martedì 4 agosto 2015

Benigni: “Vaffanculo alla maggioranza”

Ragioni culturali e politiche dell’unica opzione veramente laica e libertaria possibile oggi in Italia.

di Domenico Condito

Simone Weil ci ha insegnato che la più grande causa dell’oppressione sociale è l’esistenza di privilegi. In Italia il più grande dei privilegi è quello dell’impunità garantita agli uomini di potere, che oggi sancisce di fatto la diseguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Si tratta dell’attacco più grave mosso alla libertà e allo stato di diritto del nostro Paese negli ultimi sessant’anni. Una condizione creata ad arte nell’era “berlusconiana” attraverso le leggi ad personam e i decreti governativi che la coalizione di centrodestra ha approvato “in nome del popolo sovrano”, godendo di fatto del consenso della maggioranza degli italiani. Una condizione che si tende a consolidare nell’era “renziana” con la stretta sulle intercettazioni, con il voto del Senato che salva dall'arresto il sen. Azzolini, o la proposta dell’istituto del silenzio-assenso tra amministrazioni pubbliche, quando si tratta di esprimere pareri o concedere autorizzazioni per opere in aree vincolate. Un provvedimento, quest’ultimo, che di fatto, se approvato, andrà a legalizzare operazioni speculative di pochi privilegiati in aree di pregio paesistico e storico-culturale, che potranno essere cementificate dopo i 60 giorni dalla richiesta del parere, un tempo spesso insufficiente per il pronunciamento degli esperti. 
La verità, come scriveva Simone Weil, è che “i potenti, siano essi sacerdoti, capi militari, re o capitalisti, credono sempre di comandare in virtù di un diritto divino; e quelli che sono loro sottomessi si sentono schiacciati da una potenza che pare loro divina o diabolica, in ogni caso soprannaturale. Ogni società oppressiva è cementata da questa religione del potere, che falsifica tutti i rapporti sociali permettendo ai potenti di ordinare al di là di ciò che possono imporre”.
Succede nel nostro Paese, dove il senso dell’oppressione dei cittadini è come sublimato in una sorta di “consacrazione”, sottomissione cieca e assoluta, all’uomo o alla donna della provvidenza, siano essi capo del governo, presidente di regione o sindaco. È questa naturale propensione del popolo italiano all’autoflagellazione, al delirio “mistico” collettivo, già conosciuta in epoca fascista, che spiega il consenso acritico della “maggioranza” dei cittadini al potere politico e ai suoi leader di turno. Tanti “iman cristiani” a capo delle congreghe del “bene” contro il “male”, della “verità” contro le “falsità” dei loro presunti detrattori, sempre da screditare perché beceri, faziosi e invidiosi, assumendo una terminologia più prossima al linguaggio di una “setta” che non a quello di un pensiero politico civile e moderno. Ed è una maggioranza di “adepti”, di fondamentalisti, quella che garantisce al suo “capo religioso” quell’uso criminoso del potere che nessun consesso civile in Occidente è disposto a riconoscere a qualsivoglia leader politico o capo di governo o sindaco.
Può succedere, allora, che un sindaco qualsiasi del bel paese, a nord o a sud, realizzi delle opere abusive in una area assoggettata a vincolo paesaggistico e idrogeologico, e che poi tenti di “ripulirle” con una sanatoria; mentre, al contempo, ordina la demolizione e il ripristino dei luoghi a dei privati cittadini per delle opere abusive realizzate in aree sottoposte agli stessi vincoli. E tutto questo senza che si levi una sola voce di protesta, senza che nessuno pretenda il pieno rispetto delle regole, ma per tutti, nessuno escluso.
Oscuramento della ragione, delirio di massa, imbarbarimento delle istituzioni, declino etico e civile della nostra società. Le conseguenze di un degrado sostenuto troppo spesso a colpi di maggioranza, nazionale o locale, che resistono prepotentemente alle ragioni dell’etica pubblica, della democrazia, della civiltà.
E troppo spesso, contro questo esercito di “anime morte”, l’unica opzione veramente possibile è un forte, sprezzante e incontenibile “vaffanculo”!

Roberto Benigni - Riunione Condominio - Vaffanculo alla maggioranza

Caminia di Stalettì - La chiesa medievale di Panaia la segnalò Giuseppe Zangari

Era il segretario del Parco Archeologico di Scolacium a Roccelletta di Borgia quando, nel 1991, indicò l’affioramento dell'abside di età medievale alla prof.ssa Ghislaine Noyé.

Pubblicata oggi sulla Gazzetta del Sud la rettifica di Domenico Condito a un articolo di domenica scorsa.

Gazzetta del Sud - Edizione Catanzaro
Martedì, 4 agosto 2015 - p. 22

Ho inviato giusto ieri una rettifca alla Gazzetta del Sud relativa ad alcune affermazioni  contenute nell’articolo “Caminia, gioiello naturale e archeologico”, firmato da Rosario Casalenuovo e pubblicato dal giornale lo scorso 2 agosto. Nella descrizione dell’area archeologica di Panaia, si legge che “gli archeologi dell’École Française de Rome hanno potuto individuare nel luglio del 1991, grazie all’intuito determinante del presidente locale dell’ente morale Archeoclub d’Italia, i resti di una chiesetta bizantina dedicata alla Madonna”. In realtà, l’archeologa Ghislaine Noyé, che realizzò appunto lo scavo d’emergenza a Panaia nel 1991, nella sua pubblicazione sui risultati dell’indagine archeologica scrive che “lo scavo è stato realizzato su segnalazione del sig. G. Zangari, Segretario del Parco Archeologico di Scolacium, in loc. Roccelletta di Borgia, dopo una ricognizione effettuata collo stesso, che desideriamo qui ringraziare” (vedi: Ghislaine Noyé, Scavi medievali in Calabria, A: Staletti, scavo di emergenza in località Panaja, Archeologia Medievale, 20, 1993, p. 499). Analogo riconoscimento al sig. G. Zangari è contenuto nella relazione tecnico-scientifica datata 06.07.1991, protocollo Parco Archeologico di Scolacium – Roccelletta di Borgia n. 121, con la quale la Noyé segnalò alla Soprintendenza Archeologica della Calabria il rinvenimento della chiesa subito dopo la realizzazione dello scavo. La stessa Soprintendenza Archeologica, nel parere di competenza sui lavori realizzati dal Comune di Stalettì a Panaia, datato 22.07.2015, scrive che “si ritiene opportuno precisare che l’area oggetto dell’intervento è nota archeologicamente fin dagli anni ’90 del secolo scorso, quando l’allora segretario del Parco Archeologico di Scolacium sig. G. Zangari segnalò, d’intesa con il funzionario archeologo dott. R. Spadea, l’affioramento di resti murari (abside) di età medievale alla prof.ssa G. Noyé, che guidava una missione dell’École Française de Rome nei luoghi cassiodorei del comprensorio”. 

Nello stesso articolo pubblicato dalla Gazzetta del Sud, il Casalenuovo non riferisce che l’area archeologica di Panaia si sviluppa ben oltre il punto in cui affiora l’abside della chiesa bizantina indagata dalla prof.ssa Ghislaine Noyé. Ad attestarlo sono le rilevazioni tecnico-scientifiche dell’archeologa A. Racheli e della prof.ssa E. Zinzi, che hanno documentato la presenza nell’area di un importante insediamento medievale. Tutto ciò è confermato, con dovizia di particolari, dalla stessa Soprintendenza Archeologica che, nel parere già citato, definisce Panaia “un sito di notevole interesse archeologico”. Nel documento si legge, inoltre, che l’area si colloca “al centro di un luogo di ancoraggio legato anche alla chiesa o monasterio di San Martino e ai piedi del Castrum presso Santa Maria del Mare (già de Vetere) e con un’ottima sorgente ancora attiva”. Viene stabilita così una relazione molto stretta e significativa tra l'insediamento medievale di Panaia e i luoghi cassiodorei presenti sul territorio stalettese. Tutto ciò, è scritto ancora nel parere, “spingeva la Soprintendenza, nell’occasione della richiesta d’uso dell’area come parcheggio temporaneo, a notificare il 20 settembre 2000 all’Amministrazione comunale il vincolo archeologico e l’assoggettamento dell’area, già a vincolo paesaggistico ai sensi della L. 1497/1939, al Demanio pubblico”. 

La polemica delle scorse settimane riguarda il fatto che nell’area di Panaia, sottoposta a vincolo paesistico e archeologico, il Comune d Stalettì ha avviato i lavori per realizzare un’area turistica attrezzata senza disporre dei pareri, prescritti dalla legge, delle Soprintendenze competenti. Solo in seguito agli esposti dei consiglieri di minoranza e alla campagna mediatica lanciata da “Utopie Calabresi” e dalla stampa regionale, il Comune ha richiesto i pareri alle autorità competenti per poter proseguire i lavori, tentando in extremis un’improbabile sanatoria. Non si tratta quindi di “si dice”, come si legge nella Gazzetta, ma di fatti acclarati sui quali, vista la durezza del contrasto in atto, non è ammissibile alcuna forma di leggerezza o approssimazione. Al momento i lavori sono ancora fermi e la gravità della vicenda è stata denunciata dal deputato Paolo Parentela nella sua nota interrogazione parlamentare al Ministro dei Beni Culturali. 

Domenico Condito

giovedì 23 luglio 2015

Panaia - Stalettì: è arrivato il parere della Soprintendenza Archeologica della Calabria

Il documento costituisce una prima vittoria della battaglia per la salvaguardia di “un sito di notevole interesse archeologico”. Ma continuiamo a lottare perchè il Governo garantisca il pieno rispetto delle regole in quell'area, così come richiesto dal deputato Paola Parentela (M5S) nella sua interrogazione al Ministro dei Beni Culturali.

Domenico Condito

Emilia Zinzi
Da diverse settimane vado sostenendo, in tutte le sedi possibili, la grande importanza dell’area archeologica di Panaia, dov’è attestata fin dal 1991 la presenza di un “insediamento medievale”. Un sito la cui estensione reale, ancora da indagare, va comunque oltre la modesta recinsione che circoscrive l’abside emergente della chiesa bizantina. Analisi e riflessioni le mie, e non “pettegolezzi o false denunce” come sostiene il Sindaco di Stalettì, basate su rilievi tecnico-scientifici e documentali. Elementi che la Soprintendenza Archeologica della Calabria oggi riconosce pienamente nel suo parere sui lavori avviati dal Comune di Stalettì a Panaia. Qui, lo ricordiamo, il Comune ha messo in cantiere la realizzazione di un’area turistica attrezzata, senza disporre dei pareri preliminari delle Soprintendenze competenti. Una irregolarità che l'Amministrazione Comunale sta cercando di "sanare" dopo le denunce dei consiglieri comunali di minoranza e la campagna mediatica lanciata da "Utopie Calabresi" e da alcuni quotidiani regionali.

Il parere della Soprintendenza Archeologica è stato notificato al Comune nell’ambito della Conferenza dei Servizi, convocata ieri nel palazzo comunale, per l’acquisizione dei pareri e nulla-osta necessari al proseguimento dei lavori attualmente fermi. Alla Conferenza ha partecipato la Soprintendenza Archeologica della Calabria di Reggio, ma non la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Cosenza che, pur essendo stata invitata, ha disertato i lavori. Il documento della Soprintendenza reggina attesta che Panaia è “un sito di notevole interesse archeologico”, che va adeguatamente tutelato e valorizzato.
La lettura storica e archeologica dell’area, da parte della Soprintendenza, è basata sullo scavo d’emergenza realizzato nel 1991 dalla prof.ssa Ghislaine Noyé, sulle relazioni dell’archeologa Agnese Racheli, e sugli studi della prof.ssa Emilia Zinzi pubblicati nel “poderoso e fondamentale volume collettivo Analisi storico-territoriale e pianificazione – Un esperienza metodologica nel Sud d’Italia”. Il sito di Panaia, inoltre, viene descritto “al centro di un luogo di ancoraggio legato anche alla chiesa o monasterio di San Martino e ai piedi del Castrum presso Santa Maria del Mare (già de Vetere) e con un’ottima sorgente ancora attiva”. In questo modo viene stabilita una relazione molto stretta e significativa tra l'insediamento medievale di Panaia e  i luoghi cassiodorei presenti sul territorio stalettese. Tutto ciò, si legge nel parere, “spingeva la Soprintendenza, nell’occasione della richiesta d’uso dell’area come parcheggio temporaneo, a notificare il 20 settembre 2000 all’Amministrazione comunale il vincolo archeologico e l’assoggettamento dell’area, già a vincolo paesaggistico ai sensi della L. 1497/1939, al Demanio pubblico, raccomandando al Comune di provvedere a transennare i ruderi, nonché vietare il transito e la sosta di autoveicoli di qualsiasi tipo”. 

La Soprintendenza, inoltre, “rammenta che il decespugliamento e la ripulitura dei resti affioranti, già eseguita senza la presenza e le indicazioni di nostro personale tecnico scientifico, dovrà d’ora in poi essere concordata preventivamente con i nostri uffici per predisporre quanto necessario alla tutela del bene archeologico-monumentale”. Nel documento si legge anche che “è stata riscontrata la realizzazione di reti idrica e fognaria che non ha causato danni ad eventuali stratificazioni antropiche o comunque presenze archeologiche. Tuttavia, ad ogni buon conto, sarà necessario concordare delle verifiche sui tracciati, eseguendo piccoli saggi mirati per escludere in modo definitivo ed inequivocabile la presenza nel sottosuolo di eventuali manufatti archeologici. Analogamente si procederà nell’area delle strutture amovibili di progetto”. 

La Soprintendenza esprime poi parere favorevole alla realizzazione, solo mediante strutture amovibili, di due chioschi, servizi igienici e aree picnic. Tuttavia, ritiene di approvare il progetto del Comune indicando una serie di “prescrizioni obbligatorie” piuttosto impegnative, che rendono di fatto molto difficile la ripresa dei lavori in tempi brevi:

- “Innanzitutto si dovrà provvedere ad eseguire saggi archeologici mirati atti a verificare la reale estensione della chiesetta e conseguentemente adeguare la recinzione prevista, tenendo conto di una fascia di rispetto che verrà indicata alla conclusione dei saggi. 

- Alla fine stagione (pari a un periodo inferiore a 120 giorni), dopo la rimozione delle strutture amovibili (chioschi e relative piastre di cls), si dovranno eseguire saggi di verifica nelle due aree di sedima dei manufatti e piccoli saggi presso le trincee di acquedotto e fognatura. 

- D’intesa con la Soprintendenza BAEP della Calabria e con la consulenza del Consorzio di Bonifica «Alli-Punta di Copanello» o «Calabria Verde» occorrerà scegliere le essenze arboree e arbustive più idonee dal punto di vista paesaggistico e naturalistico affinché non siano di nocumento alle evidenze archeologiche già a vista e a quelle nel sottosuolo, siano esse immobiliari e/o stratificazioni. 

- Si dovrà programmare una campagna di ricerche estensiva ed esaustiva nell’area a vincolo archeologico e tenuto conto della sua estensione, per altro in gran parte delineata nella tavola 7 del progetto, occorrerà rimodulare alcuni dei percorsi pedonali in ghiaia di progetto. 

- Infine è auspicabile in tempi brevi, qualora il quadro economico lo consenta, o comunque in tempi ragionevoli, la messa in opera di una recinzione stabile in materiali idonei e resistenti per la definitiva protezione dei luoghi da manomissioni e degrado, come auspicato fin dal 1991 dalla prof.ssa E. Zinzi e dalla sua équipe, da integrare con sistemi di video sorveglianza”. 

La Soprintendenza Archeologica della Calabria, pur concedendo qualcosa al Comune di Stalettì, seppure per un periodo molto breve, limita fortemente il progetto che, nelle intenzioni originarie degli amministratori, doveva avere ben altra portata. Ma la stessa Soprintendenza non si è espressa, perché non di sua competenza, sugli aspetti paesaggistici e sulla compatibilità del progetto con il PSC comunale e gli altri strumenti urbanistici e vincolistici vigenti.  Aspetti, quest’ultimi, sui quali deve pronunciarsi la Soprintendenza di Cosenza, che potrebbe annullare del tutto le velleità del Comune sull’area, ripristinando definitivamente quel rispetto delle regole auspicato dal deputato Paolo Parentela nella sua interrogazione parlamentare. 
Il parere della Soprintendenza Archeologica, però, non ci soddisfa del tutto, perché sembra sorvolare sul fatto che i lavori del Comune a Panaia sono stati avviati senza i pareri necessari. Una forma d'irregolarità molto grave per un ente pubblico. Il rispetto rigoroso delle regole è prioritario sempre, ma lo è molto di più in un territorio devastato da abusi edilizi e operazioni speculative d’ogni tipo. 
Tuttavia, il parere della Soprintendenza rappresenta, sul piano scientifico, un punto fermo di grande importanza, perché sancisce una volta per tutte la rilevanza straordinaria del sito archeologico di Panaia, stabilendo al contempo una linea rigorosa per l’indagine estesa dell’area e per la sua salvaguardia e valorizzazione. Un merito degli studi della prof.ssa Emilia Zinzi, che ho voluto al Comune di Stalettì quand’ero Assessore alla Cultura e ai Beni Culturali, ma anche della battaglia mediatica dell’ultimo mese, alla quale, operando con passione e competenza, ho portato il mio modesto contributo.

PARERE SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA (pdf)


martedì 21 luglio 2015

PANAIA - STALETTÌ: INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DEL DEPUTATO PAOLO PARENTELA

UN INTERVENTO A 5 STELLE
Parentela: "Il Ministro Franceschini impedisca cementificazione dell'area archeologica di Panaia".

Il portavoce calabrese del MoVimento Cinque Stelle alla Camera dei Deputati si è rivolto al Ministro dei Beni Culturali domandando quali iniziative intenda assumere per tutelare e valorizzare l'insediamento medievale di Panaia, a Caminia di Stalettì (CZ). Ringrazio il deputato Parentela ed il suo staff per aver raccolto il mio appello per salvare l'importante area archeologica. L'iniziativa parlamentare, che fa seguito alla battaglia per la salvaguardia e la valorizzazione dell'area di Capo Colonna, è un atto di giustizia e di civiltà che rilancia il territorio calabrese, ponendo al centro dell'agenda politica i valori storici e culturali della nostra regione.
Domenico Condito


COMUNICATO STAMPA DI PAOLO PARENTELA

Paolo Parentela
«Il Ministro dei beni culturali Dario Franceschini, deve impedire che l’area archeologica di Località Panaia nel Comune di Stalettì (CZ) venga trasformata in un’area edificabile». Lo afferma il deputato M5S Paolo Parentela, dopo aver depositato un’interrogazione parlamentare. Parentela aggiunge: «Vogliono realizzare un’area pic-nic con bagni, allacci alla fognatura ed un ampio parcheggio in un’area dall’altissimo valore storico e culturale. Negli anni ’90 i tecnici del Comune di Stalettì sottoposero la zona di Panaia a vincolo archeologico, per la presenza dei resti di una Chiesa di origini bizantine». «È il classico disprezzo delle regole – continua il parlamentare – proprio della vecchia politica calabrese. Non è ammissibile che venga cementificata un’area in cui gli studi condotti hanno accertato la presenza di scavi di pregio, che possono riportare alla luce reperti storici e artistici di rilievo. Tutto questo è uno schiaffo alla vera vocazione turistica della Calabria e della zona di Caminia». Parentela conclude: «La legge impedisce il cambio di destinazione dell’area, che tra le altre cose è sottoposta a vincolo per il dissesto idrogeologico e classificata come ad alto rischio per frane e smottamenti. La classe politica è incivile ed irrispettosa e mette a rischio non solo l’importanza storica della zona, ma anche la vita dei cittadini e degli operatori turistici».

TESTO DELL'INTERROGAZIONE
Download pdf

http://paoloparentela.blogspot.it/2015/07/capo-colonna-bene-rimozione-del-cemento.html

venerdì 17 luglio 2015

PANAIA – STALETTÌ: UN INSEDIAMENTO MEDIEVALE OLTRE ALLA CHIESA BIZANTINA
Ecco il documento inedito

Si tratta di una relazione tecnico-scientifica del 1991 dell’archeologa Agnese Racheli. La studiosa ha collaborato per molti anni con la Soprintendenza Archeologica di Roma e con la Soprintendenza Archeologica della Calabria. È lei l’autrice delle schede relative ai loci cassiodorenses nel volume di Emilia Zinzi sull’analisi storico-territoriale del comprensorio di Stalettì.

Domenico Condito

Da qualche settimana vado ripetendo che, a Caminia di Stalettì, l’area archeologica di Panaia si sviluppa ben oltre il punto in cui affiora l’abside della chiesa bizantina segnalata dalla prof.ssa Ghislaine Noyé, archeologa dell’École Française de Rome e docente della Sorbona di Parigi. In quell'area è stato segnalato in passato un possibile insediamento di epoca medievale. A suffragare tale ipotesi un importante documento divulgato oggi, per la prima volta, in questo spazio. Si tratta di una rilevazione tecnico-scientifica dell’archeologa Agnese Racheli che, nel mese di agosto del 1991, aveva partecipato alle ricognizioni sul territorio di Stalettì dirette dalla prof.ssa Emilia Zinzi. Le ricognizioni si erano svolte nell’ambito dello studio, voluto dal Comune di Stalettì, per l’analisi storico-territoriale del comprensorio comunale finalizzata alla redazione del Piano Regolatore Generale. Alle ricognizioni avevano preso parte lo scrivente Domenico Condito, in qualità di Assessore alla Cultura e Beni Culturali, nonché studioso delle radici storiche del territorio di Stalettì, l’ing. Antonio Froio, l’arch. Maria Gabriella Picciotti, l’archeologo Sergio Piane e, appunto, l’archeologa Agnese Racheli, in qualità di collaboratrice della Soprintendenza Archeologica della Calabria. 

Il documento su Panaia, redatto dalla dott.ssa Agnese Racheli, fa parte di un fascicolo di n. 6 schede archeologiche consegnato dalla prof.ssa Zinzi al Comune di Stalettì in allegato alla sua analisi storica-territoriale del comprensorio comunale. Copia analoga è stata depositata a suo tempo presso la Soprintendenza Archeologica della Calabria. La copia del fascicolo in mio possesso mi è stata donata all'epoca dalla prof.ssa Zinzi.

Riporto il testo integrale della scheda su “Panaja”: 

“I resti esaminati sono ubicati in località Panaja, tra la ferrovia Reggio Calabria – Metaponto ed il tracciato della vecchia statale 106 jonica, in un sito dove in età medievale è documentato un ancoraggio. 
Il toponimo, attribuito anche a una vicina sorgente, indica con ogni probabilità l’esistenza di una chiesa dedicata alla Madonna (Παναγία). Attualmente è visibile solo parte della sommità di un’abside che reca all’interno tracce di intonaco. 
Lo scavo d’emergenza effettuato dalla dott.ssa Noyé nel giugno 1991 ha evidenziato l’abside, orientata N-E, ed ha messo in luce parte di un muro laterale NW di considerevole spessore (m. 1.55), impiegante blocchi di granito locale e tegole legati con malta. 
Questa struttura, il cui ambito cronologico è attribuibile all’età medievale od altomedievale, è stata parzialmente distrutta dal crollo di un masso.  
L’edificio evidenziato, la cui funzione originaria è ancora da precisare, potrebbe essere stato riutilizzato per un luogo di culto. In ogni caso la consistenza delle strutture murarie rinvenute fanno pensare ad un insediamento di età medievale”.

La scheda su Panaia dell'archeologa Agnese Racheli

Il documento ha un valore scientifico enorme, perché attesta la presenza a Panaia di un insediamento di età medievale. Questo conferma che l’area archeologica si estende ben oltre l’abside emergente della chiesa bizantina. La dott.ssa Racheli, inoltre, in linea con lo studio della collega francese, conferma che la chiesa sarebbe stata edificata sui resti di un edificio ancora più antico, e ipotizza per quest’ultimo elemento una datazione che potrebbe spingersi fino all’altomedioevo. Se ciò venisse confermato dal proseguimento delle indagini storiche e archeologiche, Panaia potrebbe rientrare a pieno titolo nel novero dei “luoghi cassiodorei”.

A Panaia, ed è la polemica rovente delle ultime settimane, il Comune di Stalettì ha avviato i lavori per realizzare un’area turistica attrezzata con tanto di rete fognaria, bagni pubblici, chiosco, area pic-nic e relativo parcheggio. L’archeologo Alfredo Ruga, funzionario della Soprintendenza Archeologica della Calabria, è stato chiamato a relazionare sui lavori del Comune, e sembra voler circoscrivere l’area archeologica all’abside emergente della chiesa e alle sue immediate vicinanze. La rilevazione scientifica della dott.ssa Racheli impone, secondo me, una profonda revisione del parere della Soprintendenza, lo sviluppo di un’indagine estesa dell’area e l’adozione di adeguate misure di tutela. 

E il Comune di Stalettì? Farebbe bene a rinunciare al suo progetto su Panaia e a diventare il primo sostenitore della tutela e della valorizzazione storica e culturale dell’area, supplendo e contrapponendosi, se necessario, all’azione carente della Soprintendenza Archeologica della Calabria. Un ente, quest’ultimo, che non è mai riuscito a tutelare in modo adeguato nessuno dei siti archeologici presenti sul nostro territorio.

In basso, all'interno della recinsione, l'abside affiorante
della chiesa bizantina di Panaia. Sullo sfondo s'intravede
una delle piattafrome di cemento realizzate dal Comune di Stalettì.

Una delle due piattaforme di cemento realizzate dal Comune di Stalettì
nell'area archeologica di Panaia, senza aver indagato prima l'area,
né aver effettuato i necessari saggi preliminari.

Per approfondire i vari aspetti della questione "Panaia" vi rimando agli articoli già pubblicati su "Utopie Calabresi":

martedì 14 luglio 2015

LA SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DELLA CALABRIA SU PANAIA
Risposta di Domenico Condito a una nota pubblicata su "L'esuberante"

Ieri “L’esuberante – Quotidiano soveratese online” ha pubblicato un articolo di Teresa Pittelli, in cui si riporta una “nota” della Soprintendenza Archeologica sui lavori avviati dal Comune di Stalettì nell’area archeologica di Panaia. 
La “nota” definisce “meritevole” l’intervento fin qui realizzato dal Comune di Stalettì nell’area in oggetto. Ne è scaturito un confronto vivace con la giornalista. Rimando al link per la lettura dell’articolo e dei commenti. Riporto, a seguire, l’ultimo mio commento inviato al quotidiano di Soverato, per ribadire, ancora una volta, l’importanza del sito archeologico di Panaia, che si sviluppa ben oltre l’abside della chiesa bizantina affiorante nell’area. 

Gent.ma dott.ssa Pittelli, 
la ringrazio innanzitutto per la franchezza e l’onestà della risposta. Voglio inoltre precisare che con la mia allusione a una pubblicazione “forse solo parziale” della nota della Soprintendenza non intendevo assolutamente mettere in discussione la vostra professionalità. Se, mio malgrado, ho dato questa impressione me ne scuso ampiamente. Detto ciò, prendo atto che la Soprintendenza non ha ancora autorizzato il proseguimento dei lavori nell’area archeologica di Panaia, ma che si riserva, come lei scrive, “di esprimere comunque un parere di competenza”. Quest’ultimo punto adesso è più chiaro. 
Comunque sia, ieri, dopo aver letto il suo articolo, ho telefonato immediatamente al Soprintendente Archeologico della Calabria che mi ha riferito quanto segue: 
1) di non essere assolutamente a conoscenza dei lavori avviati dal Comune di Stalettì nell’area archeologica di Panaia; 
2) di non sapere nulla della nota inviata dalla Soprintendenza al Comune di Stalettì; 
3) che normalmente nelle aree di questo tipo (senza naturalmente entrare, per ovvi motivi, nel caso specifico) prima s’indaga l’area, poi si effettuano dei saggi preliminari mirati, e solo successivamente si presentano i progetti per la richiesta del parere di competenza. 
Ho “ricordato” quindi al Soprintendente l’importanza archeologica dell’area di Panaia, che si colloca nel più vasto comprensorio in cui ricadono i “luoghi cassiodorei”, ai quali è direttamente riferibile. La chiesa bizantina affiorante a Panaia sorge infatti nel luogo in cui si trovava l’approdo marittimo al Castrum di S. Maria del Mare e, secondo la prof.ssa Ghislaine Noyé, “il sito doveva appartenere ai possedimenti della chiesa o monasterio di San Martino, i cui vestigi sono stati individuati e scavati sul promontorio di Copanello, a nord di Santa Maria del Mare”. 
Ho riferito, inoltre, al Soprintendente quanto segue: 
1) l’area archeologica di Panaia è stata segnalata alla Soprintendenza Archeologica della Calabria il 06.07.1991 con una relazione tecnico-scientifica della prof.ssa Ghislaine Noyé, archeologa dell’École Française de Rome, subito dopo lo scavo d’emergenza realizzato sul punto in cui affiora l’abside della chiesa; 
2) alla relazione tecnico-scientifica dell’archeologa francese ha fatto seguito la pubblicazione dei risultati dello scavo: Ghislaine Noyé, Scavi medievali in Calabria, A: Staletti, scavo di emergenza in località Panaja, Archeologia Medievale, 20, 1993, 499-501; 
3) l’area archeologica è stata censita dalla prof.ssa Emilia Zinzi nell’ambito della sua analisi storica e archeologica del territorio finalizzata alla redazione del Piano Regolatore Generale di Stalettì, e il lavoro della studiosa calabrese, recepito ed approvato dal Consiglio Comunale di Stalettì nei termini fissati, è confluito nella redazione dello stesso Piano. La stessa prof.ssa Zinzi chiese per Panaia un provvedimento di vincolo del sito, con definizione della fascia di rispetto, e “l'esplorazione estesa” della zona a rischio circostante. 
Il Soprintendente si è assunto l’impegno di occuparsi della questione. Ma in questo momento non è il solo. Avremo modo di tornare sull'argomento.
Intanto, la ringrazio per l’ospitalità e le auguro buon lavoro! 

Domenico Condito
già Assessore alla Cultura e Beni Culturali del Comune di Stalettì

In basso, all'interno della recinsione, l'abside affiorante
della chiesa bizantina di Panaia. Sullo sfondo s'intravede
una delle piattafrome di cemento realizzate dal Comune di Stalettì.

Una delle due piattaforme di cemento realizzate dal Comune di Stalettì
nell'area archeologica di Panaia, senza aver indagato prima l'area,
né aver effettuato i necessari saggi preliminari.


LEGGI ANCHE:
Panaia - Stalettì: è arrivato il parere della Soprintendenza Archeologica della Calabria

giovedì 9 luglio 2015

Il Sindaco di Stalettì e le “sterne stolide”
Risposta alla prof.ssa Concetta Stanizzi

di Domenico Condito

Signor Sindaco, 

ho letto la Sua nota del 7 luglio scorso  su “L’esuberante – Quotidiano soveratese online”. Non entrerò nel merito, anche perché le mie conoscenze in campo ornitologico non vanno oltre alcune interessanti esperienze di ascolto in ambito musicale. Penso al Catalogue d'oiseaux di Olivier Messiaen, per esempio, o al Cantus Articus del compositore finlandese Einojuhani Rautavaara. O, per uscire dall’universo della musica seriale, all’Uccello di Fuoco di Igor Stravinsky, magari nell’interpretazione di Leonard Bernstein alla guida della New York Philarmonic (in commercio è reperibile ancora una splendida incisione della Sony; gliela consiglio vivamente, ne potrebbe trarre un certo beneficio all’ascolto). Acclarato, quindi, che di uccelli Lei se ne intende più di me, mi interessa piuttosto osservare, signor Sindaco, che Lei non entra mai nel merito delle questioni poste dai suoi presunti “detrattori”. Ai cittadini non interessa sapere se i Suoi “accusatori” siano “stupidi” o privi di “mente”, come Lei sembra sostenere, ma se le accuse che Le vengono mosse siano fondate oppure no. 
Allora ritorno volentieri sulla questione che mi sta più a cuore: è vero o no che quella di Panaia è un’area archeologica? Ed è vero o no che su questo stesso sito Lei ha avviato i lavori per costruire un’area turistica attrezzata? Le domande sono chiare e semplici, ma Lei elude malevolmente le risposte. 
E poi, signor Sindaco, è ancor più intollerabile il malcostume di voler delegittimare o ledere l'onore e la credibilità delle persone che non condividono il suo operato. È una forma di volgarità francamente inqualificabile. Chiunque abbia adottato questo sistema non ha superato indenne il vaglio della storia, e sarà così anche per Lei. Oggi, con questa uscita “esuberante”, credo che Lei abbia decretato la fine della Sua esperienza politica e amministrativa, o almeno della possibilità di esercitare le funzioni di Sindaco mantenendo un alto profilo etico. Potrà anche portare a termine il mandato elettivo, ma sarà come sopravvivere tristemente a sé stessa. Mi domando, allora, se quando scrive che “il Re è morto” non stia agendo un meccanismo di difesa freudiano, la proiezione, preconizzando la fine, già in atto, del Suo incarico alla guida del Comune di Stalettì. 
Parafrasando Paul Valéry, “il Suo futuro non è più quello di una volta”, e noi tutti, con la Sua elezione a Sindaco, abbiamo sperato in un futuro diverso da quello che vediamo spalancarci sotto i nostri occhi. La profonda mutazione che ci ha gettato nella situazione e nell’indignazione che viviamo trae origine dal Suo rapporto con il territorio, con il quale Lei non interloquisce mai, comportandosi da padrone del Comune e non da primo servitore della publica utilitas. La Sua disattenzione verso la memoria storica della nostra Comunità credo ne sia la cartina tornasole più efficace. Dopo la Rivoluzione francese Edmund Burke poté scrivere che “gli uomini che non guardano mai indietro, verso i propri antenati, non saranno mai capaci di guardare avanti, verso i posteri”. Lei aveva la responsabilità di contribuire alla formazione di un contesto sociale in grado di forgiare il futuro. Ma era necessario partire dalla ricostruzione di un senso identitario comune, basato sul recupero della nostra memoria storica. Un’impresa, prosegue Burke, che “richiede un tempo molto più lungo dello spazio di una vita” ed esige “collaborazione non solo tra i vivi, ma anche tra i vivi, i morti e chi deve ancora nascere”. Lei, invece, pensa di bastare a sé stessa. Le è mancato il senso di questa responsabilità intergenerazionale, che richiede uno sguardo lungimirante, e perciò impone la supremazia del bene comune sul Suo Ego pantagruelico, incapace di dialogare e di confrontarsi con il resto del mondo.

Illustration of The Firebird by Edmund Dulac from his
“Edmund Dulac’s Fairy Book” (1916)

mercoledì 1 luglio 2015

PANAIA
Dedico la mia battaglia a Emilia Zinzi

In difesa dell'area archeologica di Panaia a Caminia di Stalettì, nel ricordo della grande studiosa calabrese

di Domenico Condito, stalettese

La libertà d’espressione in Italia è “vigilata”. Dopo i miei interventi dei giorni scorsi sui lavori del Comune di Stalettì a Panaia, segnalata come area archeologica fin dal 1991, “Utopie Calabresi” ha ricevuto la visita del Ministero dell’Interno. Spero che il monitoraggio attento del blog si estenda anche all’operato del Comune di Stalettì, che prosegue senza vergogna nella realizzazione di un'area turistica attrezzata a Panaia, in assoluto dispregio degli studi e dei rilievi tecnico-scientifici prodotti su quell'area: errare humanum est, perseverare autem diabolicum!

Lunedì scorso, intanto, la versione per la stampa della mia “lettera aperta al Sindaco di Stalettì” è stata pubblicata dal “Quotidiano della Calabria”. Al centro dell’articolo una foto di Emilia Zinzi, storico dell'arte e del territorio di fama europea, che dedicò a Stalettì pagine memorabili. Fu la prima studiosa in Italia ad approfondire il rapporto fra ricerca storico-archeologica, pianificazione e descrizione della dimensione urbanistica e socio-economica del territorio. Una scienziata capace di coniugare sapere e alto impegno etico e civile, ponendosi al servizio della società calabrese e della sua crescita culturale. Ho avuto l’onore di collaborare con Lei proprio nello studio e nelle battaglie per la salvaguardia dei beni culturali della mia terra. È successo quando ero Assessore alla Cultura del Comune di Stalettì e, su mia proposta, fu conferito alla prof.ssa Zinzi un incarico per un’analisi storico territoriale del comprensorio comunale finalizzata alla redazione del piano regolatore generale. Facevo parte del gruppo di studio che sotto la guida di Emilia perlustrò palmo palmo il territorio di Stalettì. Come assessore mi adoperai, inoltre, per la pubblicazione di quel lavoro, ottenendo per questo un contributo della Presidenza della Giunta Regionale della Calabria guidata da Rosario Olivo.  Ne scaturì uno splendido volume cofanetto comprendente anche gli elaborati cartografici e documantali prodotti nei lunghi mesi di studio e di ricognizioni sul territorio: Emilia Zinzi, “Analisi storico-territoriale e pianificazione – Un esperienza metodologica nel Sud d’Italia”, Rubbettino Editore, 1997 (guarda il video in basso). Il volume, fra l'altro, fu presentato al prof. Salvatore Settis, al tempo Rettore della Normale di Pisa, che espresse parole di grande apprezzamento per il lavoro della sua collega, ma anche per le scelte del Comune di Stalettì, che giudicò assolutamente all’avanguardia in materia di pianificazione territoriale, un caso unico in Italia.

Nel suo studio su Stalettì la prof.ssa Zinzi chiese per Panaia un provvedimento di vincolo del sito, con definizione della fascia di rispetto, e l'esplorazione estesa della zona a rischio circostante. Il Sindaco di Stalettì ha deciso di misconoscere lo studio di Emilia Zinzi, e procede nel suo intento di realizzare a Panaia un’area turistica attrezzata con tanto di rete fognaria e cessi pubblici. Un intervento che tradisce la scienza e offende la coscienza culturale calabrese, riportando Stalettì a un'epoca di bieco oscurantismo che credevamo superata per sempre. E pensare che i talebani non sono ancora arrivati in Calabria!

La mia battaglia per Panaia la dedico a Emilia Zinzi.




Lettera aperta al Sindaco di Stalettì
pubblicata su "Il Quoitidiano della Calabria" il 29.06.2015
(Clicca per ingrandire)


venerdì 26 giugno 2015

Lettera aperta al Sindaco di Stalettì sui lavori a Panaia

Domenico Condito, già Assessore alla Cultura e ai Beni Culturali del Comune di Stalettì, torna sui lavori in corso a Panaia con una lettera aperta rivolta al Sindaco di Stalettì. Nei giorni scorsi era intervenuto sulla stampa regionale e su queste pagine per segnalare l'importanza storica e archeologica dell'area (leggi gli articoli: su "Utopie Calabresi" e su "Il Quotidiano della Calabria").

Gent.ma prof.ssa Concetta Stanizzi, Sindaco di Stalettì, 

Domenico Condito
so che non ama il contraddittorio, che è l’anima della democrazia, ma è un suo problema, e non rinuncerò per questo a esercitare il mio diritto di cittadinanza. 

Oggi, nell’intervista pubblicata dal Quotidiano della Calabria, afferma che a Panaia, dove il Comune di Stalettì ha avviato i lavori per realizzare un'area turistica attrezzata, ha agito nel pieno rispetto della legalità. 
Ricordo che a Panaia, dove gli archeologi hanno segnalato nel 1991 l’emergenza di un’antichissima chiesa bizantina, è presente un’area archeologica ancora da indagare e di cui non si conosce ancora l’esatta estensione. Nel 1997, l’Amministrazione Comunale di Stalettì, di cui ero Assessore alla Cultura e ai Beni Culturali, con il supporto scientifico della prof.ssa Emilia Zinzi, aveva chiesto alle autorità competenti l’adozione di un provvedimento di vincolo del sito, con definizione della fascia di rispetto, e l'esplorazione estesa della zona a rischio circostante. Credo che a tutt’oggi non siano stati adottati i provvedimenti di tutela adeguati, se Lei può affermare di aver agito nel rispetto delle leggi, ma questo lo accerteranno le autorità competenti. Comunque sia, la storia della Calabria, e in particolare del territorio di Stalettì, è quella di una sistematica devastazione di aree archeologiche avvenuta talvolta nel pieno rispetto della legalità. È successo, e può ripetersi ancora, per il colpevole ritardo con cui troppo spesso le autorità competenti vincolano le aree a rischio, nonostante le segnalazioni e i rilievi di archeologi e studiosi. 

Stalettì avrebbe avuto uno sviluppo culturale ed economico di ben altra importanza se, fra gli anni settanta e ottanta, il suo territorio non avesse subito una delle più vergognose e devastanti speculazioni edilizie della storia d’Italia. Una colata di cemento immane che, in fasi diverse, ha quasi completamente distrutto il considerevole patrimonio archeologico del territorio, danneggiandone anche le splendide risorse paesaggistiche. Mi riferisco, in particolare, alla costruzione di un complesso turistico-residenziale sull’area archeologica di Scillacium, la città monastica fondata da Flavio Magno Aurelio Cassiodoro nel VI secolo, e divenuta nei secoli successivi sede di uno dei più importanti insediamenti monastici bizantini del Sud d’Italia. Qui, le ruspe infami hanno distrutto uno dei patrimoni archeologici più significativi d’Europa, talvolta lavorando anche di notte con l’ausilio di gruppi elettrogeni, come quando fu effettuato lo sbancamento per la realizzazione della piscina del villaggio. In quella circostanza, come risulta dalle pubblicazioni degli archeologi dell’École Française de Rome, fu sventrata l’antica necropoli bizantina: i resti di uomini antichi e sapienti, dediti allo studio, alla preghiera e alla composizione di preziosi codici miniati, furono trattati alla stregua di spazzatura, insieme ai rilevanti reperti archeologici che affioravano durante lo scavo. Una triste storia calabrese, dove sommamente invereconda e colpevole fu la latitanza, se non la collusione diretta, delle istituzioni pubbliche deputate alla salvaguardia del territorio e delle sue risorse storiche, artistiche ed archeologiche. I lavori per la realizzazione del complesso si protrassero per diversi anni, in fasi successive. Ben tre furono le Amministrazioni Comunali che si succedettero in quel periodo. E queste non solo non si opposero allo scempio, ma fornirono anche il necessario supporto amministrativo e tecnico per l’espletamento delle pratiche edilizie. Agli atti del Comune di Stalettì esistono, inoltre, alcune autorizzazioni rilasciate dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici della Calabria, con sede a Cosenza, per la realizzazione di parte dei lavori. Non furono invece richiesti i pareri della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, perché l’area interessata non era stata  sottoposta ancora a vincolo archeologico. Appunto! Quest’ultimo elemento, però, non giustifica il mancato intervento della Soprintendenza per i Beni Archeologici, o il comportamento delle Amministrazioni Comunali di quegli anni, ma costituisce, a mio parere, una pesante aggravante. Fin dagli anni trenta diversi e autorevoli studiosi avevano segnalato allo stesso Ente la rilevante importanza archeologica dell’area, identificandola insieme a quella di San Martino, poco distante, come “luogo cassiodoreo”: cito, fra tutti, l’Ispettore onorario Cesare Sinopoli nel 1931, Pierre Courcelle col Marrou nel 1938, ancora Courcelle negli anni cinquanta, e infine Emilia Zinzi con i suoi primi studi degli anni sessanta sui "luoghi cassiodorei". C’erano, insomma, tutti gli elementi e i riscontri tecnico-scientifici necessari per vincolare le aree interessate, e perchè la autorità locali perlomeno si opponessero all’esecuzione dei lavori. In particolare, la mancata adozione del provvedimento di tutela da parte dell’Autorità competente è stata un’omissione gravissima, colpevole e devastante per gli effetti che ha prodotto. Tutti sapevano, nessuno è intervenuto, qualcuno era consapevolmente colluso. Non può essere altrimenti. I lavori, ripeto, sono stati realizzati nell’arco di diversi anni. Ci sarebbe stato tutto il tempo per bloccare la cementificazione e vincolare l’area. 

I vincoli, purtroppo, per salvare ciò che è rimasto dei “luoghi cassiodorei”, sarebbero arrivati soltanto negli anni novanta, grazie all’azione dell’Amministrazione Comunale di cui facevo parte e al mio personale e pressante impegno. Azione che ho sempre condiviso con le associazioni culturali e ambientaliste del territorio (e come non ricordare la conferenza dei servizi a Copanello con l’on. Willer Bordon, sottosegretario del Ministero per i Beni Culturali, o il “filo diretto” con il ministro Veltroni sulle stesse questioni). Operazioni analoghe a quella realizzata sulla Scillacium cassiodorea, furono compiute anche nelle località di San Martino e Palombaro, sempre a Stalettì. Certo, a San Martino sono salvi i ruderi della chiesa, anch’essa recintata come l’abside emergente della chiesa di Panaia, ma è scomparso per sempre il complesso monastico del Vivarium di Cassiodoro, con la sua immensa Biblioteca, che sorgeva tutt’attorno. E pensare che alcune fra le pagine più toccanti de Il quinto evangelio di Mario Pomilio sono ambientate proprio in quel remoto luogo dell'anima; e si tratta dell’ultimo grande romanzo della letteratura europea del Novecento. 

In conclusione, signor Sindaco, se a Panaia non sono stati ancora adottati i necessari provvedimenti di tutela, Lei ha la responsabilità etica e culturale, prima ancora che amministrativa, di sollecitarli al più presto alle autorità competenti. Lei ora è ampiamente informata sull’esistenza e l’importanza dell’area archeologica, che si sviluppa ben oltre l’abside (e non la "fornace") che ha fatto recintare. Non può eludere oltre la questione: rinunci ai suoi lavori a Panaia, e ne divenga il principale tutore e custode. Nel pieno rispetto della legge, ne ha tutte le facoltà!

martedì 23 giugno 2015

MACA
…nel Blu dipinto di Blu…
da Yves Klein, la magia di un colore nell’Arte Contemporanea

http://www.museomaca.it/index.php?lang=itCome ogni anno, in occasione dell’Estate, il MACA (Museo Arte Contemporanea Acri) presenta una grande mostra di respiro internazionale; un’occasione unica per riscoprire il fascino e l’influenza di uno degli artisti fondamentali del Novecento: Yves Klein. Nato a Nizza, nel 1928, e morto a Parigi, poco più che trentenne, nel 1962, Klein, nella sua breve ma intensissima carriera, segnò una rivoluzione con la sua serie di dipinti monocromi, i più importanti dei quali sono quelli blu, ispirati dalla visione della volta del Mausoleo di Galla Placidia di Ravenna. Fu nel 1956 che creò quella che egli stesso definì come «la più perfetta espressione del blu», un oltremare saturo e luminoso, privo di alterazioni, poi da lui brevettato col nome di International Klein Blue (IKB), «rimandando all’infinito, alla spiritualità, al mito, al mare Mediterraneo, antico ventre, laboratorio di profonda storia e cultura, luogo sentimentale e mentale insieme, della percezione del mito di quella che fu la Magna Grecia» (F. Poli).

Yves Klein, Venus Blue, 1960
Partendo da un un’affascinante riproduzione della Venus Blue (1960) di Klein, la mostra segue l’enorme influenza che il maestro francese ha avuto sui suoi contemporanei e sugli artisti successivi, sino ai giorni nostri, trovando nell’utilizzo del colore blu il filo conduttore. 
A partire da sabato 27 giugno 2015, il MACA ospiterà una cinquantina di opere di alcuni dei nomi più significativi della scena artistica dalla seconda metà del Novecento, alcuni dei quali coevi di Klein, come: Daniel Spoerri, Raymond Hains, César, Mimmo Rotella, che con Klein furono partecipi del movimento del Nuoveau Réalisme, sotto la guida del grande critico e teorico Pierre Restany, Pierre Alechinsky, del Gruppo Cobra, Victor Vasarely, padre dell’arte Optical Art internazionale, Hans Hartung, maestro dell’astrazione informale e allievo di Kandinskij, Lucio Fontana, genio innovatore al pari di Klein, nonché suo grande amico, Nanda Vigo del Movimento Zero e Francesco Guerrieri e Lia Drei del Gruppo P; altri appartenenti a generazioni immediatamente successive (tra gli altri: Cesare Berlingeri, Jacques Toussaint, Mimmo Paladino, artista di punta della Transavanguardia, Tano Festa e Mario Schifano, i più importanti rappresentanti della Pop Art italiana, e Jan Fabre, uno dei nomi di spicco del panorama artistico internazionale); due maestri storicamente antecedenti, Luigi Russolo, uno dei grandi futuristi e Sandro Sergi, che offrono una visione del blu ante-Klein; fino alle interpretazioni più contemporanee dell’utilizzo del blu monocromo, come nel caso del Cracking Art Group e del giovane Giuseppe Lo Schiavo, a testimonianza della costante attenzione che il MACA rivolge ai giovani talenti della scena artistica italiana. Si tratta di opere prestigiose provenienti da importanti collezioni private italiane ed europee, oltre che da alcune collezioni pubbliche, come nel caso delle opere di Hans Hartung, Osvaldo Licini e Lucio Fontana, della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno.

Cesare Berlingeri, Oltremare avvolto, 2005
pigmento acrilico su tela piegata
La mostra, promossa dall’associazione Oesum Led Icima, che cura le attività e gli eventi del MACA, e realizzata in collaborazione con l’associazione De Arte-progetti e servizi per l’arte, traccia un percorso che copre gli ultimi cinquant’anni di storia in ambito artistico, esemplificati dalla ricerca legata al blu, cominciata da Yves Klein e tutt’ora in corso, oltre che da una serie di incursioni nella cultura popolare, in particolare in ambito musicale, come suggerisce il titolo stesso della rassegna. Anche in occasione dell'inaugurazione, in una performance musicale, i solisti della Magna Graecia Flute Choir, diretti dal M° Sebastiano Valentino, eseguiranno i brani: Nel blu dipinto di blu (D. Modugno) Il cielo è sempre più blu (R. Gaetano), Il bel Danubio blu (J. Strauss). 

La scelta del blu è indicata dal Prof. Francesco Poli, critico e storico dell’arte di fama internazionale, curatore della mostra, come «l’unico mezzo artistico adatto a rappresentare ciò che è fisicamente invisibile, una sorta di virus che attacca e distrugge il corpo. Un campo monocromo fa da contrappunto visivo, un intenso poema ne scaturisce, un vero e proprio documentario in cui l’interiorità dell’artista è resa visibile dall’istanza pratica veicolata dal colore, il blu, offrendoci uno sguardo sublime della sua anima».

Lucio Fontana, L'attesa, Il telefono rotto, 1959-66
Artisti in mostra: Yves Klein, Pierre Alechinsky, Salvatore Astore, Max Barsini, Cesare Berlingeri, Nicola Bolla, Mimmo Borrelli, César, Paolo Cotani, Cracking Art Group, Roberto Crippa, Giuliana Cunéaz, Gérard Deschamps, Pascal Dombis, Lia Drei, Jan Fabre, Tano Festa, Lucio Fontana, Marco Gastini, Mimmo Germanà, Massimo Ghiotti, Francesco Guerrieri, Raymond Hains, Hans Hartung, Ernesto Jannini, Danièle Jaquillard, Osvaldo Licini, Bengt Lindstrom, Giuseppe Lo Schiavo, Luigi Mainolfi, Gino Marotta, Andrea Massaioli, Fernando Melani, Nino Migliori, Mimmo Paladino, Biagio Pancino, Giulio Paolini, Achille Perilli, Pino Pinelli, Mimmo Rotella, Luigi Russolo, Mario Schifano, Sandro Sergi, Daniel Spoerri, Jacques Toussaint, Grazia Varisco, Victor Vasarely, Ben Vautier, Arturo Vermi, Vettor Pisani, Silvio Vigliaturo, Nanda Vigo.

Mimmo Rotella, La Dolce Vita, 1990
decollare su tela cm 100 x 70

…nel Blu dipinto di Blu… 
da Yves Klein, la magia di un colore nell’arte contemporanea

Luogo: MACA (Museo Arte Contemporanea Acri)
Piazza Falcone, 1, 87041, Acri (Cs)
Curatore: Francesco Poli
Date: dal 27 giugno al 25 ottobre 2015
Vernissage: sabato 27 giugno 2015, ore 18:00
Orari: dal martedì al sabato, 9-13 e 16-20 / la domenica, 10-13 e 16-20
Info: Ufficio stampa MACA
Tel. 0119422568; info@museomaca.it; www.museomaca.it
Catalogo I Quaderni del Museo – n. 24
Testi di: Francesco Poli, Marisa Vescovo, Boris Brollo
Digitalizzazione dell’evento a cura di Oesum Digital Exhibition

sabato 20 giugno 2015

Caminia di Stalettì
PANAIA, UN TESORO DA SALVARE

Domenico Condito, già assessore alla Cultura del Comune di Stalettì, ne spiega pregi e storia nell'intervista pubblicata ieri sul Quotidiano della Calabria, Edizione Catanzaro Lamezia e Crotone a p. 24, e sul sito di Telejonio.

Visualizza pdf


mercoledì 10 giugno 2015

CAMINIA DI STALETTI' - LAVORI IN CORSO A PANAIA
A rischio l'area archeologica?

Il capogruppo consiliare Gregorio Aversa, di “Staletti da Vivere”, rende noto di avere presentato un esposto per la realizzazione di «lavori irregolari in località Panaia». Il consigliere sostiene che sarebbe stato «commesso un grave danno per l'ambiente, in quanto nelle immediate vicinanze persiste il rudere archeologico dell’antica chiesetta di “Panaia”, bene archeologico censito dalle autorità archeologiche» (leggi l'articolo).

di Domenico Condito, stalettese

PANAGHIA ELEOUSA
Facciata della Chiesa dell'Eremo di Panaghia Eleousa 
Lago di Prespa - Macedonia
Il sito archeologico di Panaia, a Caminia di Stalettì, è tanto prezioso quanto misconosciuto da coloro che dovrebbero esserne i custodi più prossimi sul territorio: la autorità comunali e, per altri versi, le istituzioni religiose locali. Fa bene dunque il consigliere di minoranza Gregorio Aversa a richiamare l’importanza archeologica dell’area.
D’altronde, a Stalettì, sono veramente in pochi ad avere consapevolezza della valenza storica e culturale del sito di Panaia, ma anche del suo valore spirituale e religioso. Innanzitutto, l'agiotoponimo “Panaia” deriva dal greco “Panaghia”, un attributo antichissimo della Madonna che vuol dire “Tutta Santa”. Nell’Oriente cristiano esistono diverse chiese che portano questo nome, così come esistono antiche e splendide raffigurazioni iconografiche dedicate alla “Panaghia”, la “Tutta Santa”. Anche le residue testimonianze archeologiche affioranti a Panaia sono riferibili a un antichissimo luogo di culto di matrice greco-bizantina. 

Chiesa dell'Eremo di Panaghia Eleousa
Lago di Prespa - Macedonia


Negli anni 30, il prof. W. Telfer, dell’Università di Cambridge, aveva già ipotizzato l’esistenza di una chiesa bizantina a Caminia, a poca distanza dalla Grotta di San Gregorio (e non si riferiva alla chiesa di Santa del Mare, che conosceva molto bene). Lo studioso inglese sosteneva, fra l’altro, che potesse trattarsi della prima chiesa ad aver accolto le reliquie di San Gregorio Taumaturgo, Patrono di Stalettì, dopo l’approdo sulla costa ionica, dove erano state condotte dai monaci migrati dall'Oriente. Ma fino al mese di luglio del 1991, non era stata realizzata nessuna indagine archeologica nell’area più prossima alla Grotta, ovvero l’attuale baia di Caminia. All’epoca, ero Delegato alla Cultura e ai Beni Culturali del Comune di Stalettì, quando la prof.ssa Ghislaine Noyé, archeologa dell’École Française de Rome, impegnata in una campagna di scavi con la sua équipe sul sito del “Castrum” di Santa Maria del Mare, si rivolse a me e all’assessore Narciso per chiedere la disponibilità di un mezzo meccanico per realizzare uno scavo d’emergenza proprio a Panaia. Il sondaggio fu eseguito il giorno dopo dagli archeologi francesi, con la collaborazione della sezione locale dell'Archeoclub d'Italia (Rosario Casalenuovo e Antonio Froio). Lo scavo confermò l’esistenza di un'antichissima chiesa bizantina in quella località. “Prima dell'intervento - scrive la prof.ssa Noyé - era visibile la sommità di una volta a semicatino intonacata attribuibile ad una abside (orientata verso nord-est) quasi sepolta. L'agiotoponimo Panajia o Panaia (= panagia), molto frequente nella zona di Catanzaro, che designava pure una sorgente vicina, lasciava supporre l'esistenza di un luogo di culto bizantino dedicato alla Madonna. Il saggio (m. 2,80 x 2,20) ha messo in luce l'angolo nord-ovest e parte del muro laterale dell'edificio che prolunga l'abside. Tale muro, di notevole spessore (m 1,55 circa), è costituito da blocchi di granito locale e tegole medievali cementati con malta solida; esso è stato parzialmente distrutto in antico e leggermente piegato dal crollo di un masso granitico e prosegue oltre la zona esplorata verso sud-ovest. Questa cortina pare anteriore alla parete, più sottile (cm 50 circa), nella quale si apre l'abside: sembra quindi possibile che una prima struttura, di funzione originaria da precisare, sia stata riutilizzata per la sistemazione di una chiesa medievale. Il sito doveva appartenere ai possedimenti della chiesa o monasterio di San Martino, i cui vestigi sono stati individuati e scavati sul promontorio di Copanello, a nord di Santa Maria del Mare” (Ghislaine Noyé, Scavi medievali in Calabria, A: Staletti, scavo di emergenza in località Panaja, Archeologia Medievale, 20, 1993, 499-501).  Dopo l’effettuazione dei rilievi archeologici necessari per documentare l’esistenza della chiesa, il sito venne ricoperto.

ABSIDE DELLA CHIESA DI PANAGHIA
Caminia di Stalettì - Fonte immagine

La chiesa fu edificata nel luogo in cui si trovava l’approdo marittimo al Castrum di S. Maria del Mare, e nella seconda metà dell’XI secolo fu donata da Ruggero I, Conte di Sicilia e di Calabria, all’Abbazia benedettina della SS. Trinità di Mileto.
Oggi il punto in cui affiora il rudere è recintato ed è ancora visibile l’abside semi-cilindrica orientata a Nord-Est, ma le mura della chiesa, con il materiale del crollo, si estendono nel sottosuolo ben oltre la recinzione. È evidente che per tutelare il bene sia necessario mantenere lo stato dei luoghi, compresa la vegetazione che al momento può contribuire a riparare il sito. Almeno fino a quando non sarà possibile avviare una campagna di scavi archeologici per riportare alla luce l'antico luogo di culto e indagarne l'area circostante. Sicuramente la realizzazione in quest'area di bagni pubblici, rete fognaria e di un'area pic-nic con relativo chiosco non risponde a questa importante esigenza di tutela. È necessario un ribaltamento di prospettiva: guardare questo luogo con gli occhi della mente e del cuore, e non anteporre alle “ragioni dell'anima” quelle della pancia dei bagnanti.

Se è vero, come sostiene il Telfer, che la chiesa “vicino alla grotta” sarebbe stata la prima a custodire le reliquie del Taumaturgo, quel “luogo sacro” rappresenta il “cuore” delle radici cristiane di Stalettì. La leggenda agiografica dell’approdo miracoloso delle reliquie del Taumaturgo nella Grotta di San Gregorio è una sorta di “mito di rifondazione” del nostro territorio attorno a un elemento cultuale cristiano. Alla luce di questa lettura in chiave meta-storica, la chiesa di Panaia, edificata probabilmente per accogliere proprio quelle reliquie, acquista una valenza simbolica enorme: in quel luogo si costituì la comunità cristiana da cui discende quella stalettese, in quel luogo ebbe inizio, in un certo senso, la storia di Stalettì. Come dire, fra i “luoghi dell’anima” presenti sul nostro territorio, la chiesa di Panaia, con tutta l’area circostante (ancora da indagare), è certamente il più “sacro”. Nel mondo ortodosso, dove si coltiva il senso della memoria dei luoghi sacri, Panaia sarebbe diventata la meta di una “peregrinatio” incessante. Prendersi cura dell’anima di un popolo significa anche preservarne l’identità. E non c’è identità senza memoria, luoghi, simboli. Non credo che i sacerdoti a cui è affidata la cura pastorale della Comunità di Stalettì abbiano sufficiente consapevolezza di ciò. Non credo che siano a conoscenza dell’esistenza della chiesa di Panaia, e di ciò che rappresenta realmente per il nostro territorio. E dovrebbero essere i primi a voler tutelare a ogni costo questo remoto “luogo dell’anima”. È una forma d’ignoranza che alimenta colpevolmente ulteriore ignoranza, rendendo forse possibile qualsiasi disastro. Come quello che uno sconsiderato piano di “sderrupo” possa fare scempio di qualche millennio della nostra storia. Voglio credere che tutto questo non sia vero e che non lo sarà mai, ma oggi Panaia, la tutta santa, il sogno dei nostri Padri, giace dimenticata sotto il “rifeo fronzuto monte, grembo di notte scura ove la luce è forestiera”.

CAMINIA DI STALETTI'
In basso, l'ingresso via mare alla Grotta di San Gregorio

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