giovedì 31 luglio 2008

Il mondo al femminile nelle «Variae» di Cassiodoro

UN SAGGIO DI ROSSANA COSCO
di Domenico Condito

I dodici libri delle Variae di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro (c. 490 - c. 585 d.C.), oltre che documentare la straordinaria attività pubblica del loro autore, rappresentano la fonte più importante per la conoscenza della storia dell’Italia romano-gotica. Scritte da Cassiodoro nel ruolo di ministro e consigliere di Teodorico, re dei Goti, raccolgono circa 500 epistole e modelli cancellereschi che permettono d’indagare i molteplici aspetti della vita politica, culturale, religiosa e sociale del tempo. Le Variae sono anche una testimonianza preziosa sui problemi della convivenza fra popoli di cultura diversa e sulla ideologia della civilitas dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Nel mezzo di una profonda crisi epocale, segnata da forte spinte disgregatrici, Cassiodoro tentò di proporre un orizzonte culturale unitario, capace di agire da ponte tra passato e futuro, tra goti e latini per salvare la civiltà romano-cristiana: Gothorum laus est civilitas custodita (Variae, IX, 14, 8). Le Variae testimoniano in modo emblematico questo persistente e tenace atteggiamento di politica culturale del grande statista e intellettuale scillacense.
Scritte in un latino di non facile comprensione, vi confluiscono numerosi generi letterari, secondo l’ispirazione di uno stile compositivo molto personale e creativo. Anche per questo, non sono state ancora tradotte integralmente in una lingua moderna. A maggior ragione, apprezziamo lo studio di Rossana Cosco, che ha attraversato l’universo delle Variae cassiodoree, in parte ancora inesplorato, nel tentativo di rappresentare uno spaccato della realtà femminile al tempo di Cassiodoro. Ne è scaturito un prezioso saggio dal titolo “Il mondo al femminile nelle Variae di Cassiodoro”, pubblicato dalle Edizioni Ursini di Catanzaro. ''Col presente lavoro - spiega l'autrice - s'intende pervenire ad un ordinato reticolo concettuale di quelli che si possono ritenere i più significativi temi, problemi e possibilità di riflessione, relative ad un rilevante capitolo contemplato nelle Variae di Cassiodoro Senatore: le donne. L'indagine muove dalla curiosità culturale suscitata dall'accostarsi ad un mondo, contiguo geograficamente al nostro e, contemporaneamente, a noi lontano per cultura, sensibilità e prospettiva storica'' (fonte: ASCA).
Il libro di Rossana Cosco sarà presentato a Squillace il prossimo 13 agosto, con il patrocinio dell'Amministrazione Comunale. Alla presenza dell'Autrice, interverranno il sindaco Guido Rhodio, che è anche presidente onorario e socio fondatore dell’Istituto di Studi su Cassiodoro e sul Medioevo in Calabria; l'assessore alla Pubblica Istruzione e Cultura, Agazio Spanò; il dirigente scolastico G. Battista Scalise, in rappresentanza della casa editrice; e il professor Carmelo Carabetta, Ordinario di Sociologia della Famiglia all'Università di Messina.

Antonio Nunziante, La bellezza non svanirà 
Olio su tela – 40x30

martedì 29 luglio 2008

I "diversi" secondo Anna Maria Ortese

IN DIFESA DEI CERCATORI D'IDENTITA' E D'ANIMA

“Oggi si dà alla parola diverso una dimensione fisica o psichica limitata alla sfera affettiva, personale. I veri diversi, per mia esperienza, sono altri, e sono di sempre: sono i cercatori d’identità, propria e collettiva, e nazionale, e d’anima. Coloro che videro il cielo, che mai lo dimenticarono, che parlarono al disopra dell’emozione, dove l’anima è calma. Che non credono, o credono poco, ai partiti, le classi, i confini, le barriere, le fazioni, le armi, le guerre. Che nel denaro non hanno posto alcuna parte dell’anima, e quindi sono incomprabili. Quelli che vedono il dolore, l’abuso; vedono la bontà o l’iniquità, dovunque siano, e sentono come dovere il parlarne. I cercatori di silenzio, di spazio, di notte, che è intorno al mondo, di luce che è intorno al cuore. Questi diversi, che vorrebbero semplicemente dare il senso del segreto umano, e trovare, o indicare, il rapporto di dovere tra vita e vita, non dovrebbero, io penso, essere considerati scrittori moralistici o politici. Ma è quello che si fa, quando non hanno difesa di confratelli, e lo spazio per loro, nel paese, va vertiginosamente rimpicciolendo. È quello che si fa, se non hanno denaro proprio e, ripeto, sono fragili. A loro la vita viene sottratta con la sottrazione dell’altro – che ora parla altra lingua! E quando vorrà mostrare a che cosa, nel suo paese, e sotto gli occhi di tutti, sia ridotta la vita – discarica e ammazzatoio, dopo allevamento e oscuramento – lo si indicherà come guastatore e visionario. E del resto, poco per volta, facendo scendere su di lui, per ogni libro, la cappa del silenzio o, alzando i megafoni della distorsione, gli saranno tolti lecito guadagno e quella sempre sperata indipendenza; e sotto la spada della dipendenza, condotto a un cortile, un luogo di servitù e di silenzio dove vivono le minoranze – che impediscono gli affari – di tanti paesi, a lui toccherà, con l’indebolimento, un ben strano destino. Di credersi il peggiore e trovarsi, alla fine, dopo mille convulsioni di speranza e di dolore, d’accordo con quanti lo spinsero via e persuasero di essere un sognatore, con nulla o quasi da dire. E forse il castigo, forse non castigo – reale sanzione del nulla a coloro che onorarono la maestà del vivere e patire terreno -, fu l’indurli a credere che non vi era maestà del vivere e del patire. Che la vita, semplicemente, onorava il «buon senso»: e il trionfo del «buon senso» su una qualsiasi fede, il piede pressato freddamente sul cuore del vinto, era in realtà tutto ciò che agli onesti, ai normali, Dio richiedeva”.


lunedì 28 luglio 2008

Dal "De anima" di Cassiodoro

ALLA CALABRIA CHE HA PERSO... L'ANIMA!
(Dedica di "Utopie Calabresi")


"Chi può dubitare del fatto che l'uomo sia dotato di ragione? Lo vediamo dedicarsi all'esame delle realtà divine, alla conoscenza di quelle umane; impara le arti più nobili, si applica nelle discipline più alte; in questo appunto si distingue dagli altri animali in quanto possiede il pregio della ragione. Chiamo "ragione" il movimento argomentativo dell'animo, che, partendo da cose note e certe, conduce a realtà ignote, fino a raggiungere il cuore misterioso della verità. Tale ragione desidera ardentemente arrivare alla conoscenza della realtà naturale, mediante congetture e ragionamenti; è vera, pura e capace di conoscenze sicure e ogni ombra di falsità le è estranea. Dunque le è stata concessa la facoltà di apprendere in qualche modo i propri pensieri e, con l'aiuto della lingua, di esplicitarli con cangiante duttilità.

Quante cose vede l'anima, pur essendo collocata dentro un corpo e senza uscire da se stessa! E quanto diversi sono gli oggetti su cui si sofferma la sua osservazione! Si può quasi dire che si estenda in ogni direzione ed è, tuttavia, certo che non si allontana dal proprio corpo: si muove, si solleva, si sa che fluttua come un'onda, e però vaga in se stessa, come se corresse in un grande spazio. Non esce da sè alla ricerca delle cause, ma si rappresenta con sue considerazioni ciò che afferra con il pensiero: sia ciò che osserva con gli occhi del corpo, sia ciò che concepisce con la fantasia. Pensa con chiarezza una cosa alla volta così come fa quando parla; non raggiunge alcun risultato quando segue gli stimoli forniti dai sensi, perchè in quel caso rimane vittima di una massa dispersiva di elementi: è proprio infatti di Dio mettere in ordine armonioso le molte e differenti realtà e nello stesso tempo esplicarle tutte nelle forme ad esse pertinenti.

L'anima, dunque, così fornita di ragione e dei suoi molteplici benefici, quanti beni è riuscita a trovare con l'aiuto di Dio! Ha scoperto le varie forme nel campo delle lettere, ha mostrato i vantaggi conseguibili e i metodi di applicazione della varie arti, ha cinto con mura di difesa le città, ha inventato vesti di vario genere, con l'industriosità ha reso più abbondanti i frutti della terra, ha solcato i mari con agili navi, ha aperto valichi sui monti a beneficio dei viandanti, ha protetto con barriere i porti a forma di luna per la sicurezza di chi naviga, ha ornato la terra con belle e armoniose costruzioni. Chi mai può dubitare della sua razionalità, dal momento che, per ispirazione e illuminazione del suo Creatore, produce attraverso l'arte ciò che merita lode e suscita profonda ammirazione?".

Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, De anima, traduzione di G. Carraro e E. D'Agostoni - revisione e cura di A. Fontana e R. Favaretto, Servitium editrice, Sotto il Monte (BG) 1998, pp. 47-51.

sabato 26 luglio 2008

Le opere di Tonina Garofalo in mostra a Fiumefreddo Bruzio (CS)

1968-2008. ANTOLOGICA DI PITTURA

www.undo.net - Tonina Garofalo e' una delle piu' autonome espressioni della pittura in Calabria, con diretti e consapevoli rapporti nel mondo dell'arte internazionale. La sua formazione è romana, negli anni piu' intensi dell'Accademia di Belle Arti, dopo le innovazioni seguite ai movimenti del '68. All'Accademia ha avuto tra i docenti, che la seguiranno nelle successive mostre, tra il 1974 ed il 1977, maestri quali Franco Gentilini e Luigi Montanarini. Questi ne rilevo', a parte la maestria del mestiere, "le conoscenze artistiche attuali", riferendosi all'inserimento della pittrice nelle correnti piu' avanzate della ricerca, specie compositiva.
Primo a segnalare la Garofalo era, in tale linea, Cesare Vivaldi registrando l'approdo "a modi non lontani da quelli di tendenze attualissime come la transavanguardia". La pittura della Garofalo si sviluppa in un incontro tra figurazione e astrazione, che anticipa momenti d'oggi, contrastando figure e paesaggio "con forme astratte scagliate veementemente nello spazio".


Si interessano di lei, prima del rientro nella terra nativa (dov'è anche docente di Figura disegnata al Liceo Artistico di Cosenza), Filiberto Menna, Franco Miele, Toni Bonavita. La ricerca culturale prosegue in Calabria, dove intanto è sposa e madre, con residenza a Fiumefreddo Bruzio, alta sul Tirreno. Le mostre romane, dai fratelli Russo e al Palazzo delle Esposizioni, sono un momento intermedio, sino a una ripresa espositiva in atto. Dopo una mostra-incontro al "Quadrato di Idea" (Roma 1989, presentata da Luigi Tallarico e Giuseppe Selvaggi), seguono mostre in gallerie meridionali.
(dal Catalogo XXII Premio Sulmona, a cura di Giuseppe Selvaggi)

Inaugurazione 26 luglio alle 19:30
Studio Arte, sito nella parte antica del paese tirrenico, Fiumefreddo Bruzio (CS)
Fino ai primi di settembre - Ingresso libero

Opera di Tonina Garofalo

L'arte del maestro Ennio Calabria

PITTURA E IMPEGNO CIVILE IN CALABRIA

Mostra di icone russe in Calabria

LE ICONE RUSSE A SANTA SEVERINA, ALTOMONTE, GERACE

SANTA SEVERINA (KR), 12 giu. (Adnkronos Cultura) - Russia e Calabria, due realtà apparentemente distanti che riscoprono radici comuni, durante l’estate, grazie alla mostra "Icone dai Kremlini della Russia Antica". Tra giugno e settembre, l’esposizione porterà il suo patrimonio di arte e cultura a Santa Severina, Altomonte e Gerace, attraverso tre importanti eventi che esporranno oltre trenta tavole realizzate tra XV e XIX secolo, provenienti dalle diverse scuole iconografiche russe fiorite all’ombra dei monasteri racchiusi tra le mura fortificate dei Kremlini. Le opere potranno essere ammirate nel castello di Santa Severina (18 giugno - 29 luglio), nel museo civico di Santa Maria della Consolazione (2 - 29 agosto) e nella cattedrale di Gearce (2 - 30 settembre).Tavole della scuola di Mosca, liberata dall’influenza bizantina del grande maestro Teofane il Greco; le tavole di Pskov, Vladimir e Suzdal; quelle delicate e spirituali realizzate dai monaci artisti di Novgorod; tavole di grandi dimensioni e iconostasi segneranno le tappe di un percorso espositivo che si conclude con l’icona ottocentesca dedicata a San Nicola, protettore dei marinai, delle giovani in attesa di sposarsi e dei bambini, dorata e impreziosita con smalti policromi. La mostra rappresenta l’occasione per incontrare la Russia, la sua cultura, la storia, l’arte e la fede: esponendo icone russe di derivazione bizantina, l’evento si ricollega all’antica storia della terra calabra e agli idiomi locali ancor oggi in uso. La realizzazione delle tre tappe della mostra è stata resa possibile dalla volontà dei sindaci delle tre località calabre, della provincia di Crotone e della regione, in rappresentanza di una terra in cui vivono comunità greco-albanesi spiritualmente legate alla tradizione religiosa bizantino-ortodossa, magistralmente rappresentata in "Icone dai Kremlini della Russia Antica".

"Colloquio d'ulivi" di Nicola Silvi

Son sempre verdi sulla mia collina
gli ulivi secolari.
Fissi contemplano il mare
antico.
E gli uni conversano
con gli altri in un colloquio fitto
di reciproci fiati stanchi
a raccontar leggende mai legate
e fole ignote di ere mai venute.

Non s’ode la voce del mare
ma gli ulivi ne intendono il lucore.
Non si intende il sussurro degli ulivi
ma il mare ne ascolta gli ultrasuoni.

Il loro tempo è altro tempo:
tempo secolare e millenario
bruciante tra le dita dei mortali.

Il loro linguaggio è altro linguaggio
di natura sognante nell’estasi.

Tra essi giaccio immemore
del loro linguaggio segreto
fatto di cifre indecifrabili.
O forse solo ora ne scopro il velame?

Nicola Silvi

Estratto da: Nicola Silvi, La misura della vita, a cura di Giovanni Amodio, Schena Editore, Fasano (BR) 1995, p.100.
Tutte le opere di Nicola Silvi sono disponibili alla consultazione presso la Biblioteca Comunale "Vivarium" di Stalettì (Catanzaro).

Ulivo secolare

mercoledì 23 luglio 2008

Ugone Bressi da Stalettì, Priore della Certosa di Serra San Bruno


Dedicato a

Padre Ugone Bressi da Stalettì

Priore della Certosa di Serra San Bruno
dal 1760 al 1762


Alla luce attraverso i silenzi della "notte"

"Non è nella luce di una parola che bisogna cercare la luce. La luce di una parola appartiene ancora al creato, all'effimero, al nulla. Se vi ci fissiamo, restiamo in cammino, non raggiungiamo il termine mai. Ecco perchè all'anima, ch'egli ama, Dio fa la grazia di rfiutargliela. La lascia nella notte. Ed è la notte che diventa la luce: Et nox illuminatio mea in deliciis meis".

Estratto da: Ermanno Ancilli, Dal silenzio della Certosa - Scritti spirituali, Città Nuova, Roma 1977, p. 142

martedì 22 luglio 2008

L'altro mare...

Dulce Pontes - Canção do Mar

Alfonso Rendano, il musicista calabrese che Rossini definì "un genio"

di Domenico Condito

Poco conosciuto in Italia, ancor meno in Calabria, che pur gli ha dedicato il suo principale teatro a Cosenza, Alfonso Rendano fu uno dei musicisti italiani più significativi della tradizione tardo-romantica sviluppatasi fra la seconda metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Compositore versatile e originale, fu anche un  pianista straordinario. Un esponente della grande scuola pianistica napoletana, ispirata dal concertista internazionale Sigismondo Thalberg, che fu anche insigne didatta e scopritore di talenti.
Era un musicista dalla personalità spiccata, peraltro riconosciuta dalla critica musicale del suo tempo, ma oggi la sua conoscenza è limitata a un pubblico d’essai e affidata a qualche rara incisione discografica. La critica musicale attuale ha avviato una profonda rivalutazione critica della sua opera, riconoscendogli una propria originalità stilistica ed espressiva nel panorama musicale italiano fra Otto e Novecento. Ne tracciamo un breve profilo biografico e artistico.
Alfonso Rendano nacque a Carolei, in provincia di Cosenza, nel 1853. Bambino prodigio, ricevette la sua prima formazione musicale a Caserta. Nel 1863, a soli dieci anni, superò brillantemente l’esame di ammissione al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, dove rimase però solo sei mesi. Qui fu subito notato e apprezzato da Mercadante e da Thalberg. A undici anni si esibì per la prima volta in pubblico al Circolo Bonamici di Napoli, incoraggiato dal suo primo maestro Giorgio Miceli, e fin da subito fu giudicato un raro talento musicale. Dal 1866, Thalberg lo accolse fra i suoi allievi privati accanto a Beniamino Cesi, Costantino Palombo e Giuseppe Martucci, anch’essi destinati alla fama precoce e a una brillante carriera musicale. In seguito, Thalberg, consapevole delle notevoli possibilità del ragazzo, inviò il giovane talento calabrese a Parigi dall’amico Gioacchino Rossini, con la raccomandazione di trovargli un insegnante di valore. Rossini riconobbe nel giovane musicista “un piccolo genio” capace di onorare la tradizione musicale italiana, e gli procurò una borsa di studio per poter seguire le lezioni di George Mathias, ch’era stato l’allievo prediletto di Chopin.
Per gli studi di composizione si recò nel 1868 a Lipsia, dove ebbe come maestri Reinecke e Richter. A Parigi conquistò presto una grande celebrità sia come pianista che come compositore, e iniziò una lunga tournée internazionale, che lo portò a raccogliere grandi successi in tutt’Europa. Fra i suoi convinti estimatori musicisti del calibro di Anton Rubinstein, Daniel Auber e Franz Liszt. Conobbe Anton Rubinstein in Germania, dove si esibì sotto la direzione di Bottesini, e sarà proprio il celebre compositore e pianista russo a diffondere le musiche di Rendano in Russia.
Fondamentale il suo passaggio a Vienna nel 1880. Nella capitale austriaca divenne amico di Hans von Bulow e, soprattutto, di Franz Liszt. Quest’ultimo lo trattenne con sé per qualche mese a Weimar. Durante questo periodo Liszt ebbe modo di apprezzare il notevole Concerto per pianoforte e orchestra del maestro Rendano. Questa felice circostanza consentì al maestro calabrese di far conoscere il suo Concerto, seppure nella riduzione per due pianoforti, in collaborazione con lo stesso Liszt, che mostrò interesse anche per il suo Quintetto per pianoforte e archi (1879).
Quella di Rendano fu vera gloria, e ciò indusse il Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli a conferirgli nel 1883 la cattedra di pianoforte, che il maestro, insofferente verso le istituzioni pubbliche, mantenne solo per qualche anno, fino al 1886, preferendo l’insegnamento privato a quello pubblico. A Napoli affiancò sempre l’attività didattica a quella di concertista. Proseguì poi il suo insegnamento a Roma, dove fondò un importante “Istituto Musicale”.
Il maestro calabrese fu anche un innovatore in campo strumentistico, e si deve a lui l’invenzione del pedale indipendente, detto anche terzo pedale o pedale Rendano, che applicato al pianoforte consentiva di prolungare le vibrazioni di un determinato suono.
Riconosciuto come uno dei maggiori pianisti europei del suo tempo, interpretò un vasto repertorio prevalentemente romantico, ma non solo, comprendente Bach, Scarlatti, Beethoven, Weber, Schumann, Chopin, Mendelssohn, Liszt, Rubinstein. Memorabile rimase il suo concerto per la Società del Quartetto di Milano nel dicembre del 1874, così come si ricordano i concerti in cui eseguì l’integrale delle Sonate di Beethoven, e le collaborazioni concertistiche con il mitico violinista Joachim, intimo amico e confidente di Brahms. “Comprensibile, dunque, che nel Rendano compositore travasi l’appresa esperienza romantica. Le sue opere si legano difatti strettamente a quella splendida stagione spirituale nelle sue forme più tardive ed aggiornate. Ma Rendano recò in quell’esperienza, inizialmente centroeuropea, anche la forte caratterizzazione delle sue radici etniche, innestando una sensibilità meridionale, che in quegli anni andava trovando spazi nella letteratura (e non solo musicale) verista sul ceppo della storica e non ancora spenta tradizione romantica. Fu insomma il suo, un romanticismo postumo, illuminato dalla grande conoscenza della letteratura musicale europea, ma anche ringiovanito di nuova linfa da idee musicali e temperamento tutti meridionali, dunque lontani o “periferici” rispetto ai luoghi di propulsione della grande Romantik tedesca. Temperamento ed idee generalmente sino allora piuttosto convogliate nel grande alveo del melodramma italiano, dall’antica e gloriosa Scuola napoletana settecentesca a Bellini e Mercadante, sino al più giovane Giordano e al conterraneo Cilea. E lo stesso Rendano, del resto, non resisté, almeno una volta, a cimentarsi con la prova del fuoco del melodramma componendo per il Teatro Regio di Torino Consuelo (1902), su un romanzo di George Sand, opera che destò consensi soprattutto in terra tedesca” (Lorenzo Tozzi, Alfonso Rendano, un romantico dal profondo Sud, dal libretto del cd: Alfonso Rendano, Piano Quintet - 9 Piano Pieces, Aura Music, 1999).
La sua produzione comprende circa settanta brani per solo pianoforte, un Concerto per pianoforte e orchestra, un Quintetto per pianoforte e archi, un Allegro in la minore per due pianoforti, l’opera Consuelo ed alcune composizioni d’insieme, fra le quali la Marcia funebre in morte di un pettirosso per piccola orchestra. Segnaliamo, in particolare, il citato Quintetto per pianoforte e archi, che riassume in modo emblematico lo stile e la poetica del maestro Rendano, sospeso fra il Romanticismo di matrice tedesca e una certa musicalità tipica della tradizione popolare calabrese. Significativo, in tal senso, il movimento centrale Trio “alla calabrese”, che ripropone il tema di un antico canto popolare calabro che filosofeggia sulla morte. Il movimento sviluppa il tema popolare attraverso variazioni inusuali per carica drammatica ed estrazione climatica, prima di sfociare nell’Allegro con fuoco finale, febbrilmente schumanniano. Il Quintetto composto nel 1879, dopo i due quintetti di Sgambati e coevo con quello di Martucci, riscosse subito un grande successo, al punto che il mitico Quartetto Joachim lo eseguì più volte con lo stesso Rendano al pianoforte. Il grande musicista calabrese morì a Roma nel 1931.



sabato 19 luglio 2008

Gemellaggio Stalettì - Lisbona

Nel corso della conferenza che ho tenuto a Stalettì, lo scorso 7 giugno, su “Il culto di San Gregorio Taumaturgo a Lisbona nell’età di Filippo II”, ho lanciato l’idea di un gemellaggio fra Stalettì e Lisbona, e fra la Biblioteca Comunale Vivarium e il Museu de São Roque, che aveva concesso il Patrocinio Culturale all’importante evento. A dire il vero, avevo già proposto l’iniziativa alla direzione del Museu de São Roque, una delle più prestigiose istituzioni culturali del Portogallo, durante il mio soggiorno-studio nella capitale portoghese, ottenendo una prima disponibilità alla realizzazione del progetto. Il successo della conferenza, e l’ampio risalto che ha avuto in Portogallo, hanno indotto la Direzione del Museu de São Roque ad indirizzarmi una lettera, nella quale viene ribadita ufficialmente la piena adesione alla proposta di gemellaggio, che ora andrà progettato nei dettagli con il Comune di Stalettì, la Biblioteca Comunale Vivarium, il Comune di Lisbona e, naturalmente, il Museu de São Roque. L’importante Museo portoghese custodisce, all’interno di uno splendido reliquario, il cranio di San Gregorio Taumaturgo, che fino al XVI secolo si trovava a Stalettì, nella chiesa dedicata al Santo. Nel corso della mia conferenza ebbi modo di presentare, in anteprima assoluta, l’eccezionale documentazione fotografica della reliquia, grazie alla disponibilità del Museu de São Roque, che ha deciso la riapertura, dopo diversi secoli, del prezioso reliquario, per consentirmi lo studio della reliquia. In occasione del gemellaggio l'antica reliquia potrà tornare a Stalettì ed essere esposta per qualche tempo, con il suo reliquario, nella chiesa di San Gregorio, dove fu venerata per secoli. La lettera inviatami dal Museu de São Roque è firmata dal dott. António Meira, uno dei massimi dirigenti del Museo, a nome della Direttrice Teresa Morna e dell’Amministrazione della Santa Casa da Misericórdia, l’ente che gestisce il Museu de São Roque.
Ecco il testo della lettera:

Caríssimo Domenico
Muitos parabéns pelo êxito da sua Conferência sobre "Il culto di San Gregorio Taumaturgo a Lisbona nell'età di Filippo II", no passado dia 7 de Junho, em Stalettì. Estou ansioso por ver o seu estudo publicado integralmente (...).
Muito obrigado por ter realçado o contributo do Museu de São Roque tanto para suas pesquisas como na divulgação da célebre relíquia de San Gregório Taumaturgo. Graças a si o nosso Museu está a ganhar uma projecção internacional verdadeiramente notável. A responsável pelo Museu bem como a Administração da Santa Casa estão a par destes desenvolvimentos históricos e culturais, e estamos abertos a promover um projecto de intercâmbio cultural com o Município de Stalettì. Estou convencido que vamos realizar este projecto, o qual trará uma grande projecção tanto para a Região da Calabria e Stalettì, como para a cidade de Lisboa e São Roque, em particular.
A Drªa Teresa Morna envia-lhe muitas saudações e agradece os cumprimentos (...).
Com os melhores cumprimentos para si e para Laura
António Meira

Sono certo che Stalettì saprà cogliere l'importanza di questa straordinaria opportunità di scambio culturale e d'amicizia.
Domenico Condito

VEDI ANCHE:
Riapre il Museu de São Roque di Lisbona, una delle più prestigiose istituzioni culturali del Portogallo
In mostra 500 anni d'arte e di storia.
L'importante legame con Stalettì, in Calabria.

Lisbona - Stalettì: andata e... ritorno!

Mariza - Chuva - Fado

Per Laura, sognando Lisbona...

António Zambujo - Pra Onde Quer Que Me Volte (Trindade)

venerdì 18 luglio 2008

Il proletariato dell'opposizione secondo Corrado Alvaro

A proposito dell'attualità di Corrado Alvaro...

"V'è un gruppo di persone che crede di avere il privilegio dell'opposizione, e forse immagina di cospirare. Il fatto è che la ricchezza la mette al riparo dalla tirannia quotidiana e dal nostro dimenarsi in cui si lascia sempre qualcosa della propria integrità con grande vergogna e grandi rimorsi e disperazioni. E la loro condizione di gente in evidenza, con amici all'estero, risparmia ad essi ogni attacco brutale. Per la vecchia classe politica italiana, le passioni civili erano dei privilegi, cose escluisive di partito, faccende tecniche cui i profani non erano ammessi. Rotta l'opposizione, molti ripararono all'estero, altri si ritirarono con la protezione di ricchi patrimoni. I poveri rimasero sulla strada, senza segni di solidarietà, battuti di continuo da quelli che trovavano negli indifesi un comodo bersaglio, e tenuti in sospetto dagli amici di ieri. Il proletariato dell'opposizione".
Corrado Alvaro, Quasi una vita, Bompiani, Milano 1994, p. 173.

giovedì 17 luglio 2008

Calabria, la «Terra del Mare» degli antichi greci

“L’uomo poeta di cui parliamo è caduto in un «antron» oscuro di una terra chiamata Calabria. Forse anche il toponimo non appartiene a questa «regione», o le deriva da altri luoghi. Le memorie tramandano che un tempo il suo nome era Enotria o Italia, terra di Enos o di Italo, del vino o del guerriero, dell’euforia o del moto, del ben sopportare la vita o del ben vivere la vicenda del mondo. Il mare la cinge: l’elemento liquido le è connaturato. Il toponimo varia: il «topos» dilegua nell’«onoma» inteso come «regione», ma anche come «cantare» e «recitare». L’apofonia muta il destino delle parole nel variare del suono, che, simile alla luce, cangia toni, accenti, fiati, illuminandoli e chiaroscurandoli, trasformandoli col proprio «tropos» e la propria «morphé». Del «luogo» non rimane che un’eco. La terra del Poeta del quale si parla è forse una thule misteriosa, o un «topos» mentale. La storia ci dice che il suo nome è «Magna Grecia». Ciò è certo; e il certo si converte nel vero. La civiltà dei portenti migrò su questa terra e la nomarono con lo stesso nome della «patria», e in essa trasmigrarono le «cose dei padri». Fu il «topos» ideale, l’«antron» che si fece «patria» simile alla propria «casa», il «topos» ignoto e bramato ove, pervenuti, si vive a proprio agio. I greci, qui giunti per varie loro vicende, vi portarono la nostalgia della «casa» lontana, ma da emigranti coscienti sentirono la forza e la potenza di ciò che portavano con sé . L’emigrato conserva e radica ancor di più i valori del proprio «mondo» originario. La sua cultura nella terra nuova si radicalizza e si affina: Dei e padri, casa e famiglia, usi e costumi assurgono a fondamenti vitali e si sprofondano in zone umorali. Se nella propria patria ogni cosa appare naturale, lontani da essa le medesime cose vengono sottoposte a ragione e a riflessione, ovvero si «misurano» per ristabilirne il «valore» nel fluire della vita, ovvero del «rhéin» del tempo: nel «ritmo» delle opere e dei giorni. La civiltà degli avi si fa divina e rinsalda i vincoli. I Greci attraversano l’Oceano e approdano sui lidi della «Terra del Mare» apparsa ai primi naviganti come un miraggio. Vi si fermano, fondano città, fanno proprio lo spazio e lo correlano intimamente a quello dei padri. I grandi insediamenti calamitano sempre l’attenzione: Taranto, Metaponto, Sibari, Crotone, Caulonia, Regio sono i centri polari della loro civiltà; ma lungo le coste i greci occupano ogni «punto», ricercano ogni angolo, si diffondono in ogni «dove». La «Terra del Mare» non pone loro resistenza; il toponimo di Metaponto diviene emblematico: il mare è solo un «ponte» da percorrere per raggiungere l’altra sponda dello spazio originario. Tutto accade nella maniera naturale e a compimento del Destino. Questa «Terra del Mare» era ugualmente greca. Lungo le rive i piccoli centri fioriscono, le piccole comunità vi si propagano, gli uomini e le donne si moltiplicano. La vita si vive «naturaliter».
Vien da supporre che i greci qui trovassero la loro patria «ideale», quella dei sogni sublimi, quella delle evasioni spirituali, quella della fondazione dei sistemi mentali. Pitagora ne è l’esponente più rappresentativo. La loro lingua si espande e penetra nella realtà quotidiana e nell’intelligenza del mondo. I conquistatori pare non debbano imporre né il loro linguaggio né le loro leggi. In questa acquorea «isola» i greci non trovano nemici da schiavizzare. I Bretti abitano sulle alture, lontani dai lidi, lontani dal mare; e le guerre con essi sono violente ma rare. La lingua greca nel volgere del tempo diviene il sostrato della civiltà reale e si protrae sino a oggi a livello popolare e dialettale. Ciò viene a significare che la civiltà greca si radica genuinamente nella Magna Grecia. Il «topos» si dilata sino a quasi scomparire nel mondo della visione”.

Nicola Silvi

Estratto da: Nicola Silvi, Linguaggio del tempo-spazio nel "Poeticus" di R. Aloisi, Lacaita Editore, Manduria 1986, pp. 9-10.

Tutte le opere di Nicola Silvi sono diponibili alla consultazione presso la Biblioteca Comunale "Vivarium" di Stalettì (Catanzaro).
Antonio Nunziante, Mito infranto
Olio su tela, cm 40x50 (2000)
Collezione privata

In alto a sinistra, all'inizio della pagina: Antonio Nunziante, Dialoghi misteriosi - Olio su tela, cm 80x40 (2001) - Opera pubblicata in: Vittorio Sgarbi, Antonio Nunziante, Giorgio Corbelli Editore 2001, p.186.

lunedì 14 luglio 2008

Opere del maestro Antonio Nunziante


Opere del maestro napoletano Antonio Nunziante.
Musica: Giovanni Battista Sammartini - Sinfonia in Do Maggiore "Andante e affettuoso" - Aradia Ensemble - Kevin Mallon

martedì 8 luglio 2008

"Il Sud" di Jorge Luis Borges

Da uno dei tuoi cortili aver guardato
le antiche stelle,
dal sedile in
ombra aver guardato
quelle luci disperse
che la mia ignoranza non ha imparato a nominare
né a ordinare in costellazioni,
aver sentito il cerchio dell'acqua
nella segreta cisterna,
l'odore del gelsomino e della madreselva,
il silenzio dell'uccello addormentato,
l'arco dell'androne, l'umidità
- tali cose, forse, sono la poesia.

Estratto da: Jorge Luis Borges, Tutte le opere, a cura di Domenico Porzio, volume primo, Mondadori, Milano 1997, p. 17.

Metamorfosi - rinascita

Antonio Nunziante, Metamorfosi - rinascita
Olio su tela, cm 50x40 (2001) - Collezione privata
Opera pubblicata in: Vittorio Sgarbi, Antonio Nunziante, Giorgio Corbelli Editore 2001, p. 162.

Il mondo moderno secondo Charles Peguy

"Subito dopo di noi comincia il mondo che noi abbiamo chiamato e continueremo a chiamare il mondo moderno. Il mondo che fa il furbo. Il mondo delle persone intelligenti; progredite, scaltrite, delle persone che la sanno lunga, alle quali non si può darla ad intendere. Il mondo di quelli che non hanno più niente da imparare. Di quelli che fanno i furbi. Che non si fanno imbrogliare, che non sono degli stupidi. Come noi. Vale a dire: il mondo delle persone che non credono più a niente, neppure all'ateismo, che non si danno, non si sacrficano mai. Precisamente: il mondo di quelli che non hanno una mistica. E se ne vantano. Non bisogna ingannarsi, e non è il caso di rallegrarsi né da una parte né dall'altra. [...]
La medesima incredulità, l'identica incredulità colpisce gli idoli e Dio, colpisce insieme i falsi dei e il vero Dio, gli dei antichi e il Dio nuovo, i vecchi dei e il Dio dei cristiani. La medesima sterilità inaridisce la città e la cristianità. La città degli uomini e la città di Dio. E questa è la sterlità moderna. Nessuno dunque si rallegri della disgrazia che colpisce il nemico, l'avversario, il vicino. Perché la stessa disgrazia, la stessa sterilità colpisce lui pure. Come mille volte ho ripetuto nei miei Cahiers, anche quando non erano ancora letti, la questione non è fra Repubblica e Monarchia, fra Repubblica e Regalità, soprattutto considerandole come forme politiche, come due forme politiche opposte, non è neppure fra il vecchio e il nuovo regime francese, ma è nel fatto che il mondo moderno si oppone non solo al vecchio regime francese, ma ad ogni cultura precedente, ad ogni regime precedente, a ogni società precedente, alla cultura insomma e alla società. È infatti la prima volta nella storia del mondo che un mondo intero vive e prospera, sembra prosperare contro ogni cultura".

Estratto da: Charles Péguy, Lui è qui, pagine scelte a cura di Davide Rondoni e Flora Crescini, BUR, Milano 2003, pp. 215-216.

lunedì 7 luglio 2008

"Il Filosofo" di Nicola Silvi

Il volgo credette che io vivessi
in un mondo di nuvole
e mi lasciò solo
nel duro lavoro di anni,
intento a trovare una sintesi
alle tesi e alle antitesi.
Ma io non pensai al volgo
e sognai un futuro
in cui egli comprendesse
che io lottai per conciliare
il mio duro pensiero e la sua dura vita,
per trasformare delle nuvole in pietra.

NICOLA SILVI

Estratto da: Nicola Silvi, La terra si nutre di orme, Editrice sallustiana 1973, p. 166.

Magritte, Il castello dei Pirenei, 1959
Olio su tela, cm 200,3x145 - Gerusalemme, Israel Museum

Un punto della Calabria: Stalettì (A Nicola Silvi)

Si bagnarono in queste acque / i suoi occhi fanciulli, / si aprirono a questo sole; / voce di mare e vento / fu il suo canto / nel volo dei gabbiani / la sua mente / trovò appigli di luce / e d'infinito. / Lanciò da questi scogli / di terra arida / e uomini adombrati / traiettorie di pensiero fecondante / verso lidi lontani / e altri scogli. / Ascoltò le parole del tempo / e all'ombra del silenzio / sulla tela della solitudine / tramò disegni d'amore, / annodò fili d'amicizia che perdura. / La sua vela di sogni e di speranza / veleggia ancora per aperte onde. /

GIOVANNI CHIELLINO
(Torino)
Estratto da: Nicola Silvi, La misura della vita, a cura di Giovanni Amodio, Schena Editore, Fasano (BR) 1995, p. 29.
 
Il mare di Caminia a Stalettì (Catanzaro)

Bio-Bibliografia di Nicola Silvi

Nicola Silvi nacque a Stalettì in provincia di Catanzaro il 21 ottobre del 1922 e nello stesso paese morì il 28 agosto 1993. Laureatosi in lettere, da giovane fonda con il fratello il primo quotidiano italiano nel sud liberato. Inizia per Silvi una lunga carriera giornalistica che lo vede redattore, al Momento Sera prima e al Corriere di Roma poi. Svolge contemporaneamente una intensa attività letteraria come scrittore e saggista, critico letterario e poeta. Dopo un lungo viaggio in Liguria scrive il libro Pietre Rubate alle Rovine del 1970. I vari profili presenti nel volume, sono il risultato di una serie di incontri ed interviste con personaggi tra i quali ricordiamo: Giovanni Papini, Giacomo Manzù, Dacia Maraini, Giuseppe Ungaretti, Panfilo Gentile, Salvatore Quasimodo, Ezra Pound. Dal '73 all'82 scrive il libro in versi La Terra si Nutre di Orme, stampa il romanzo-saggio Decantazione spedito al Premio Villa San Giovanni con lo pseudonomo "Anonimo Calabrese" dove riceve un premio, cura un volumetto su Cassiodoro fondatore nel suo paese natio del "Vivarium". Nel 1983 pubblica un ampio saggio critico, Pretesto Bernari, in cui, tra i vari argomenti affrontati, troviamo il concetto del tempo in quanto "Verità"; un Tempo che implica necessariamente il tema della "Realtà" dove la paura del Mito viene esorcizzata dal lume razionale delle "cose". Del 1986 è il saggio critico Linguaggio del Tempo-Spazio nel "Poeticus" di R. Aloisi. Qui l'analisi inizia con un tentativo di scoprire, nella scuola di Pitagora, il valore della misura quale fondamento della metageometria contemporanea e trova nella poesia dell'Aloisi la risposta alle moderne istanze della scienza sul concetto di Tempo e di Spazio. Nel 1988 pubblica un saggio-ipotesi dal titolo Dalla Comunalia di Cassiodoro Senatore alla Città del Sole di Tommaso Campanella. Il saggio, che è anche un invito a visitare i luoghi cassiodorei nel territorio di Stalettì, propone un affascinante itinerario in uno spazio senza luogo, in una U-Topia.Da alcuni anni ormai, da quando decise di stabilirsi nel suo paese natio, Nicola Silvi curava una rubrica sul Corriere di Roma dal titolo Stalettì: un punto della Calabria. E proprio da questo punto della Calabria che egli, stimolato dall'antica fecondità intellettuale di questi luoghi, con i suoi articoli tocca i punti più scottanti della realtà culturale locale per irrompere poi su un fronte molto più vasto, là dove emerge chiaramente l'appassionata ricerca filosofica che andava conducendo. Esprimendo liberamente il suo pensiero, Nicola Silvi ha sempre cercato di combattere gli abusi, l'apatia e l'oscurantismo divenendo, per quanti lo hanno conosciuto, un costante stimolo intellettuale.
Si ringrazia la vedova di Nicola Silvi sig.ra Maria Borrello e l'ing. Antonio Froio per la preziosa consulenza e collaborazione.
GIOVANNI AMODIO

Estratto da: Nicola Silvi,
La misura della vita, a cura di Giovanni Amodio, Schena Editore, Fasano (BR) 1995, pp. 187-188.


Il poeta Ezra Pound intervistato da Nicola Silvi

venerdì 4 luglio 2008

Il "Manifesto di Utopie Calabresi"

Delle radici de' gran mali del mondo
di Tommaso Campanella

"Io nacqui a debellar tre mali estremi:
tirannide, sofismi, ipocrisia;
ond'or m'accorgo con quanta armonia
Possanza, Senno, Amor m'insegnò Temi.
Questi princìpi son veri e sopremi
della scoverta gran filosofia,
rimedio contra la trina bugia,
sotto cui tu, piangendo, o mondo, fremi.
Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno,
ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno,
tutti a que' tre gran mali sottostanno,
che nel cieco amor proprio, figlio degno
d'ignoranza, radice e fomento hanno.
Dunque a divellar l'ignoranza io vegno".

Aderisci al "Manifesto" firmando un commento. Per pubblicare su "Utopie Calabresi" invia i tuoi articoli a domenicocondito@gmail.com. Il nostro Blog promuove e sostiene pensieri, studi, creazioni artistiche, iniziative, eventi e "sommovimenti" utopici che mettono al centro l'Uomo e non i Sistemi che l'opprimono... Inviateci le vostre segnalazioni. Grazie!

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