venerdì 26 giugno 2015

Lettera aperta al Sindaco di Stalettì sui lavori a Panaia

Domenico Condito, già Assessore alla Cultura e ai Beni Culturali del Comune di Stalettì, torna sui lavori in corso a Panaia con una lettera aperta rivolta al Sindaco di Stalettì. Nei giorni scorsi era intervenuto sulla stampa regionale e su queste pagine per segnalare l'importanza storica e archeologica dell'area (leggi gli articoli: su "Utopie Calabresi" e su "Il Quotidiano della Calabria").

Gent.ma prof.ssa Concetta Stanizzi, Sindaco di Stalettì, 

Domenico Condito
so che non ama il contraddittorio, che è l’anima della democrazia, ma è un suo problema, e non rinuncerò per questo a esercitare il mio diritto di cittadinanza. 

Oggi, nell’intervista pubblicata dal Quotidiano della Calabria, afferma che a Panaia, dove il Comune di Stalettì ha avviato i lavori per realizzare un'area turistica attrezzata, ha agito nel pieno rispetto della legalità. 
Ricordo che a Panaia, dove gli archeologi hanno segnalato nel 1991 l’emergenza di un’antichissima chiesa bizantina, è presente un’area archeologica ancora da indagare e di cui non si conosce ancora l’esatta estensione. Nel 1997, l’Amministrazione Comunale di Stalettì, di cui ero Assessore alla Cultura e ai Beni Culturali, con il supporto scientifico della prof.ssa Emilia Zinzi, aveva chiesto alle autorità competenti l’adozione di un provvedimento di vincolo del sito, con definizione della fascia di rispetto, e l'esplorazione estesa della zona a rischio circostante. Credo che a tutt’oggi non siano stati adottati i provvedimenti di tutela adeguati, se Lei può affermare di aver agito nel rispetto delle leggi, ma questo lo accerteranno le autorità competenti. Comunque sia, la storia della Calabria, e in particolare del territorio di Stalettì, è quella di una sistematica devastazione di aree archeologiche avvenuta talvolta nel pieno rispetto della legalità. È successo, e può ripetersi ancora, per il colpevole ritardo con cui troppo spesso le autorità competenti vincolano le aree a rischio, nonostante le segnalazioni e i rilievi di archeologi e studiosi. 

Stalettì avrebbe avuto uno sviluppo culturale ed economico di ben altra importanza se, fra gli anni settanta e ottanta, il suo territorio non avesse subito una delle più vergognose e devastanti speculazioni edilizie della storia d’Italia. Una colata di cemento immane che, in fasi diverse, ha quasi completamente distrutto il considerevole patrimonio archeologico del territorio, danneggiandone anche le splendide risorse paesaggistiche. Mi riferisco, in particolare, alla costruzione di un complesso turistico-residenziale sull’area archeologica di Scillacium, la città monastica fondata da Flavio Magno Aurelio Cassiodoro nel VI secolo, e divenuta nei secoli successivi sede di uno dei più importanti insediamenti monastici bizantini del Sud d’Italia. Qui, le ruspe infami hanno distrutto uno dei patrimoni archeologici più significativi d’Europa, talvolta lavorando anche di notte con l’ausilio di gruppi elettrogeni, come quando fu effettuato lo sbancamento per la realizzazione della piscina del villaggio. In quella circostanza, come risulta dalle pubblicazioni degli archeologi dell’École Française de Rome, fu sventrata l’antica necropoli bizantina: i resti di uomini antichi e sapienti, dediti allo studio, alla preghiera e alla composizione di preziosi codici miniati, furono trattati alla stregua di spazzatura, insieme ai rilevanti reperti archeologici che affioravano durante lo scavo. Una triste storia calabrese, dove sommamente invereconda e colpevole fu la latitanza, se non la collusione diretta, delle istituzioni pubbliche deputate alla salvaguardia del territorio e delle sue risorse storiche, artistiche ed archeologiche. I lavori per la realizzazione del complesso si protrassero per diversi anni, in fasi successive. Ben tre furono le Amministrazioni Comunali che si succedettero in quel periodo. E queste non solo non si opposero allo scempio, ma fornirono anche il necessario supporto amministrativo e tecnico per l’espletamento delle pratiche edilizie. Agli atti del Comune di Stalettì esistono, inoltre, alcune autorizzazioni rilasciate dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici della Calabria, con sede a Cosenza, per la realizzazione di parte dei lavori. Non furono invece richiesti i pareri della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, perché l’area interessata non era stata  sottoposta ancora a vincolo archeologico. Appunto! Quest’ultimo elemento, però, non giustifica il mancato intervento della Soprintendenza per i Beni Archeologici, o il comportamento delle Amministrazioni Comunali di quegli anni, ma costituisce, a mio parere, una pesante aggravante. Fin dagli anni trenta diversi e autorevoli studiosi avevano segnalato allo stesso Ente la rilevante importanza archeologica dell’area, identificandola insieme a quella di San Martino, poco distante, come “luogo cassiodoreo”: cito, fra tutti, l’Ispettore onorario Cesare Sinopoli nel 1931, Pierre Courcelle col Marrou nel 1938, ancora Courcelle negli anni cinquanta, e infine Emilia Zinzi con i suoi primi studi degli anni sessanta sui "luoghi cassiodorei". C’erano, insomma, tutti gli elementi e i riscontri tecnico-scientifici necessari per vincolare le aree interessate, e perchè la autorità locali perlomeno si opponessero all’esecuzione dei lavori. In particolare, la mancata adozione del provvedimento di tutela da parte dell’Autorità competente è stata un’omissione gravissima, colpevole e devastante per gli effetti che ha prodotto. Tutti sapevano, nessuno è intervenuto, qualcuno era consapevolmente colluso. Non può essere altrimenti. I lavori, ripeto, sono stati realizzati nell’arco di diversi anni. Ci sarebbe stato tutto il tempo per bloccare la cementificazione e vincolare l’area. 

I vincoli, purtroppo, per salvare ciò che è rimasto dei “luoghi cassiodorei”, sarebbero arrivati soltanto negli anni novanta, grazie all’azione dell’Amministrazione Comunale di cui facevo parte e al mio personale e pressante impegno. Azione che ho sempre condiviso con le associazioni culturali e ambientaliste del territorio (e come non ricordare la conferenza dei servizi a Copanello con l’on. Willer Bordon, sottosegretario del Ministero per i Beni Culturali, o il “filo diretto” con il ministro Veltroni sulle stesse questioni). Operazioni analoghe a quella realizzata sulla Scillacium cassiodorea, furono compiute anche nelle località di San Martino e Palombaro, sempre a Stalettì. Certo, a San Martino sono salvi i ruderi della chiesa, anch’essa recintata come l’abside emergente della chiesa di Panaia, ma è scomparso per sempre il complesso monastico del Vivarium di Cassiodoro, con la sua immensa Biblioteca, che sorgeva tutt’attorno. E pensare che alcune fra le pagine più toccanti de Il quinto evangelio di Mario Pomilio sono ambientate proprio in quel remoto luogo dell'anima; e si tratta dell’ultimo grande romanzo della letteratura europea del Novecento. 

In conclusione, signor Sindaco, se a Panaia non sono stati ancora adottati i necessari provvedimenti di tutela, Lei ha la responsabilità etica e culturale, prima ancora che amministrativa, di sollecitarli al più presto alle autorità competenti. Lei ora è ampiamente informata sull’esistenza e l’importanza dell’area archeologica, che si sviluppa ben oltre l’abside (e non la "fornace") che ha fatto recintare. Non può eludere oltre la questione: rinunci ai suoi lavori a Panaia, e ne divenga il principale tutore e custode. Nel pieno rispetto della legge, ne ha tutte le facoltà!

martedì 23 giugno 2015

MACA
…nel Blu dipinto di Blu…
da Yves Klein, la magia di un colore nell’Arte Contemporanea

http://www.museomaca.it/index.php?lang=itCome ogni anno, in occasione dell’Estate, il MACA (Museo Arte Contemporanea Acri) presenta una grande mostra di respiro internazionale; un’occasione unica per riscoprire il fascino e l’influenza di uno degli artisti fondamentali del Novecento: Yves Klein. Nato a Nizza, nel 1928, e morto a Parigi, poco più che trentenne, nel 1962, Klein, nella sua breve ma intensissima carriera, segnò una rivoluzione con la sua serie di dipinti monocromi, i più importanti dei quali sono quelli blu, ispirati dalla visione della volta del Mausoleo di Galla Placidia di Ravenna. Fu nel 1956 che creò quella che egli stesso definì come «la più perfetta espressione del blu», un oltremare saturo e luminoso, privo di alterazioni, poi da lui brevettato col nome di International Klein Blue (IKB), «rimandando all’infinito, alla spiritualità, al mito, al mare Mediterraneo, antico ventre, laboratorio di profonda storia e cultura, luogo sentimentale e mentale insieme, della percezione del mito di quella che fu la Magna Grecia» (F. Poli).

Yves Klein, Venus Blue, 1960
Partendo da un un’affascinante riproduzione della Venus Blue (1960) di Klein, la mostra segue l’enorme influenza che il maestro francese ha avuto sui suoi contemporanei e sugli artisti successivi, sino ai giorni nostri, trovando nell’utilizzo del colore blu il filo conduttore. 
A partire da sabato 27 giugno 2015, il MACA ospiterà una cinquantina di opere di alcuni dei nomi più significativi della scena artistica dalla seconda metà del Novecento, alcuni dei quali coevi di Klein, come: Daniel Spoerri, Raymond Hains, César, Mimmo Rotella, che con Klein furono partecipi del movimento del Nuoveau Réalisme, sotto la guida del grande critico e teorico Pierre Restany, Pierre Alechinsky, del Gruppo Cobra, Victor Vasarely, padre dell’arte Optical Art internazionale, Hans Hartung, maestro dell’astrazione informale e allievo di Kandinskij, Lucio Fontana, genio innovatore al pari di Klein, nonché suo grande amico, Nanda Vigo del Movimento Zero e Francesco Guerrieri e Lia Drei del Gruppo P; altri appartenenti a generazioni immediatamente successive (tra gli altri: Cesare Berlingeri, Jacques Toussaint, Mimmo Paladino, artista di punta della Transavanguardia, Tano Festa e Mario Schifano, i più importanti rappresentanti della Pop Art italiana, e Jan Fabre, uno dei nomi di spicco del panorama artistico internazionale); due maestri storicamente antecedenti, Luigi Russolo, uno dei grandi futuristi e Sandro Sergi, che offrono una visione del blu ante-Klein; fino alle interpretazioni più contemporanee dell’utilizzo del blu monocromo, come nel caso del Cracking Art Group e del giovane Giuseppe Lo Schiavo, a testimonianza della costante attenzione che il MACA rivolge ai giovani talenti della scena artistica italiana. Si tratta di opere prestigiose provenienti da importanti collezioni private italiane ed europee, oltre che da alcune collezioni pubbliche, come nel caso delle opere di Hans Hartung, Osvaldo Licini e Lucio Fontana, della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno.

Cesare Berlingeri, Oltremare avvolto, 2005
pigmento acrilico su tela piegata
La mostra, promossa dall’associazione Oesum Led Icima, che cura le attività e gli eventi del MACA, e realizzata in collaborazione con l’associazione De Arte-progetti e servizi per l’arte, traccia un percorso che copre gli ultimi cinquant’anni di storia in ambito artistico, esemplificati dalla ricerca legata al blu, cominciata da Yves Klein e tutt’ora in corso, oltre che da una serie di incursioni nella cultura popolare, in particolare in ambito musicale, come suggerisce il titolo stesso della rassegna. Anche in occasione dell'inaugurazione, in una performance musicale, i solisti della Magna Graecia Flute Choir, diretti dal M° Sebastiano Valentino, eseguiranno i brani: Nel blu dipinto di blu (D. Modugno) Il cielo è sempre più blu (R. Gaetano), Il bel Danubio blu (J. Strauss). 

La scelta del blu è indicata dal Prof. Francesco Poli, critico e storico dell’arte di fama internazionale, curatore della mostra, come «l’unico mezzo artistico adatto a rappresentare ciò che è fisicamente invisibile, una sorta di virus che attacca e distrugge il corpo. Un campo monocromo fa da contrappunto visivo, un intenso poema ne scaturisce, un vero e proprio documentario in cui l’interiorità dell’artista è resa visibile dall’istanza pratica veicolata dal colore, il blu, offrendoci uno sguardo sublime della sua anima».

Lucio Fontana, L'attesa, Il telefono rotto, 1959-66
Artisti in mostra: Yves Klein, Pierre Alechinsky, Salvatore Astore, Max Barsini, Cesare Berlingeri, Nicola Bolla, Mimmo Borrelli, César, Paolo Cotani, Cracking Art Group, Roberto Crippa, Giuliana Cunéaz, Gérard Deschamps, Pascal Dombis, Lia Drei, Jan Fabre, Tano Festa, Lucio Fontana, Marco Gastini, Mimmo Germanà, Massimo Ghiotti, Francesco Guerrieri, Raymond Hains, Hans Hartung, Ernesto Jannini, Danièle Jaquillard, Osvaldo Licini, Bengt Lindstrom, Giuseppe Lo Schiavo, Luigi Mainolfi, Gino Marotta, Andrea Massaioli, Fernando Melani, Nino Migliori, Mimmo Paladino, Biagio Pancino, Giulio Paolini, Achille Perilli, Pino Pinelli, Mimmo Rotella, Luigi Russolo, Mario Schifano, Sandro Sergi, Daniel Spoerri, Jacques Toussaint, Grazia Varisco, Victor Vasarely, Ben Vautier, Arturo Vermi, Vettor Pisani, Silvio Vigliaturo, Nanda Vigo.

Mimmo Rotella, La Dolce Vita, 1990
decollare su tela cm 100 x 70

…nel Blu dipinto di Blu… 
da Yves Klein, la magia di un colore nell’arte contemporanea

Luogo: MACA (Museo Arte Contemporanea Acri)
Piazza Falcone, 1, 87041, Acri (Cs)
Curatore: Francesco Poli
Date: dal 27 giugno al 25 ottobre 2015
Vernissage: sabato 27 giugno 2015, ore 18:00
Orari: dal martedì al sabato, 9-13 e 16-20 / la domenica, 10-13 e 16-20
Info: Ufficio stampa MACA
Tel. 0119422568; info@museomaca.it; www.museomaca.it
Catalogo I Quaderni del Museo – n. 24
Testi di: Francesco Poli, Marisa Vescovo, Boris Brollo
Digitalizzazione dell’evento a cura di Oesum Digital Exhibition

sabato 20 giugno 2015

Caminia di Stalettì
PANAIA, UN TESORO DA SALVARE

Domenico Condito, già assessore alla Cultura del Comune di Stalettì, ne spiega pregi e storia nell'intervista pubblicata ieri sul Quotidiano della Calabria, Edizione Catanzaro Lamezia e Crotone a p. 24, e sul sito di Telejonio.

Visualizza pdf


mercoledì 10 giugno 2015

CAMINIA DI STALETTI' - LAVORI IN CORSO A PANAIA
A rischio l'area archeologica?

Il capogruppo consiliare Gregorio Aversa, di “Staletti da Vivere”, rende noto di avere presentato un esposto per la realizzazione di «lavori irregolari in località Panaia». Il consigliere sostiene che sarebbe stato «commesso un grave danno per l'ambiente, in quanto nelle immediate vicinanze persiste il rudere archeologico dell’antica chiesetta di “Panaia”, bene archeologico censito dalle autorità archeologiche» (leggi l'articolo).

di Domenico Condito, stalettese

PANAGHIA ELEOUSA
Facciata della Chiesa dell'Eremo di Panaghia Eleousa 
Lago di Prespa - Macedonia
Il sito archeologico di Panaia, a Caminia di Stalettì, è tanto prezioso quanto misconosciuto da coloro che dovrebbero esserne i custodi più prossimi sul territorio: la autorità comunali e, per altri versi, le istituzioni religiose locali. Fa bene dunque il consigliere di minoranza Gregorio Aversa a richiamare l’importanza archeologica dell’area.
D’altronde, a Stalettì, sono veramente in pochi ad avere consapevolezza della valenza storica e culturale del sito di Panaia, ma anche del suo valore spirituale e religioso. Innanzitutto, l'agiotoponimo “Panaia” deriva dal greco “Panaghia”, un attributo antichissimo della Madonna che vuol dire “Tutta Santa”. Nell’Oriente cristiano esistono diverse chiese che portano questo nome, così come esistono antiche e splendide raffigurazioni iconografiche dedicate alla “Panaghia”, la “Tutta Santa”. Anche le residue testimonianze archeologiche affioranti a Panaia sono riferibili a un antichissimo luogo di culto di matrice greco-bizantina. 

Chiesa dell'Eremo di Panaghia Eleousa
Lago di Prespa - Macedonia


Negli anni 30, il prof. W. Telfer, dell’Università di Cambridge, aveva già ipotizzato l’esistenza di una chiesa bizantina a Caminia, a poca distanza dalla Grotta di San Gregorio (e non si riferiva alla chiesa di Santa del Mare, che conosceva molto bene). Lo studioso inglese sosteneva, fra l’altro, che potesse trattarsi della prima chiesa ad aver accolto le reliquie di San Gregorio Taumaturgo, Patrono di Stalettì, dopo l’approdo sulla costa ionica, dove erano state condotte dai monaci migrati dall'Oriente. Ma fino al mese di luglio del 1991, non era stata realizzata nessuna indagine archeologica nell’area più prossima alla Grotta, ovvero l’attuale baia di Caminia. All’epoca, ero Delegato alla Cultura e ai Beni Culturali del Comune di Stalettì, quando la prof.ssa Ghislaine Noyé, archeologa dell’École Française de Rome, impegnata in una campagna di scavi con la sua équipe sul sito del “Castrum” di Santa Maria del Mare, si rivolse a me e all’assessore Narciso per chiedere la disponibilità di un mezzo meccanico per realizzare uno scavo d’emergenza proprio a Panaia. Il sondaggio fu eseguito il giorno dopo dagli archeologi francesi, con la collaborazione della sezione locale dell'Archeoclub d'Italia (Rosario Casalenuovo e Antonio Froio). Lo scavo confermò l’esistenza di un'antichissima chiesa bizantina in quella località. “Prima dell'intervento - scrive la prof.ssa Noyé - era visibile la sommità di una volta a semicatino intonacata attribuibile ad una abside (orientata verso nord-est) quasi sepolta. L'agiotoponimo Panajia o Panaia (= panagia), molto frequente nella zona di Catanzaro, che designava pure una sorgente vicina, lasciava supporre l'esistenza di un luogo di culto bizantino dedicato alla Madonna. Il saggio (m. 2,80 x 2,20) ha messo in luce l'angolo nord-ovest e parte del muro laterale dell'edificio che prolunga l'abside. Tale muro, di notevole spessore (m 1,55 circa), è costituito da blocchi di granito locale e tegole medievali cementati con malta solida; esso è stato parzialmente distrutto in antico e leggermente piegato dal crollo di un masso granitico e prosegue oltre la zona esplorata verso sud-ovest. Questa cortina pare anteriore alla parete, più sottile (cm 50 circa), nella quale si apre l'abside: sembra quindi possibile che una prima struttura, di funzione originaria da precisare, sia stata riutilizzata per la sistemazione di una chiesa medievale. Il sito doveva appartenere ai possedimenti della chiesa o monasterio di San Martino, i cui vestigi sono stati individuati e scavati sul promontorio di Copanello, a nord di Santa Maria del Mare” (Ghislaine Noyé, Scavi medievali in Calabria, A: Staletti, scavo di emergenza in località Panaja, Archeologia Medievale, 20, 1993, 499-501).  Dopo l’effettuazione dei rilievi archeologici necessari per documentare l’esistenza della chiesa, il sito venne ricoperto.

ABSIDE DELLA CHIESA DI PANAGHIA
Caminia di Stalettì - Fonte immagine

La chiesa fu edificata nel luogo in cui si trovava l’approdo marittimo al Castrum di S. Maria del Mare, e nella seconda metà dell’XI secolo fu donata da Ruggero I, Conte di Sicilia e di Calabria, all’Abbazia benedettina della SS. Trinità di Mileto.
Oggi il punto in cui affiora il rudere è recintato ed è ancora visibile l’abside semi-cilindrica orientata a Nord-Est, ma le mura della chiesa, con il materiale del crollo, si estendono nel sottosuolo ben oltre la recinzione. È evidente che per tutelare il bene sia necessario mantenere lo stato dei luoghi, compresa la vegetazione che al momento può contribuire a riparare il sito. Almeno fino a quando non sarà possibile avviare una campagna di scavi archeologici per riportare alla luce l'antico luogo di culto e indagarne l'area circostante. Sicuramente la realizzazione in quest'area di bagni pubblici, rete fognaria e di un'area pic-nic con relativo chiosco non risponde a questa importante esigenza di tutela. È necessario un ribaltamento di prospettiva: guardare questo luogo con gli occhi della mente e del cuore, e non anteporre alle “ragioni dell'anima” quelle della pancia dei bagnanti.

Se è vero, come sostiene il Telfer, che la chiesa “vicino alla grotta” sarebbe stata la prima a custodire le reliquie del Taumaturgo, quel “luogo sacro” rappresenta il “cuore” delle radici cristiane di Stalettì. La leggenda agiografica dell’approdo miracoloso delle reliquie del Taumaturgo nella Grotta di San Gregorio è una sorta di “mito di rifondazione” del nostro territorio attorno a un elemento cultuale cristiano. Alla luce di questa lettura in chiave meta-storica, la chiesa di Panaia, edificata probabilmente per accogliere proprio quelle reliquie, acquista una valenza simbolica enorme: in quel luogo si costituì la comunità cristiana da cui discende quella stalettese, in quel luogo ebbe inizio, in un certo senso, la storia di Stalettì. Come dire, fra i “luoghi dell’anima” presenti sul nostro territorio, la chiesa di Panaia, con tutta l’area circostante (ancora da indagare), è certamente il più “sacro”. Nel mondo ortodosso, dove si coltiva il senso della memoria dei luoghi sacri, Panaia sarebbe diventata la meta di una “peregrinatio” incessante. Prendersi cura dell’anima di un popolo significa anche preservarne l’identità. E non c’è identità senza memoria, luoghi, simboli. Non credo che i sacerdoti a cui è affidata la cura pastorale della Comunità di Stalettì abbiano sufficiente consapevolezza di ciò. Non credo che siano a conoscenza dell’esistenza della chiesa di Panaia, e di ciò che rappresenta realmente per il nostro territorio. E dovrebbero essere i primi a voler tutelare a ogni costo questo remoto “luogo dell’anima”. È una forma d’ignoranza che alimenta colpevolmente ulteriore ignoranza, rendendo forse possibile qualsiasi disastro. Come quello che uno sconsiderato piano di “sderrupo” possa fare scempio di qualche millennio della nostra storia. Voglio credere che tutto questo non sia vero e che non lo sarà mai, ma oggi Panaia, la tutta santa, il sogno dei nostri Padri, giace dimenticata sotto il “rifeo fronzuto monte, grembo di notte scura ove la luce è forestiera”.

CAMINIA DI STALETTI'
In basso, l'ingresso via mare alla Grotta di San Gregorio

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...