilato in campo prima della partita Inter – Barcellona, sono tutte cadute del linguaggio a livello di gergo, intimidazione, beffa, cinismo. Degradazione della forma, ma anche naufragio del pensiero. Il tradimento di quell’idea di “civilta” alla quale abbiamo ancorato la nostra storia, ma dalla quale oggi siamo irrimediabilmente esclusi dalla barbarie leghista, volgarità al potere.
Viviamo ormai in un paese estraneo, senza averne neppure la consapevolezza. Un po’ per mancanza di senso critico; forse anche per la grandezza della catastrofe. È il declino della “civiltà italiana”, e “ogni civiltà stremata – scriveva E. M. Cioran – aspetta il suo barbaro, e ogni barbaro aspetta il suo demone”. Ed eccoli i nuovi barbari, giunti dal profondo nord, fare razzia di memoria, simboli, identità, i “luoghi dell’anima” sui quali avevamo costruito nei secoli il senso fondante d’una identità comune.
La Lega Nord è tutto questo. Il disprezzo dell’italianità, l’orrore della memoria nazionale, la disgregazione del paese sono le ragioni fondanti della sua storia politica. E la secessione geografica, solo momentaneamente accantonata per puro calcolo strategico, è perseguita in realtà attraverso un’ampia e sistematica destrutturazione dei “simboli” comuni. Primi fra tutti, la lingua e il linguaggio. Scriveva Anna Maria Ortese: “Lingua e linguaggio; e memoria di lingua e linguaggio del passato; e degli affetti, i pensieri, i dolori delle passate generazioni, altro non sono lo sappiamo, che identità di nazione. Dunque libertà nazionale. E comincia con l’imposizione di un linguaggio, oppure, al contrario, con la distruzione sistematica del linguaggio originale di un paese – su cui si voglia agire in profondità; comincia con questa aratura imponente del suolo umano qualsiasi seria operazione di colonizzazione”.
In Italia si parlava una lingua alta. Il pensiero che in essa è nato ha aperto l’era moderna, e ad esso il mondo occidentale deve lo stesso concetto di “civiltà”. L’irruzione della Lega Nord sulla scena nazionale ne ha distrutto la grammatica, frammentato la sintassi, disperso il pensiero; i barbari, appunto, la tardiva progenie dell’oscurantismo medievale in Val Padana. E la distruzione e la disintegrazione della sintassi di un popolo ne segnano inevitabilmente il declino, la ricollocazione in una dimensione primigenia, l’esilio dalla modernità.
Il dileggio del tricolore, l’esposizione minacciosa del cappio in Parlamento, le invettive sprezzanti contro gli extracomunitari, la minaccia del ricorso ai fucili per la risoluzione delle controversie politiche, la pietosa esternazione canora del leghista Matteo Salvini contro i napoletani, fino all’invito a fischiare i bambini rom che avrebbero sfilato in campo prima della partita Inter – Barcellona, sono tutte cadute del linguaggio a livello di gergo, intimidazione, beffa, cinismo. Degradazione della forma, ma anche naufragio del pensiero. Il tradimento di quell’idea di “civilta” alla quale abbiamo ancorato la nostra storia, ma dalla quale oggi siamo irrimediabilmente esclusi dalla barbarie leghista, volgarità al potere.
1 commento:
Excelente post!
Como é possível?!...
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