venerdì 31 ottobre 2008

LICIO GELLI IN TELEVISIONE: "UN NUOVO TENTATIVO PER INQUINARE LA VITA PUBBLICA"

Dichiarazione di Rosy Bindi, vice-presidente della Camera dei Deputati

(ASCA) - Roma, 31 ott - ''Tornano i fantasmi del passato ed è inquietante che in Tv vada in onda l'autocelebrazione di Licio Gelli e un nuovo tentativo di inquinare la vita pubblica''.
Ad affermarlo è Rosy Bindi (Pd), vicepresidente della Camera.
''Non abbiamo mai avuto dubbi - aggiunge - su chi era davvero Berlusconi e sulla sua iscrizione alla P2. Di questo dobbiamo essere tutti grati a Tina Anselmi che ha avuto il coraggio di scoperchiare la trama pidduista. Dopo i suggerimenti di Cossiga su come condizionare il movimento degli studenti e le dichiarazioni di Gelli dobbiamo essere ancora più avvertiti e vigilanti sui rischi che corre la nostra democrazia''

Scuola: sciopero. Reggio risponde

Articolo di Grazia Candido, pubblicato su BELLACIAO

Un corteo tranquillo ma incisivo per ribadire anche dallo Stretto, un secco “no” al decreto Gelmini. Il Dl 137, approvato ieri in via definitiva al Senato con 162 voti a favore, 134 contro e 3 astenuti, ha mobilitato questa mattina studenti, presidi, insegnanti, politici, sindacati di categoria e tanti precari che, già alle 9 di stamani da Piazza De Nava, hanno iniziato tutti insieme una civile protesta “per una scuola di qualità pubblica”.

Cori compatti, applausi, striscioni e cartelloni esplicativi i diritti di docenti e studenti, sono gli elementi dominanti di una giornata reggina che, in concomitanza con lo sciopero generale indetto per chiedere il ritiro dei decreti sull’istruzione ed aprire un tavolo di confronto con le parti sociali, fa sentire la voce del popolo della scuola “stanco di essere continuamente penalizzato – afferma il rappresentante del comitato studentesco dell’istituto “Panella”, Domenico Pecora – da scelte politiche che invece di mandare avanti il settore culturale, lo seppelliscono con norme indecorose e inopportune”.

E per dimostrare come la scuola potrebbe davvero “passare a miglior vita”, il comitato studentesco di Reggio per tutto il corteo, ha mostrato in bella vista una bara funebre “nella quale è riposto – gridano all’unisono gli studenti dello Stretto – il sapere di tutt’Italia”.

A sostenere questa “battaglia difficile ma ancora tutta da definire”, il rappresentante del Consiglio amministrativo dell’Ardis, Antonino Castorina che annuncia “la mobilitazione nelle piazze già da domani mattina, con un referendum per abrogare la legge”.

“Questa non è una protesta politica ma è un fermento democratico spontaneo – aggiunge Castorina - che non accetta una riforma fatta per penalizzare la ricerca, la scuola, la formazione, punti cardini che dovrebbero essere inseriti nelle priorità del Governo”.

Tra i giovani spiccano anche molte note figure politiche del Pdci e Rifondazione comunista che, contestano parallelamente le dichiarazioni del Premier Berlusconi che “giustifica tutto questo scompiglio studentesco – sottolinea Enzo Infantino – gettando la colpa alla Sinistra. L’ex Governo non ha ingannato nessuno, tanto meno gli studenti e Reggio Calabria oggi, lo sta dimostrando”.

“Il decreto ci fa ritornare indietro – aggiunge Nino De Gaetano – ma soprattutto, è un attacco che colpisce 89 mila insegnanti precari del Mezzogiorno. Berlusconi non ha tenuto in mente le tre I (inglese, internet e istruzione) e ora con il ripristino del maestro unico alle elementari nel mirino ci sono molti posti di lavoro e il dimensionamento della rete scolastica con l’accorpamento d’istituti con pochi alunni. A pagare quindi, saranno i piccoli comuni montani che in breve tempo, vedranno chiudere le proprie scuole”.

Ma la protesta ha anche un altro brutto risvolto, quello dei precari da anni inseriti nella pianta organica della scuola ma mai stabilizzati.

“C’è una parola chiave che il decreto non menziona mai: è il licenziamento – afferma l’insegnante Maurizio Marino, precario da cinque anni – al quale andranno in contro molti docenti precari. Il ministro Gelmini non ha considerato la possibilità che dimezzando gli insegnanti si crea una scuola ammassata di studenti che difficilmente, potranno essere seguiti dal ridotto corpo docente.

Noi siamo consapevoli della nostra forza culturale e vogliamo essere parte integrante della crescita scolastica e della lotta contro l’illegalità”.

FIERA DEL LIBRO CALABRESE, MOLTA CURIOSITA’ TRA I VISITATORI

LAMEZIA TERME - Intorno alla Fiera del Libro di Lamezia Terme, spazi esigui a parte, c’è già molto interesse. Tanti sono stati, infatti, in questi giorni, i visitatori di ogni fascia di età che hanno testimoniato con la loro presenza grande attenzione verso il libro calabrese, specie quando gli argomenti sono inconsueti e, quindi, di nicchia.
“Atlantide in Italia e l’origine reggina dell’Odissea” e “L’origine calabra di San Tommaso d’Aquino”di Domenico Rotundo, “Podestà del ventennio fascista nelle province di Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia” di Caterina Pagano, “Pagine dell’Ottocento catanzarese” di Francesca
Rizzari Gregorace, “Cronaca delle Tre Taverne e della città di Catanzaro” di Domenico Montuoro, “Ricerca breve sulle quattrocentine stampate in Calabria” di Francesco Uccello, “Calabria esoterica”, sempre di Domenico Rotundo, “L’archivio arcivescovile di Santa Severina”, di G. Battista Scalise, sono solo alcuni dei volumi maggiormente consultati, pubblicati dalle Edizioni Ursini di Catanzaro.“Da diversi anni - dice Vincenzo Ursini, fondatore e direttore editoriale - avevamo deciso di non partecipare ad alcuna mostra libraria di carattere promozionale, organizzata da Enti pubblici o pseudo associazioni culturali calabresi. Alla Fiera del Libro di Lamezia Terme, promossa dall’Associazione “Sinergie Culturali”, presieduta da don Natale Colafati, abbiamo aderito ben volentieri perché sin dall’inizio ci è apparso chiaro che questa volta l’obiettivo primario fosse veramente quello che cercavamo da tempo e cioè la promozione del libro e degli autori calabresi. E’ una iniziativa che, a nostro avviso, va sostenuta con entusiasmo, proprio perché lontana dalle forme di sovvenzioni mascherate presenti in tante altre analoghe mostre”.
“Da parte nostra ci sarà il massimo impegno a supportare e pubblicare a nostre spese altre nuove e interessanti opere inedite, così come abbiamo fatto sino adesso con decine di autori calabresi (Caterina Pagano, Rossana Cosco, Salvatore Guerrieri, Rocco Pedatella, Nadia Donato, Francesco Papaleo, Domenico Montuoro, Gerardo Gambardella, Francesco Uccello, Armando Giorno, Antonio Piperata, Costantino Mustari, Sergio Straface, Caterina Villella, Daniela A. Saccà, Silvestro Bressi, Lorella Commodaro, Saveria Cristiano, Davide Cosco, Antonio Landolfi, Lorenzo Malta, Salvatore Nicola Calzone, Vincenzo Belcamino, Saverio Fortunato, Francesco Graceffa, solo per citarne alcuni), molti dei quali hanno ormai raggiunto ragguardevoli traguardi”.

Le conseguenze del DECRETO GELMINI in CALABRIA

Domenico Cersosimo: "I tagli alle scuole determineranno un ulteriore impoverimento economico e sociale e forniranno maggiori spazi all'illegalità''.

Ieri il vice-presidente della Giunta regionale della Calabria, Domencio Cersosimo, ha sfilato in corteo a Roma contro il Decreto Gelmini con le delegazioni delle istituzioni locali. ''In Calabria - sostiene Cersosimo-, quando si sfilaccia o si svuota il tessuto sociale e culturale di intere comunità, c'è sempre il rischio di permettere un maggiore radicamento della 'ndrangheta. Da noi ci sono paesi penalizzati da sempre dall'isolamento e dalla disoccupazione che non avranno neppure più una sede per la scuola dell'obbligo. Assieme alla caserma dei carabinieri era l'unica testimonianza della presenza dello Stato. E' in quelle zone che i tagli feriranno tessuti civili già deboli che, probabilmente, saranno esposti ad una maggiore permeabilità della mafia''.

''Ho marciato - ha dichiarato ieri Cersosimo - con orgoglio assieme ai tanti calabresi che oggi a Roma hanno partecipato allo sciopero per difendere la scuola pubblica dai tagli del Governo Berlusconi. Che Calabria e che calabresi avremo nei prossimi anni senza una scuola per tutti di qualità? Che cittadini saranno gli studenti delle scuole di montagna che per effetto della scure-Gelmini dovranno rinunciare ai loro insegnanti e alle loro aule? Come sarà la qualità civile di tante piccole comunità locali deprivate di scuole e maestre, di palestre e di biblioteche? I tagli alle scuole determineranno un ulteriore impoverimento economico e sociale e forniranno maggiori spazi all'illegalità''.

''Dobbiamo correre ai ripari - ha continuato il vice-Presidente della Regione Calabria -, contrastando innanzitutto i provvedimenti del Governo attraverso il ricorso alla Corte Costituzionale ed appoggiando il referendum abrogativo del decreto. Ma anche continuando ad investire risorse regionali e comunitarie per migliorare le dotazioni strutturali del patrimonio scolastico calabrese e le capacita' dei professori e degli studenti''.

giovedì 30 ottobre 2008

DISCORSO INTEGRALE PRONUNCIATO DA FRANCESCO COSSIGA AL SENATO SUL DECRETO GELMINI - 29 OTTOBRE 2008

Testo integrale della dichiarazione di voto del Senatore a vita Francesco Cossiga sul disegno di legge n. 1108 - (Conversione in legge, con modificazioni,del decreto-legge 1º settembre 2008, n. 137 - decreto-Gelmini, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università).

Si tratta del discorso depositato agli atti del Senato.

Durante il suo intervento in aula, Cossiga è stato più volte interrotto dai banchi dell'opposizione. In una di queste interruzioni ha rivendicato il merito d'aver fatto "picchiare a sangue gli universitari...". Abbiamo inserito tale dichiarazione nel testo che segue, fra parentesi e in corsivo, estrapolandola dal resoconto stenografico della seduta del 29 ottobre 2008.

 Signor Presidente, signora Ministro, signori senatori, dichiaro che voterò a favore della approvazione della legge di conversione del decreto legge cosiddetto Gelmini. Ho letto solo fuggevolmente il testo del decreto-legge, e solo per accertarmi, di fronte alla vasta protesta degli studenti universitari, dei ricercatori e di quelli contro i quali un tempo gli studenti manifestavano, e cioè i «baroni» universitari, che il detto decreto non contenga nessuna disposizione in materia di università , e che quindi costoro protestano contro il nulla. E questo serve già a motivarmi... Voterò a favore della legge di conversione per tre motivi che esporrò brevemente. Ma anzitutto voglio ringraziare da questi banchi gli organizzatori ed i partecipanti delle oceaniche manifestazioni di questi giorni: dai «baroni universitari» alle irresponsabili mamme di bambini innocenti portati in piazza a urlare slogan di cui essi non comprendevano certo il contenuto.
Per me è stata una «botta di vita» sentire echeggiare slogan che temevo ormai desueti, sapere che «esisto» e che qualcuno si ricorda di me: «Cossiga boia!», «Cossiga assassino!» e «Cossiga piduista!». Debbo confessare che su questo campo speravo di più dalla marcia di oltre cinque milioni di persone, senza contare i cani ed i gatti, non, per questa volta, su Roma, ma in Roma e dalla oceanica adunata del Circo Massimo degna dei raduni di Adolf Hitler a Norimberga. Speravo, invero, che i «marcianti» dessero fuoco a qualche macchina, spaccassero qualche vetrina, lanciassero qualche bottiglia molotov contro le forze dell’ordine, scandissero lo slogan: «Se vedi un punto nero, spara a vista: o è un carabiniere o è un fascista!» (omettendo giustamente l’inciso «un prete», che avrebbe però reso più pregnante lo slogan che sarebbe suonato: «Se vedi un punto nero, spara a vista: o è un prete o è un carabiniere o è un fascista!»; ma tra di loro ci sono molti cattolici, «cattolici adulti» evvero, e cioè luteraneggianti come il loro dotto maestro, il cardinale Martini, ma pur sempre cattolici: nulla di tutto questo, purtroppo!).
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(A questo punto del suo intervento il Senatore Cossiga viene interrotto più volte; segue il seguente scambio di battute:
GIARETTA - PD: Ti sarebbe piaciuto per fare quello che volevi fare tu.
COSSIGA: Certo, quello che ho fatto io con l’aiuto e il consenso del Partito Comunista, che in quest’Aula ha votato all’unanimità una mozione e un ordine del giorno a mio favore!
- Applausi dai Gruppi PdL e LNP -
VOCI DAI BANCHI DELLA MAGGIORANZA: Bravo!
COSSIGA: Ma erano i tempi di Berlinguer, non di
Walter Veltroni! Erano i tempi di Natta, non di Franco Marini! Era il tempo del glorioso Partito Comunista!
- Vivaci proteste dai banchi dell’opposizione -
VOCE DAI BANCHI DELLA MAGGIORANZA. Bravo!
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, lasciamo parlare il presidente Cossiga senza interromperlo.
- Commenti dai banchi dell’opposizione -
COSSIGA: Quando ho fatto picchiare a sangue gli universitari che hanno cacciato via Lama, il Gruppo del Partito Comunista alla Camera, in piedi, mi ha tributato un’ovazione. Vada a leggere gli atti! Vada a leggerli!
GIARETTA - PD: Li ho letti. Noi non siamo per una polizia che picchia!
- Vivaci commenti dai banchi della maggioranza -
COSSIGA: Il Gruppo del PCI in piedi mi ha tributato un unanime applauso.
- Proteste dai banchi dell’opposizione -
VITALI - PD: Smettila!
DONAGGIO - PD: Presidente Cossiga, rispetti il Senato!)
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E questo tocco di illegalità dato alla manifestazione sarebbe stato utile anche per il Paese, perchè il partito veltroniano avrebbe acquistato di credibilità nei confronti del «movimento» nel suo deciso evolversi in forme proprie all’«Autonomia Operaia» o a «Lotta continua» o al FUAN, movimenti tutti fortemente presenti nell’odierno «movimento» con ex-, oggi professori d’università ed anche leader dell’occupazione e della didattica inventiva (e questo nel futuro avrebbe permesso al partito veltroniano di poter gestire a pieno la protesta anche violenta, limitandola al lancio di molotov o di cubetti di porfido, tenendola lontana non più certo dalle P38, armi ormai obsolete, ma dalle nuove P2000, o dalle più sofisticate Glock o HK o Siegsauer). I baldi e coraggiosi marcianti – tra i quali è giusto citare Folloni, allievo del compianto Sbardella della destra democristiana, dentro il comune partito che fu significativamente chiamato «lo squalo», Franceschini, allievo dell’epurato De Mita, Rosy Bindy, la eletta da Andreotti e da Bernini contro Tina Anselmi (che è apparsa con una maschera bianca che le nascondeva il volto – cosa che ha suscitato un lungo applauso dai partecipanti dettato da profonda riconoscenza, diciamo così, estetica), e infine l’amico Franco Marini, coautore del famoso «preambolo» contro ogni forma di collaborazione della DC con il Partito Comunista (come è noto io ero invece a favore, eccome) e co-vincitore di un decisivo congresso nazionale della Democrazia Cristiana, contro le sinistre del partito, cui egli, convinto anticomunista a trecesentossessanta gradi (si comprende la sua antica e indefettibile amicizia con Silvio Berlusconi che non per niente lo voleva presidente della Repubblica), diede un fondamentale contributo con un suo memorabile discorso
anticomunista («Con la sinistra, mai!»), duramente polemico contro Benigno Zaccagnini, segretario della DC, e Francesco Cossiga, Presidente del Consiglio dei ministri – tutti ex democristiani che parlano chiaro e forte perchè ritengono di aver ormai, nonostante la per loro dolorosa assoluzione di Giulio Andreotti e di Calogero Mannino, per la quale hanno tutti pianto lacrime amare, ampiamente scontato la loro colpa di essere stati membri del partito della mafia e della strategia della tensione, che hanno dato un grande contributo alla manifestazione, tutti compunti ma entusiasti, alla testa di precocemente maturati bambini, urlare con loro con profonda comune consapevolezza: «Assunzioni! Assunzioni!» e poi ancora: «Merendine! Merendine!». Non dico che era necessario lanciare almeno una bomba molotov o aggredire un carabiniere, ma almeno avessero gridato, facendo coro al loro camerata Franco Monaco, l’allievo del cardinale Martini, «Andreotti e Mannino mafiosi! Viva Caselli» e perchè no, «Maria Stella Gelmini al rogo!», perchè, suvvia, questo potevano anche urlarlo!
Perchè voto a favore? Non per la legge in sè, non credo nelle riforme in tempo di grave crisi ma credo ed approvo i tagli alla spesa pubblica, ma perchè desidero, da vecchio assistente e professore universitario, che cessi comunque, con l’approvazione o la bocciatura della legge, questa indegna ma pericolosa pagliacciata di professori ex sessantottini – alcuni ai loro tempi anche aspiranti terroristi: poi non hanno avuto il coraggio fisico di passare alla lotta armata – oggi professori universitari, che da giovani erano volgari reggicoda (e leccaculo di baroni universitari), docenti che organizzano lezioni di fisica all’aperto, anche con esperimenti e con la partecipazione dei bambini delle elementari (che si inventano l’insegnamento autogestito o partecipato, l’algebra democratica, la chimica organica progressista e quella inorganica riformista).
Ma, gentile collega Finocchiaro, lei riesce a immaginarsi il grande latinista Concetto Marchesi, rigido marxista-leninista e grande ammiratore di Stalin, discettare di Ovidio, di Catullo, di Virgilio di fronte a platee di bambini che ogni tanto alzano il braccino per chiedere il permesso di
andare a fare pipì? Si riesce ad immaginare il severo Alessandro Natta, normalista, ammiratore della lingua latina tanto da definire, insieme ad Aldo Moro, la legge che aboliva l’insegnamento del latino: una «legge per una scuola di asini», discettare ai bagni comunali su Cesare finto democratico, Cicerone reazionario, Catullo sostenitore dei nuovi diritti civili e con una rapida escursione nella letteratura italiana parlare di Dante passatista e di Manzoni reazionario?
E voto a favore perchè spero che cessi questo inizio di movimentismo che vede pericolosamente uniti i giovani di sinistra con i giovani dell’estrema destra: i giovani di Alleanza Nazionale devono acquistare punti per la futura elezione del loro leader alla Presidenza della Repubblica. E meno male che questi ragazzi hanno rifiutato la solidarietà del fascista Antonio Di Pietro; già, perchè ogni secolo ha il suo fascismo; ed il fascismo di oggi in Italia si chiama: «Italia dei Disvalori» o partito delle «Forche e manette»!
Lei, senatrice Finocchiaro, è troppo giovane per ricordarlo, ma lei, senatore Zanda, certo lo ricorda perchè era accanto a me al Viminale!
Non nelle fabbriche o nelle campagne, ma nelle università e nelle scuole superiori, non nei sindacati e nel movimento del proletariato, ma nel movimento studentesco ebbe inizio il terrorismo! E tra i terroristi non vi fu mai un operaio o un contadino, ma tecnici, studenti universitari, laureati ed anche qualche professore universitario!
Lei, senatrice Finocchiaro, è comunista e nasce politicamente nel Partito Comunista Italiano: ed è anche per questo, non certo per la sua militanza nel partito veltroniano, anzi nonostante questa, che io la stimo e l’ammiro! Distoglietevi un momento dal fare campagna per Obama, e operate
dall’opposizione, da Roma non da New York, come operò negli anni ’70-’80 il Partito Comunista per evitare che la storia, la tragica storia degli anni ’70 si ripeta!
Certo, ieri si è avuto a Milano un buon segno: gli studenti hanno cacciato via e respinto ogni solidarietà del leader dell’Italia dei Disvalori, il partito di «Forca e Manette», il famoso analfabeta Antonio Di Pietro, prima amante deluso ma ora ritornato nel talamo newyorkese di Walter Veltroni, anche se io mi sentirei più tranquillo se il movimento degli studenti fosse egemonizzato e guidato da un movimento di giovani comunisti, marxisti-leninisti e togliattiani. Negli anni di piombo nelle università si opponevano al movimento studentesco e ad Autonomia Operaia soltanto i ragazzi comunisti della Federazione Giovanile Comunista Italiana e i giovani cattolici di Comunione e Liberazione; e con le sprangate in testa a un giovane comunista ed a un giovane di CL iniziò l’occupazione dell’Università di Bologna. E con la devastazione della federazione provinciale del PCI della stessa città, mi fu data mano libera dal Partito Comunista per la liberazione «manu militari» della città dal movimento studentesco e da Autonomia Operaia: ed io vi provvidi – tempi gloriosi! – con il robusto e deciso intervento del reparto celere della polizia – glorioso reparto! – di Padova, dal battaglione mobile dei carabinieri di Gorizia, allora appartenente alle forze di primo intervento della NATO sul fronte Est, montato su cingolati e con le mitragliatrici brandeggiate, e dei ragazzi del battaglione dei carabinieri paracadutisti Tuscania, col basco cremisi ed in tenuta da antiguerriglia! E i loro comandanti furono poi, ad operazione conclusa, ringraziati dal sindaco comunista della città a Palazzo d’Accursio. Ma erano i tempi nei quali esisteva il glorioso Partito Comunista di Berlinguer e Pecchioli, oggi certamente non sostituito dal partito obamiano di Veltroni, di Franceschini e di Marini.
Quando iniziarono le agitazioni contro il decreto Gelmini, mi fu chiesto da qualcuno della maggioranza: «Che fare?». Ed io, dimentico del celebre detto del Duca de la Rochefocauld: «I migliori consigli sono quelli che non si chiedono e non si danno», dissi: «Volete riportare la calma?
Volete acquistare popolarità nel mondo della scuola e lasciare con un palmo di naso il partito obamiano? Abbandonate ogni idea di riforme e di tagli. Promuovete per decreto-legge a professori di prima fascia tutti: da ricercatori e precari in su! Date agli scolari delle elementari otto maestri per classe! Abolite nelle università gli esami di profitto e di laurea, rendendone automatico il conseguimento dopo un certo numero di anni. Stabilite il rapporto 1 a 50 tra studenti e corpo accademico, istituite una università per provincia e così via. La copertura finanziaria? Richiamare la nostra missione militare dal Libano, poichè è stato ormai raggiunto il suo scopo – il riarmo degli Hezbollah e la loro difesa dalle forze armate israeliane – e devolvere le somme stanziate per essa a queste politicamente più produttive spese». Ma la maggioranza ha seguito la terza delle prescrizioni di de La Rochefocauld: «Non seguire mai i consigli che vengono
dati!».
E così mi tocca votare a favore del Governo, nell’attesa che il Partito Democratico dica e faccia qualcosa di sinistra e sia serio, come serio, senatrice Finocchiaro, fu il suo partito: il Partito Comunista di Togliatti, di Longo, di Berlinguer e di Natta e lo sarebbe stato quello di Massimo D’Alema, serio come fu la Democrazia Cristiana di De Gasperi, di Scelba, di Moro e di Andreotti, sì, anche di Andreotti, alla faccia del prodiano Mario Monaco e degli altri «cattolici democratici» e «cattolici adulti» come lui, dall’ex-demitiano Dario Franceschini al «preambolista» Franco Marini.
Per questi motivi voterò a favore. E che infine ritorni nel Paese e nel Parlamento lo spirito della prima gloriosa Repubblica, del glorioso Partito Comunista e della gloriosa Democrazia Cristiana!

mercoledì 29 ottobre 2008

DISASTRO AMBIENTALE DI CROTONE: SI SOSPETTA L’USO DI SCORIE TOSSICHE PER LA REALIZZAZIONE DELLA RETE IDRICA DELLA CITTA’

INDAGINE CONOSCITIVA DELLA COMMISSIONE SANITA' DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
di Domenico Condito

Con una trama degna del più brutale dei drammi strindberghiani, l’inchiesta “Black mountains” sul DISASTRO AMBIENTALE di Crotone introduce “a terribili cieli e inferni”, retti da “potenze malefiche e dissestanti”. E se nell’Inferno di Strindberg i particolari del Quartier Latin lasciano emergere una lugubre messa in scena finalmente svelata, le “carte” della Procura di Crotone, e non la “stenografia” visionaria di un genio letterario, rivelano uno scenario ancora più sconvolgente e desolante: la drammatica realtà di un territorio violentato, il triste destino d’una umanità vilipesa e umiliata.
Secondo i magistrati della Procura, arsenico e altri materiali altamente tossici potrebbero essere finiti nella rete idrica della città di Crotone. Scorie di cubilot, provenienti dallo stabilimento metallurgico Pertusola sud ormai dismesso, sarebbero state utilizzate, infatti, per la realizzazione dell’aeroporto di Reggio Calabria e dell’acquedotto comunale di Crotone. Nell’ambito delle indagini relative a questi fatti, i militari della Guardia di Finanza, su disposizione del Sostituto Procuratore della Repubblica di Crotone, Pierpaolo Bruni, hanno eseguito complessivamente quindici perquisizioni, tra la Calabria e l'Emilia Romagna. Le perquisizioni hanno riguardato le sette persone già indagate nell'inchiesta, sei aziende, tra cui una di Parma, e due ingegneri. Fra gli indagati il legale rappresentante pro-tempore della Pertusola Sud, quelli di tre imprese edili, due di Crotone e una di Parma, e tre funzionari dell'ex Presidio multizonale di prevenzione dell'ex Azienda sanitaria di Catanzaro.
L’indagine è destinata ad ampliarsi. Per gli inquirenti “l’ammontare complessivo del cubilot illecitamente smaltito da Pertusola sud non corrisponde a quello utilizzato solo per i diciotto siti”, sottoposti a sequestro lo sorso 25 settembre, “ma è stato utilizzato anche per la costruzione di altre opere”.
Gravi saranno le conseguenze per la salute dei cittadini.
La Commissione Sanità del Senato della Repubblica, su proposta della senatrice Dorina Bianchi, avvierà un’indagine conoscitiva "che farà chiarezza - si legge in una nota della stessa senatrice del Pd - su quanto accaduto negli anni nel territorio di Crotone, dove, sia l’attività industriale delle due grandi fabbriche, Pertusola Sud e Montedison, hanno provocato un inquinamento ambientale quasi del tutto incontrollato, sia l’utilizzo delle scorie tossiche provenienti dal sito industriale ex Pertusola che, così come ha rivelato l’indagine denominata “Black Mountains”, sarebbero state utilizzate da alcune società quale materiale di riempimento per la realizzazione di opere pubbliche e private".
"La Commissione di Palazzo Madama - scrive ancora la senatrice - vedrà l’audizione di soggetti istituzionali, esperti in campo medico e scientifico, per offrire una risposta chiara alle preoccupazioni avvertite dalla popolazione del territorio di Crotone".
L’attivazione dell'indagine della Commissione Sanità è un atto doveroso, speriamo non diventi l’ennesimo tradimento della classe politica nei confronti della Calabria.
In tanti erano a conoscenza, fin dal lontano 1998, del disastro ambientale in atto nella nostra regione. Allora il mondo politico tacque. Al silenzio “collusivo” di quegli anni fa eco, oggi, l’orda delle dichiarazioni pubbliche di troppi politici falsamente sorpresi e indignati. Inerti ieri quanto solerti oggi a cavalcare l’onda della rabbia popolare. Il dramma assume così il registro della farsa atrocemente buffa, e diventa violenza morale che offende la dignità dei calabresi e ne “avvelena” le coscienze, dopo averne contaminato i corpi…
Un’Inferno così non l’avrebbe concepito neanche il genio-folle di Strindberg.

martedì 28 ottobre 2008

Reggio Calabria: RIFONDAZIONE COMUNISTA sostiene la posizione di FAMIGLIA CRISTIANA sul DECRETO GELMINI

E aderisce allo sciopero generale del 30 ottobre

Il Prc di Reggio Calabria comunica di aver condiviso e di sottoscrivere la posizione di ''Famiglia Cristiana'' sul decreto Gelmini.
''Siamo dinanzi ad un disegno scellerato da parte del Governo Berlusconi - afferma il Prc - un disegno di distruzione della scuola e dell'università pubbliche, che ci porrà fuori dagli standard dei paesi europei più importanti, un disegno perseguito con ostentata arroganza e con evidente disprezzo della democrazia. L'intero sistema della formazione pubblica è sotto attacco e subirà pesantissimi tagli: nei finanziamenti, nei posti di lavoro, nelle strutture e nella logistica''.
Il PRC ''sta partecipando, con grande discrezione e con estrema curiosità, alle mobilitazioni studentesche di questi giorni, rispettando integralmente l'autonomia del movimento.
Individuiamo in questo straordinario protagonismo degli studenti un elemento di autentica innovazione di cultura e pratica politica, una grande capacità di inserire la vicenda specifica della contro-riforma Gelmini nel più generale scenario di politica economico-sociale del Governo Berlusconi''.
''Daremo ancora il nostro contributo. A partire dall'assemblea pubblica - aggiunge il Prc - che terremo domani, 29 ottobre, alle ore 17.30, nell'Auditorium Lamberti-Castronuovo e alla quale parteciperanno rappresentanti degli studenti, degli insegnanti e dei ricercatori precari, del mondo scolastico/universitario tout court. E proseguendo per lo sciopero generale del 30 ottobre, quando saremo in piazza insieme ai sindacati confederali e insieme agli studenti, a Roma come a Reggio Calabria, per sconfiggere il disegno reazionario del Ministro Gelmini e per rilanciare l'idea di una scuola repubblicana da amare e da valorizzare''.

I MULINI DI SQUILLACE TRA PASSATO E FUTURO

Un convegno organizzato dalla Precettoria squillacese del Sacro Ordine dei Cavalieri Templari.

di Salvatore Taverniti

SQUILLACE - “I mulini di Squillace tra passato e futuro” è stato il tema di un convegno organizzato dalla Precettoria squillacese del Sacro Ordine dei Cavalieri Templari e svoltosi il 25 ottobre a Squillace. Dopo i saluti del Priore di Calabria, Lorenzo Carnevale, il sindaco Guido Rhodio, che è anche studioso del territorio, ha definito i mulini “pezzi dell’archeologia industriale, che vanno tutelati insieme all’habitat in cui insistono”. “Come amministrazione comunale – ha aggiunto Rhodio – abbiamo presentato un progetto per l’istituzione di un parco fluviale, che include la valorizzazione dei mulini e dei relativi percorsi”. Il sindaco ha anche affermato di conservare ancora il ricordo dei mulini funzionanti e delle famiglie che li gestivano. Sull’esperienza dei mulini della valle dello Stilaro ha relazionato Danilo Franco, presidente dell’Associazione calabrese Archeologia Industriale (ACAI); mentre Eugenio Attanasio, presidente della Cineteca della Calabria, ha parlato del film-documento “Nient’altro che acqua”. E’ stato, quindi, presentato e proiettato il cd multimediale sui mulini squillacesi realizzato da Gerardo Settembrino, della Precettoria templare di Squillace: un importante documento sui nove antichi mulini (Alezzi, Alui, Parroncino, Raca, Musca, Sardedha, Maju, Cappedharu e Pigò), di cui si conservano i resti e al cui interno esistono ancora gli arredi. La relazione di base è stata svolta da Angelo Di Lieto, il quale, partendo dall’importanza dell’acqua e compiendo un excursus storico sui mezzi utilizzati per la molitura del grano, si è soffermato sui mulini in Calabria. “Mulini ad acqua o a vento – ha osservato - che non servivano solo per macinare il grano, il riso, l’orzo, ma anche per lavorare nocciole, semi di olio, castagne e per produrre un olio che veniva usato per l’illuminazione”. Di Lieto ha fornito notizie storiche anche sulla costruzione dei mulini, sulla tassa sul macinato, sulla vita dei mugnai (imprenditori dell’epoca ricercati dalle ragazze a scopo matrimoniale), ma anche elementi tecnici sulla composizione degli antichi mulini, ora sostituiti da impianti moderni. “La lenta distruzione dei mulini – ha detto Di Lieto, in conclusione – dimostra l’insensibilità delle autorità che avrebbero dovuto provvedere alla loro conservazione: oggi la ricerca andrebbe fatta su base documentale, ricostruendo dagli atti la composizione, lo scenario, gli ingranaggi e curando anche un buon recupero fotografico”.
A margine del convegno è stata allestita una mostra fotografica degli artisti Nando Castagna, Vincenzo Intieri e Bruno Martello ed è stata esposta l’unica documentazione dell’ultimo mulino a vento di Catanzaro Marina, in un’opera pittorica del maestro Francesco Cristini (1878-1964).

Immagini del convegno di Squillace

DON FRANCESCO LAUGELLI, "MILLE CERINI PER UN SIGARO - LA CULTURA NELLA STORIA"

Presentato a Squillace il volume postumo dell'indimenticabile don Ciccio, straordinaria figura di uomo, maestro, sacerdote, intellettuale.

di Salvatore Taverniti
 
SQUILLACE - “Mille cerini per un sigaro (la cultura nella storia)” è il titolo del volume di don Francesco Laugelli, pubblicato postumo dal nipote Lelè Laugelli e presentato il 26 ottobre a Squillace, dove il sacerdote amaronese fu parroco e visse gran parte della sua vita. “Una miriade di persone – ha detto in apertura il sindaco Guido Rhodio – si formarono sotto la guida sacerdotale, intellettuale e umana di don Ciccio. Egli fu un intellettuale di grande spirito critico. Ora finalmente vede la luce uno zibaldone che comprende diversi suoi pensieri e che ci restituisce ‘un prete inquieto e inquietante’, come lui stesso dice, ‘bisognoso della misericordia di Dio’”. Nell’introduzione, il nipote del sacerdote scomparso nel 1996, Lelè Laugelli ha inteso soprattutto demolire le calunnie secondo le quali don Ciccio sarebbe stato l’autore della cosiddetta “Farseide”, che gettava fango sul vescovo Armando Fares; “una diffamazione – ha detto – contro cui ho lottato per oltre vent’anni”. E a ribadire il “no” alle accuse contro don Ciccio è stato don Emidio Commodaro, docente dell’Istituto teologico di Catanzaro. Commentando alcuni sonetti letti in sala da Floro Caccia e da M. Giovanna Laugelli, don Commodaro ha spiegato che da uno studio filologico della “Farseide” si comprende bene che don Ciccio non può esserne stato l’autore. “La sua cultura – ha rimarcato - nasce dal verismo e dall’impressionismo: in lui non c’è posto per l’inganno e la doppiezza”. La presentazione del libro è stata affidata a Francesco Pregoni, della Soprintendenza ai Beni artistici e storici di Catanzaro. “E’ una silloge di ponderazioni di don Laugelli – ha osservato Pregoni - spesso appunti o frammenti di considerazioni e valutazioni. Mille sono i ‘cerini’ che spaziano su temi i più variegati: storia filosofia, pedagogia, psicologia, teologia, politica, attualità, costume, morale, religione, cristianesimo. Le sue considerazioni inducono ad approfondire lo studio dell’uomo. Un aspetto ragguardevole del Laugelli è quello del sarcasmo e dell’ironia fino allo sberleffo. Grappoli di un variegato mosaico che costituiscono il primo approccio all’opera di Laugelli, un autore che merita un dibattito più approfondito”. Traendo le conclusioni, l’arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace, mons. Antonio Cantisani, ha definito don Laugelli “uomo dalla cultura poliedrica”. “Il libro – ha aggiunto l’arcivescovo emerito – è una miniera di idee, provocazioni e ponderazioni, che fanno di don Ciccio un uomo dalla cultura spaventosa, innamorato dei libri. Egli ha affermato valori essenziali come la socialità, la democrazia, la libertà. E’ una grazia per me essere stato suo vescovo”.

La presentazione del volume postumo di don Francesco Laugelli a Squillace

LAMEZIA TERME - FIERA DEL LIBRO CALABRESE

Dichiarazione dell’Editore Ursini

Sulla Fiera del Libro di Lamezia Terme inaugurata questa mattina, riportiamo una dichiarazione delle Edizioni Ursini di Catanzaro.
“Da diversi anni - dice Vincenzo Ursini (nella foto a lato), fondatore e direttore editoriale - avevamo deciso di non partecipare ad alcuna mostra libraria di carattere promozionale, organizzata da Enti pubblici o pseudo associazioni culturali calabresi. Nella nostra trentennale attività editoriale abbiamo, infatti, aderito raramente ad iniziative del genere. Quelle poche volte che lo abbiamo fatto, siamo rimasti profondamente delusi non per i mancati riscontri economici, (quelli li assicura il mercato a prescindere dalle mostre o fiere alle quali si partecipa), ma per il fatto che quasi tutte le iniziative non si ponevano come fine effettivo la diffusione e la promozione del libro calabrese, ma solo quello di spendere soldi pubblici, giustificando la spesa con le adesioni degli editori. Un fatto, questo, che un’azienda come la nostra, che non ha mai fruito di alcun finanziamento pubblico ma che ha costruito con investimenti diretti il suo corposo catalogo (più di mille titoli attualmente disponibili), non poteva certamente condividere.
Alla Fiera del Libro di Lamezia Terme, promossa dall’Associazione “Sinergie Culturali”, presieduta da don Natale Colafati, abbiamo aderito ben volentieri perché sin dall’inizio ci è apparso chiaro che questa volta l’obiettivo primario sia veramente quello che cerchiamo da tempo e cioè la promozione del libro e degli autori calabresi. A nostro avviso è una iniziativa che va sostenuta con entusiasmo, proprio perché lontana dalle forme di sovvenzioni mascherate presenti in tante altre analoghe esposizioni”.
“A questo appuntamento - continua Vincenzo Ursini - non potevamo mancare anche perché, come ha evidenziato nei giorni scorsi don Natale Colafati, condividiamo il fatto che ormai il futuro della Calabria è indissolubilmente legato alla sua crescita culturale e tali iniziative, libere da vincoli e schemi precostituiti, possono certamente fungere da stimolo per i nostri giovani. Essere liberi culturalmente significa essere liberi da qualsiasi forma di sudditanza”.
“Siamo conviti che se i soci di Sinergie Culturali continueranno su questa strada, avranno negli anni futuri grandi soddisfazioni perché tanta, in Calabria, è la sete di cultura e grande è il desiderio di autonomia e libertà delle nuove generazioni.
“Da parte nostra ci sarà il massimo impegno a supportare e pubblicare gratuitamente altre nuove e interessanti opere inedite, così come abbiamo fatto sino adesso con decine di autori calabresi (Caterina Pagano, Rossana Cosco, Salvatore Guerrieri, Rocco Pedatella, Nadia Donato, Francesco Papaleo, Domenico Montuoro, Gerardo Gambardella, Francesco Uccello, Armando Giorno, Antonio Piperata, Costantino Mustari, Sergio Straface, Caterina Villella, Daniela A. Saccà, Silvestro Bressi, Lorella Commodaro, Saveria Cristiano, Davide Cosco, Antonio Landolfi, Lorenzo Malta, Salvatore Nicola Calzone, Vincenzo Belcamino, Saverio Fortunato, Francesco Graceffa, solo per citarne alcuni), molti dei quali hanno ormai raggiunto ragguardevoli traguardi”.

lunedì 27 ottobre 2008

FAMIGLIA CRISTIANA chiede il ritiro del DECRETO GELMINI

PER IL BENE DELLA SCUOLA E DEL PAESE

Continua la campagna di FAMIGLIA CRISTIANA, il più importante settimanale cattolico italiano, contro il DECRETO GELMINI. Di recente, intervenendo nel dibattito che attraversa tutto il paese, aveva definito "classi ghetto" le "classi ponte" volute dalla Lega.
"La Lega cavalca l’onda e va all’arrembaggio dell’immigrato. La 'fantasia padana' - scriveva FAMIGLIA CRISTIANA - non ha più limiti, né pudore. Prima le impronte ai rom, poi il permesso a punti e i 200 euro per il rinnovo, poi l’impedimento dei ricongiungimenti familiari, e ora una mozione, avanzata a sera tardi in Parlamento, per le classi differenziali, col pretesto di insegnare l’italiano agli stranieri. Il problema dell’inserimento degli stranieri a scuola è reale, ma le risposte sono 'criptorazziste', non di integrazione".
Questa settimana ancora una durissima presa di posizione di FAMIGLIA CRISTIANA contro il DECRETO GELMINI. ''Non chiamiamo riforma un semplice taglio di spesa'' è il titolo dell'editoriale del settimanale cattolico, nel numero in edicola. ''Nel mirino c'è una legge approvata di corsa, in piena estate. La dicitura è roboante: 'Riforma della scuola'; più prosaicamente 'contenimento della spesa', a colpi di decreti, senza dibattito e un progetto pedagogico condiviso da alunni e docenti. Non si garantisce così il diritto allo studio: prima si decide e poi, travolti dalle proteste, s'abbozza una farsa di dialogo. Il bene della scuola (ma anche del Paese) richiede la sospensione o il ritiro del decreto Gelmini. Per senso di responsabilità'' scrive il settimanale, che continua: ''Un Paese che guarda al futuro investe nella scuola e nella formazione, razionalizzando la spesa, eliminando sprechi, privilegi e 'baronie', nonchè le 'allegre e disinvolte gestioni'''.
I ''tagli annunciati'', si legge nel settimanale, ''sono pesanti'': all'università arriveranno 467 milioni di euro in meno. Nei prossimi cinque anni il Fondo di finanziamento si ridurrà del 10 per cento. Solo il 20 per cento dei professori che andranno in pensione verrà sostituito. Come dire: porte chiuse all'università per le nuove generazioni''. La conclusione è amarissima: ''Un Paese in crisi trova i soldi per Alitalia e banche: perchè non per la scuola? Si richiedono sacrifici alle famiglie, ma costi e privilegi di onorevoli e senatori restano intatti. Quando una Finanziaria s'approva in nove minuti e mezzo; quando, furtivamente, si infilano emendamenti rilevanti tra le pieghe di decreti legge, il Parlamento si squalifica''.

DECRETO GELMINI, le dichiarazioni di COSSIGA: "Massacrare i manifestanti senza pietà!"

Il 22 ottobre 2008, il Presidente emerito e Senatore a vita Francesco Cossiga ha rilasciato un'intervista al “Quotidiano.net Il Giorno il Resto del Carlino La Nazione”, in cui consiglia al Ministro dell'Interno, Roberto Maroni, l'uso della forza contro i manifestanti che contestano il Decreto Gelmini. Le dichiarazioni di Cossiga sono state discusse in Parlamento dalla Senatrice Donatella PORETTI (Partito Democratico).

Legislatura 16º - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 076 del 23/10/2008

PORETTI (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell’intervento che avevo preparato avrei voluto parlare del maestro unico, argomento che, peraltro, non scandalizza noi radicali avendo a suo tempo raccolto le firme. Certo, forse non era proprio quello che molti di voi intendono, l’educatore che dà anche le bacchettate sulle mani. Avrei voluto poi parlare dell’ora di religione, del tempo pieno e di tanti altri temi, ma spero di averne l’occasione quando discuteremo gli emendamenti e gli ordini del giorno presentati.

Credo che dopo le dichiarazioni di ieri del Presidente del Consiglio, la priorità sia diversa. Il rischio di fornire la risposta sbagliata non solo alle esigenze della scuola, ma anche alle iniziative che sono in corso nelle scuole mi sembra la priorità.

Un componente illustre di quest’Assemblea, il presidente emerito e senatore a vita Francesco Cossiga, suggerisce una risposta. Ce la suggerisce oggi attraverso un’intervista a “Quotidiano.net Il Giorno il Resto del Carlino La Nazione” e credo che non possiamo ignorare la gravità di queste parole e di questo intervento. Il titolo dell’intervista è: «Bisogna fermarli, anche il terrorismo partì dagli atenei».

Il testo è il seguente: «Presidente Cossiga, pensa che minacciando l’uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato? “Dipende, se ritiene d’essere il Presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l’Italia è uno Stato debole, e all’opposizione non c’è il granitico PCI ma l’evanescente PD, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia”. Quali fatti dovrebbero seguire? “Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero Ministro dell’interno”». Giorgiana Masi?

«Ossia? “In primo luogo, lasciar perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…”. Gli universitari, invece? “Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città”». Quello che è ritratto nelle fotografie di quella manifestazione dove è rimasta uccisa Giorgiana Masi? Quello con la maglia a strisce? Questi agenti devono essere pronti a tutto?

«“Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri” . Nel senso che… “Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano”. Anche i docenti? “Soprattutto i docenti”. Presidente, il suo è un paradosso, no? “Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!”. E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? “In Italia torna il fascismo”, direbbero. “Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio”. Quale incendio? “Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese”».

Non so se il senatore a vita, emerito Presidente della Repubblica, intende intervenire in quest’Aula e proporci questa ricetta, casomai discutiamone e parliamone, discutetene anche voi della maggioranza e del Governo: è questa la ricetta? Sono questi i suggerimenti che vogliamo dare al Ministro dell’interno? Giorgiana Masi? Alla Camera è stata già depositata, e la presenteremo in questi giorni anche al Senato, la richiesta di una Commissione d’inchiesta sui fatti che portarono alla morte di Giorgiana Masi.

Chiudo con un appello agli studenti: a queste provocazioni occorre rispondere in un unico modo, praticando la non violenza. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Li Gotti).

PRESIDENTE. Grazie, senatrice Poretti, anche per il suo appello finale.

È iscritto a parlare il senatore Sibilia. Ne ha facoltà.

Fonte:


LIBERTA' DI STAMPA IN ITALIA

IL NUOVO RAPPORTO DEL 2008 PUBBLICATO DA "REPORTERS SANS FRONTIERES"
Italia al 44.mo posto nella classifica sulla libertà di stampa
Usa 4o.mi e la Russia di Putin al 141.mo posto


Al primo posto c’è l’Islanda, al secondo il Lussemburgo, al terzo la Norvegia, e poi a seguire Estonia, Finlandia, Irlanda, Belgio, Lettonia, fino al primo paese non europeo, che è la Nuova Zelanda, nono posto. La classifica mondiale della liberta di stampa pubblicato in questi giorni da una delle più autorevoli organizzazioni che controllano la condizione del giornalismo nel pianeta, Reporters Sans Frontières, non mostra in questa testa della graduatoria elementi di novità. Sono, tutti, paesi e culture dove la libertà d’espressione non sta soltanto nelle norme del diritto positivo – ci sono, naturalmente, Svezia, Svizzera, Canada, Olanda, Inghilterra e così via – ma questa libertà è parte integrante del costume civile di quelle società, insieme con il rigoroso rispetto della divisione dei poteri.
Fa stupore, piuttosto, uno stupore iniziale, d’abbrivio, che gli Stati Uniti siano ben giù, al 40.mo posto; ma poi si pensa alle censure e alle manipolazioni della “guerra contro il terrorismo”, e alle dure limitazioni che il Patriot Act comporta nella vita pubblica di quel paese, e allora si fa presto a cancellare dall’immaginario la vecchia lezione (che pure era largamente autentica) del giornalismo del Watergate, di Lippman, di Arnett, di Cronkite. Posizione ancor più negativa per l’Italia, classificata 44.ma, e possiamo perfino dire che non ci va malissimo, considerando l’evidenza dei conflitti d’interesse e delle manomissioni politiche che inquinano il nostro sistema mediatico, la canea strumentale sulle intercettazioni che tendono a imbavagliare la stampa sotto la pretesa dì un rigoroso controllo della privatezza, le pesanti minacce che la criminalità lancia contro i giornalisti, a cominciare dalla morte che pende sulle amare giornate clandestine di Roberto Saviano.
Per i paesi dittatoriali o comunque a regime autoritario, poco da dire: l’Iran è 166.mo, la Cina 167.ma, Cuba due posti ancora più giù. Ultimi, Corea del Nord ed Eritrea. Ma poiché non sempre le strutture formali corrispondono alla realtà della vita pubblica, nessuno deve stupirsi se un paese formalmente democratico, la Russia di Putin e di Medvedev, sia ben verso il fondo della classifica, 141.mo (richiamo alla nostra comune memoria che, da quando Putin ha preso il potere, a parte il suo controllo totale, o quasi, sui media, nel suo paese sono stati assassinati 22 giornalisti, senza che mai la giustizia abbia trovato un colpevole).
Chiuso l’elenco con qualche malinconico, insopprimibile, sconforto, bisogna avere tuttavia la forza di proiettare la classifica all’interno del nuovo orizzonte dentro il quale il giornalismo va muovendo, incerto, pavido, schiacciato dai condizionamenti dei poteri ma anche dalla rivoluzione che le tecnologie elettroniche hanno scatenato sul vecchio mestiere. Se politica e affari tentano sempre più di inquinare l’autonomia della narrazione del giornalismo (consiglio a tutti di leggersi sulle pagine del “New York Times” gli editoriali rabbiosi del neo-premio Nobel, Paul Krugman), si vanno però diffondendo con Internet e con il telefonino forme nuove di produzione giornalistica, il citizen journalism, il microjournalism per esempio, che tentano di arrangiare una difesa che coinvolga più direttamente la società, cioè i consumatori d’informazione. Il problema non è affatto corporativo, di difesa del giornalismo: il 90 % di ciò che oggi forma la nostra “conoscenza” viene costruito dalla produzione quotidiana dei massmedia. Conviene rifletterci, tutti.

Contro il decreto Gelmini, manifestazione promossa dalla Provincia di Cosenza il 27 ottobre

Con la partecipazione del prof. Giovanni Latorre, Rettore dell'Università della Calabria

"Scuola e Università. Contro i tagli del Governo per garantire il diritto allo studio" è il tema della manifestazione promossa dalla Provincia di Cosenza per lunedì 27 Ottobre nel Cinemateatro "Italia-Tieri" di Cosenza, con inizio alle 16,00.
Una mobilitazione annunciata da tempo, anche nel corso di incontri con docenti precari, con le sigle sindacali della scuola, che hanno condiviso le iniziative della Provincia per esprimere il netto dissenso ai provvedimenti di taglio di risorse destinate all'istruzione.
L'incontro di Cosenza sarà introdotto dall'Assessore provinciale alla Pubblica Istruzione Stefania Covello, conterà gli interventi del Vicepresidente della Giunta regionale calabrese con delega alla P.I. Domenico Cersosimo, del Rettore dell'Università della Calabria Giovanni Latorre e sarà concluso dal Presidente Mario Oliverio.
Ampissima sarà la partecipazione già annunciata da parte di sindaci, amministratori locali, rappresentati delle forze sociali, Assessori e Consiglieri regionali e provinciali, Parlamentari, studenti, docenti e non docenti. "Si tenta di far passare come riforma il taglio di posti di lavoro, la prospettiva di gravissimi disagi alle famiglie, lo smantellamento di fatto del diritto allo studio ed alle pari opportunità di istruzione, il notevole abbassamento della qualità dell'offerta formativa - dichiara parlando dell'incontro di lunedì prossimo il Presidente Mario Oliverio - quando, al contrario, in questo momento contrassegnato da una forte crisi sociale, necessario dovrebbe essere il mantenimento della scuola come caposaldo dei servizi che lo Stato deve garantire ai suoi cittadini."
"Tra i ben 2591 istituti in Italia che rischiano la soppressione per effetto delle nuove disposizioni governative- segnala il Presidente - se ne prospettano tanti nella provincia di Cosenza. Istituti comprensivi, di primo grado, secondari superiori, che in conseguenza dei tagli potranno essere abbattuti sotto la scure del Ministro Gelmini che ha fissato una soglia minima di 500 alunni per mantenere in attività le scuole. Numeri che si commentano da soli, certamente non piccoli e che offrono la rappresentazione di un disastro."
"Riteniamo significante e degna di tutta la considerazione di chi governa il Paese - continua Oliverio - la protesta che sta montando in Italia contro i provvedimenti, mettendo insieme studenti, docenti, famiglie.
La manifestazione promossa dalla Provincia di Cosenza, che da mesi ha registrato il problema e preso posizione contro i tagli, registra già una larghissima adesione da parte del mondo della scuola, dell'Università, delle forze sociali, di amministratori, membri del Parlamento che vivono e raccolgono una profonda preoccupazione per quanto sta accadendo."
"Lunedì presso il Teatro Italia Tieri discuteremo - segnala infine il Presidente Oliverio - ascolteremo la voce chi si trova in una situazione difficile, determinandoci per far arrivare il netto dissenso nei confronti di norme che devono tenere in debito conto la posizione contraria di quanti sono suoi destinatari."

Mariuccia de Vincenti
mdevincenti@provincia.cs.it
0984-814219

sabato 25 ottobre 2008

IL DISCORSO INTEGRALE DI WALTER VELTRONI AL CIRCO MASSIMO IL 25 OTTOBRE 2008


Quella di oggi, diciamocelo con orgoglio, è la prima grande manifestazione di massa del riformismo italiano, finalmente unito. E lo è perché il Partito Democratico è il più grande partito riformista che la storia d’Italia abbia mai conosciuto.
Un italiano su tre si riconosce, crede nel disegno di un riformismo moderno. E’ un fatto inedito nella lunga vicenda nazionale. E oggi, in questo luogo splendido e immenso, siamo qui, in tanti, perché vogliamo bene all’Italia, perché amiamo il nostro Paese.
Con lo stesso amore, il 14 ottobre di un anno fa, il Partito Democratico nasceva da un grande evento di popolo.
L’Italia è un Paese migliore della destra che lo governa in questo momento. Migliore della destra che nel tempo recente lo ha già governato, anche se qualcuno troppo spesso finge di dimenticarlo, per sette lunghi e improduttivi anni.
L’Italia è un grande Paese democratico, è un Paese che ama la democrazia.
Perché l’Italia non dimentica, non potrà mai dimenticare quanti hanno sofferto, quanti hanno dato la vita per la sua libertà.Lunedì scorso ci ha lasciati un grande amico, un padre della Repubblica, un maestro di vita per tutti noi. Aveva venticinque anni, Vittorio Foa, quando fu condannato e messo in galera: perché era antifascista, perché pensava diversamente da chi era al potere.
E per chi crede che fino ad un certo punto ci sia stato un fascismo in fondo non troppo cattivo, va ricordato che era il 1935. Non era ancora arrivata la vergogna delle leggi razziali. Ma il regime aveva già fatto in tempo a sopprimere la libertà di stampa e quella di associazione, a chiudere partiti e sindacati, a calpestare il Parlamento e a incarcerare, mandare in esilio o uccidere chi non si piegava alla dittatura: Don Minzoni, Giacomo Matteotti, Piero Gobetti. E due anni dopo la stessa sorte sarebbe stara di Carlo e Nello Rosselli e di Antonio Gramsci.
L’Italia, signor Presidente del Consiglio, è un Paese antifascista.
A chi le chiedeva se anche lei potesse definirsi così, “antifascista”, lei ha risposto con fastidio che non ha tempo da perdere, che ha cose più importanti di cui occuparsi, rispetto all’antifascismo e alla Resistenza.
Il presidente Sarkozy non avrebbe risposto così, non avrebbe detto questo della Resistenza animata dal generale De Gaulle, non avrebbe messo in dubbio che ogni francese è figlio orgoglioso della Parigi liberata dai nazisti.
E né Barack Obama, né John McCain risponderebbero con un’alzata di spalle ad una domanda sulla decisione del presidente Roosevelt di mandare a combattere e a morire migliaia di ragazzi americani. Quei ragazzi americani che sono morti per noi, per restituirci la libertà e la democrazia.
Nessuno avrebbe risposto come il nostro Presidente del Consiglio, perché non c’è nulla di più importante, per un grande Paese, della sua memoria storica. Un Paese senza memoria è un Paese senza identità. E chi non ha identità non ha futuro. E l’Italia ha bisogno di futuro.Coltivare la memoria dell’antifascismo non è solo un atto di riconoscenza. Come ci ha ricordato un altro grande italiano, un uomo mite e rigoroso come Leopoldo Elia, se la democrazia viene coltivata e vissuta ogni giorno, si espande e cresce. Se viene mortificata e offesa, deperisce e può anche morire.
In tutti i Paesi del mondo ci sono i governi. Ma solo in quelli democratici c’è l’opposizione.
Coltivare la democrazia, farla vivere e crescere ogni giorno, significa rispettare l’opposizione, riconoscere la sua funzione democratica: nelle aule del Parlamento, come nelle piazze del Paese.Se noi non svolgessimo fino in fondo il nostro ruolo all’opposizione, se non facessimo coesistere la durezza della denuncia e il coraggio della proposta, se non lo facessimo, tradiremmo il nostro mandato. E per colpa nostra, una colpa che sarebbe imperdonabile, la democrazia italiana diventerebbe più debole.
E’ indice di una mentalità sottilmente e pericolosamente illiberale, pensare che in una democrazia non bisogna disturbare il manovratore e che tutto ciò che limita, regola, condiziona il suo potere è solo un fattore di disturbo.
E’ un disturbo il Parlamento, perché vorrebbe e dovrebbe discutere le proposte di legge o i decreti del governo, prima di approvarli.
E’ un disturbo la magistratura, perché esercita un controllo di legalità che non può e non deve risparmiare chi governa la cosa pubblica in nome e per conto della collettività.
E’ un disturbo la Corte costituzionale, perché deve verificare la costituzionalità dei provvedimenti voluti dal governo e approvati dalla maggioranza in parlamento.
E’ un disturbo l’opposizione. Perché spezza l’incantesimo del plebiscitario consenso al governo. Perché dimostra che c’è un altro modo di pensare, che potrebbe domani diventare maggioritario. Perché vuole, come noi vogliamo, una grande innovazione istituzionale, il dimezzamento del numero dei parlamentari, una sola Camera con funzioni legislative, una legge elettorale che restituisca lo scettro ai cittadini. A cominciare dalla battaglia parlamentare che faremo nei prossimi giorni per mantenere il voto di preferenza alle prossime europee. Una democrazia che decide, decide velocemente, decide dentro i principi della Costituzione, non con pericolose concentrazioni del potere. Una democrazia più moderna, alla quale abbiamo contribuito con le coraggiose decisioni dei mesi scorsi. Noi oggi interpretiamo la nostra funzione in un modo che è perfettamente coerente con quanto dicemmo già al Lingotto, affermando che il PD, svincolato finalmente dai vecchi ideologismi, sarebbe stato “libero dall’obbligo di essere, di volta in volta, moderato o estremista per legittimare o cancellare la propria storia”.
Questo siamo: un partito libero, che non teme né di apparire moderato agli occhi di alcuni, né di sembrare estremista agli occhi di altri. Perché null’altro è che un grande partito riformista.
Un grande partito riformista, che fa dell’opposizione, un’opposizione di popolo, il modo per incidere oggi sulla realtà del Paese e per essere domani, strette le alleanze che le idee e i programmi vorranno, nuova maggioranza e nuovo governo per l’Italia.
Il PD avrà sempre, anche all’opposizione, una sola stella polare: gli interessi generali del Paese. Quel Paese che amiamo e il cui destino è la nostra ragione d’essere. Quel Paese che vogliamo unire, rifiutando l’odio e la contrapposizione ideologica.
Questa manifestazione è un grande momento di democrazia, sereno e pacifico. E guai, davvero guai, a chi pensa di ridurre solo minimamente la libertà di avanzare critiche, la libertà di dissentire, la libertà di protestare civilmente contro decisioni e scelte che non condivide. La democrazia non è un consiglio d’amministrazione. La minaccia irresponsabile e pericolosa di intervenire “attraverso le forze dell’ordine” dentro quei templi del sapere, della conoscenza e del dialogo che sono le Università, è stata qualcosa di abnorme e di mai visto prima. Puntuale, ancora una volta, è poi arrivata la smentita del Presidente del Consiglio. “Sono i giornali che come al solito travisano la realtà”, ha detto da Pechino. Ora: cambiando il fuso orario si può anche cambiare idea, e in questo caso è un bene che ciò sia avvenuto. C’è però qualcosa su cui vale la pena riflettere. Perché un’alta carica istituzionale si può permettere sistematicamente di negare ciò che è evidente, ciò che per giorni le televisioni hanno ritrasmesso sbugiardando l’ennesima smentita? Perché il Presidente del Consiglio si sente autorizzato, nel pieno della tempesta finanziaria che stiamo vivendo, ad invitare i cittadini a comprare le azioni di questa o quella azienda? Perché può arrivare ad annunciare una decisione non presa come quella della chiusura dei mercati, facendosi smentire persino dalla Casa Bianca? Se l’avessero fatto Gordon Brown o Angela Merkel sarebbe successa una catastrofe. Siccome nel mondo sanno chi è, non è successo niente.Ma perché coltiva questa impunità delle parole? Questa strategia dell’inganno permanente nei confronti dei cittadini? La presunzione che si possa promettere di tagliare le tasse che poi non si tagliano, di fare delle mirabolanti opere infrastrutturali che poi non vengono nemmeno progettate? E’ l’idea del potere che non è tenuto a rispondere dei suoi comportamenti. E’ un’idea del potere inaccettabile. E’ la confusione tra governare e prendere il potere.
Contro questi rischi l’opinione pubblica, la cultura, la coscienza critica del Paese, l’antico amore degli italiani per una democrazia viva e piena, devono farsi sentire.Voglio essere chiaro: noi non pensiamo che questo governo sia la causa di tutti i mali. Non saremo noi, a differenza di chi ci ha preceduto nel ruolo di opposizione, a gridare al regime. Il problema è che il governo Berlusconi è totalmente inadeguato a fronteggiare la gravissima crisi che stiamo vivendo. E lo è per una ragione semplice: perché non ha nel cuore l’Italia che produce e che lavora, l’Italia che soffre. E’ un governo che si occupa di rassicurare i potenti di questo Paese, piuttosto che di combattere la drammatica situazione di imprese e lavoratori.
L’Italia può essere altro. L’Italia “è” altro.
E’ però vero che la fotografia dell’Italia attuale sta sbiadendo, ha quasi del tutto perso i colori, e la ricchezza delle sfumature, della modernità. I volti degli italiani appaiono sgranati e in bianco e nero. Come le vecchie immagini di una volta, perché l’immobilismo che già ieri ci condannava ad una crescita stentata rischia oggi, dentro una crisi economica di questa gravità, di farci tornare drammaticamente indietro.
Tornano indietro gli artigiani, gli operai. C’è stato un tempo in cui la fatica, i sacrifici e il talento, la specializzazione, davano dignità al lavoro e permettevano anche di metter su un laboratorio in proprio, e poi magari una piccola fabbrica. L’ascensore sociale funzionava, le condizioni di vita miglioravano. E comunque c’era la speranza che questo potesse accadere.
Oggi come vive un operaio che fatica tutto il giorno, e che troppo spesso in questo Paese sul lavoro rischia la vita, per 1.200 euro al mese? Che speranza può avere di poter star meglio, se deve invece preoccuparsi di essere messo in cassa integrazione, di arrivare in fabbrica una mattina e di leggere nella bacheca di servizio che fra sei mesi si chiude perché la produzione si ferma? Tornano indietro le aziende, rischiano di tornare indietro i piccoli e medi imprenditori. Quelli che sanno mettere a punto nuove tecniche e creare nuovi prodotti, e che così hanno fatto crescere il Paese. E’ gente onesta, che esce di casa che è ancora buio e torna a casa che è già notte, e fatica a dormire per la paura di non farcela e di dover chiudere: perché l’affitto aumenta a rotta di collo, le bollette paiono impazzite, la burocrazia è soffocante, la pressione fiscale opprimente. Sognavano di crescere per poter competere meglio, ma devono fare i conti con una realtà opposta: difficoltà ad avere finanziamenti dalle banche, che anzi chiedono di rientrare rapidamente dal debito, ed esportazioni che calano perché i clienti americani, tedeschi e inglesi sono impegnati a ridurre al massimo i consumi. Qualche giorno fa, ad una azienda metalmeccanica del bresciano che ha cinquanta dipendenti ed è attiva da mezzo secolo, è stato chiesto di rientrare subito del fido e intanto hanno bloccato le carte di credito. “E’ una cosa umiliante”, ha detto il titolare. Ecco uno degli effetti di questa crisi: non conta la storia e la serietà di un’impresa, si guardano solo i numeri e i conti. Quelli della banca, non quelli dell’azienda.E tornano indietro, non possono proprio a guardare avanti, i giovani, i nostri ragazzi. Su un muro di Milano qualcuno ha scritto: non c’è più il futuro di una volta. E’ la cosa più grave. Ieri a vent’anni e a trenta si raccoglievano i frutti dello studio o già si lavorava, e comunque si pensava al domani convinti che sarebbe stato migliore rispetto alla vita vissuta dai dei propri genitori. Oggi i giovani italiani sono prigionieri della gabbia del precariato. Sono storie umilianti, e sono tantissime. La risposta ad un annuncio su Internet e l’invio di un curriculum, le cuffie in testa e il microfono per rispondere alle telefonate, i 1.200 euro lordi promessi dai selezionatori che diventano 800 e cioè 640 netti considerando i giorni effettivi di lavoro. Quattro euro l’ora. Una vita precaria e i sogni mortificati per quattro euro l’ora. Ma si accetta, perché con il contratto a scadenza si è sotto ricatto. E si accetta.
E quella foto dell’Italia è in bianco e nero, purtroppo, anche a simboleggiare gli opposti, anche a dire dell’estrema ricchezza e dell’estrema povertà che dividono in due un paese ingiusto.
Non siamo solo noi, non è la cattiva propaganda dell’opposizione ad affermarlo, lo ha detto la Banca d’Italia, lo dice l’Ocse: la nostra è una delle società più diseguali dell’Occidente, siamo uno dei paesi nei quali la forbice tra chi ha tanto e chi ha poco o niente si è fatta più larga. L’Italia ha urgente bisogno di crescere e per questo ci vuole, lo diciamo da mesi, un grande patto tra i produttori. Siamo nel pieno della terribile, drammatica crisi finanziaria internazionale, che sta producendo una grave recessione mondiale e che si è abbattuta anche sul nostro Paese. Una crisi che richiederebbe, da parte di chi governa, senso di responsabilità e moderazione. Parole sconosciute a Berlusconi.
La crisi non va certo spiegata agli operai, alle imprese, ai ragazzi che cercano o perdono un lavoro. Lo sanno bene, lo sapete bene, lo vivete ogni giorno sulla vostra pelle. Lo sanno i pensionati, che prendono ogni mese la stessa pensione e intanto pagano di più per il pane, per la pasta, per le bollette della luce e del gas. Lo sanno le famiglie italiane, che faticano ad arrivare alla fine del mese. Lo sanno i sette milioni e mezzo di persone che vivono poco al di sopra della soglia di povertà, 500-600 euro al mese, vicinissimi a quegli altri sette milioni e mezzo che già stanno sotto. Fanno 15 milioni in totale. Non esagera, la Caritas Italiana, quando lancia l’allarme povertà.C’è la crisi. Ed è vero che ci arriva dagli Stati Uniti. Ma nessuno può farne un alibi o una scusa. Soprattutto non può farlo, non può chiamarsi fuori, una destra che per anni ha diffuso a piene mani tre tossine, culturali e politiche.
La prima è un’idea monca della libertà, quella che considera ogni regola come un inciampo, che è figlia dell’ideologia del liberismo selvaggio e dell’individualismo sfrenato. E la disinvoltura con cui si fa una bella capriola e si diventa all’improvviso statalisti nasce dal fatto che l’unico vero sistema che piace alla destra è quello nel quale sia il mercato che lo Stato sono al servizio degli interessi dei più forti. La seconda tossina è la freddezza, lo scetticismo, l’ostilità perfino nei riguardi dell’Europa. Ed è ovvio: l’Europa è coesione sociale e crescita economica insieme, è un orizzonte che chiama a muoversi in un sistema di regole e responsabilità comuni. La terza tossina è il primato della finanza e di quella più creativa, più disinvolta e più cinica possibile, nei riguardi del lavoro e della produzione di beni e servizi. Vi farò tutti ricchi, perché il denaro da solo moltiplicherà il denaro, tutti avrete il vostro albero delle monete d’oro nel campo dei miracoli. L’impegno, la fatica, lo studio, la pazienza e la tenacia non servono più, sono avanzi del passato: tutto è facile, tutto è possibile, perché tutto è lecito.
La crisi, ha detto un grande economista come Paul Samuelson, “è figlia di un insieme diabolico di avidità, indebitamento, speculazione, laissez-faire, e soprattutto un’infinita incoscienza”. C’è il ritratto della destra, dietro queste parole. Anche della destra italiana di questi ultimi quindici anni. L’intervento dello Stato è “un imperativo categorico”, ha detto Berlusconi fulminato sulla via di Damasco. Ma sicuramente un giorno arriverà una smentita anche di questa frase. Come quando, poche ore dopo averla fatta, ha corretto quell’affermazione destinata comunque a rimanere negli annali per la sua totale irrealtà: “la crisi non avrà effetti sull’economia reale”.
E’ invece proprio l’economia reale l’emergenza vera di queste ore. Cosa ha fatto il Presidente del Consiglio per difendere le piccole e medie imprese o il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi degli italiani? Nulla, assolutamente nulla. Cosa ha fatto, cosa sta facendo il governo per le famiglie? Ha tagliato del 32 per cento il Fondo a loro destinato, e lo ha fatto per coprire una parte dell’abolizione dell’Ici sulle abitazioni dei più ricchi. Così, come ha denunciato l’Associazione famiglie numerose, c’è un “signor Rossi” milionario, che ha 500 mila euro di reddito annuo, diverse case di proprietà e non ha figli, che non paga più l’Ici perché un “signor Rossi” che fa l’operaio, che ha 25 mila euro di reddito annuo e vive in una casa in affitto con moglie e quattro figli a carico, non riceve più i 330 euro che prima gli arrivavano dal Fondo per le famiglie. Insomma, dinanzi a una crisi che sta impoverendo ancora di più le famiglie italiane, il governo cosa fa? Spende le poche, preziose risorse per i più ricchi. E questi costosi regali li pagano tutti i contribuenti, perché hanno meno servizi, perché pagano più tasse e perché ricevono meno sostegni. Li pagano i Comuni, cuore del nostro Paese, costretti per questo a scelte socialmente dolorose. Li pagano gli italiani all’estero, anche loro cuore del Paese, anche loro colpiti anche dalle scelte di questo governo.Voglio dirlo chiaramente: il governo ha sbagliato tutte le previsioni economiche, il governo ha fatto una Finanziaria che immaginava una fase di crescita, il governo ha esplicitamente e drammaticamente sottovalutato le conseguenze durissime che la crisi sta avendo sulle famiglie e sulle imprese.Si sono riuniti anche di notte per garantire sostegno alle banche, quelle banche che devono restare indipendenti dalla politica. Ora si riuniscano anche di notte per fare invece un grande piano per i cittadini, per combattere la recessione e l’impoverimento della società italiana. Dalla crisi del ’29 si uscì con il New Deal. Ora nel nostro Paese è tempo di un Piano organico per la crescita e la lotta alla povertà e alla precarietà. L’Italia è un Paese migliore della destra che lo governa.
Le misure per stabilizzare la crisi finanziaria, prese a livello europeo, sono giuste e necessarie. Ma non sono sufficienti. Ne servono altre, indispensabili: il sostegno con un fondo di garanzia alle micro e piccole imprese, un piano di investimenti in infrastrutture e soprattutto un intervento per aumentare i redditi da lavoro, i salari, gli stipendi, le pensioni degli italiani. Abbiamo presentato proposte per sostenere l’economia reale. Se queste priorità saranno riconosciute noi faremo, come sempre, la nostra parte. La faremo, come ho detto, per l’Italia, non certo per Berlusconi.
Noi da questa piazza non insultiamo nessuno e non gridiamo al regime. La nostra sfida è chiara, ed è la stessa che lanciammo al Lingotto. Non conservare quello che c’è. Non assegnare al riformismo il compito di difendere anche importanti conquiste del passato. No, è il tempo della costruzione dell’Italia del nuovo secolo. E’ il tempo del coraggio riformista, non della pigrizia conservatrice.Le nostre proposte sono sul tavolo. Noi chiediamo di ridurre, a partire dalla prossima tredicesima, il peso delle tasse sui lavoratori dipendenti e sui pensionati. Proponiamo di destinare a questa misura sei miliardi di euro, in un insieme di interventi che valgono lo 0,5 per cento del Pil.
E’ un intervento rilevante ma sostenibile per le nostre finanze pubbliche, risanate dall’azione di un uomo che quando governava pensava al Paese, e non a se stesso: Romano Prodi. E’ un intervento sostenibile, nel momento in cui si è introdotta una maggiore flessibilità dei parametri europei all’interno dei vincoli del Patto.
La spesa pubblica, in Italia, deve essere ridotta. Senza esitazioni. La nostra linea, però, è “spendere meno e spendere meglio”. Non “spendere meno” e basta, senza preoccuparsi di cosa ne sarà delle scuole, degli ospedali, della sicurezza dei cittadini.Abbiamo sempre detto “pagare meno, pagare tutti”. E invece ora di pagare meno non c’è traccia e la lotta all’evasione fiscale è scomparsa dall’orizzonte. Il governo sta riproponendo la vecchia ricetta: aliquote alte, pochi controlli, evada chi può. Complimenti: è la strada maestra per andare tutti a fondo.
E vorrei porre qui la domanda che si stanno facendo gli imprenditori e tutti gli italiani: dov’è finita la promessa di ridurre le tasse? Di portare la pressione fiscale sotto il 40 per cento? La verità è che le tasse le stanno aumentando Voglio ripeterlo: le tasse stanno aumentando. E questo proprio in una fase di recessione, quando si dovrebbe consentire a chi ha redditi medi e bassi di poter aumentare i propri consumi. E poi: abbiamo sempre detto che la pubblica amministrazione deve essere riformata. Dunque va bene la lotta ai veri fannulloni. Chi lavora nel settore pubblico, a cominciare dai dirigenti, deve metterci il doppio e non la metà dell’impegno di chi lavora nel settore privato.
Ma la pubblica amministrazione è piena anche di persone straordinarie, che mettono al servizio della collettività sapere e competenza, in cambio di un reddito col quale faticano a vivere dignitosamente. Penso agli infermieri e ai medici ospedalieri. Penso agli agenti delle forze di polizia, che rischiano la vita e devono chiedere l’anticipo sulla liquidazione per tirare avanti. Penso alla scuola, alla ricerca, all’Università. Il governo ha fatto due errori. Il primo: le ha ridotte a voci da tagliare, dimenticando che sono un settore strategico per il futuro del Paese. Un settore da riformare, anche in profondità, ma per investirci maggiori e non minori risorse.Stupisce lo stupore per la protesta che sta dilagando in tutta Italia. E’ una protesta giusta, perché consapevole, responsabile e assolutamente non violenta. Come sempre dovrà essere, respingendo il tentativo di radicalizzare lo scontro portato avanti dal governo. E’ un movimento senza bandiere né di partito, né di sindacato. Una grande prova di autonomia della società civile. Le maestre insieme alle mamme, gli studenti insieme ai rettori. Questo movimento ama la scuola e la vuole cambiare, tanto che nelle piazze ci va anche per fare lezioni all’aperto di fisica o di filosofia.
Il governo invece sta togliendo l’aria all’Università italiana, sta impedendo l’ingresso di nuove leve di ricercatori e docenti all’interno degli atenei, sta togliendo ogni prospettiva di poter continuare a lavorare nel nostro Paese a giovani scienziati che hanno fin qui fatto partecipare l’Italia a progetti come quelli del Cern di Ginevra o hanno garantito il monitoraggio di vulcani e terremoti in un Paese come il nostro. Giovani scienziati che si sono visti bloccare l’assunzione dal governo Berlusconi del 2002 e che si vedono arrivare il licenziamento dal governo Berlusconi del 2008.
“Prenda nota, signor ministro Giulio Tremonti – non sono io a dirlo, ma è uno storico come Franco Cardini dalle colonne del “Secolo d’Italia” – ritirare l’appoggio alle Università è un modo di rubare ai poveri per dare ai ricchi. Un modo come infiniti altri. Ma è l’esatto contrario di quel che avrebbe voluto il ‘suo’ Robin Hood”. Il secondo errore è forse ancora più grave. Avete camuffato i tagli sotto le mentite spoglie di una “riformetta” che ha mortificato la dignità culturale e professionale dei docenti, la partecipazione dei genitori e degli studenti, la natura di comunità educante della scuola. Voglio essere chiaro: ogni posizione conservatrice sulla scuola e l’Università è sbagliata. Abbiamo bisogno della scuola dell’autonomia e del merito. Di una scuola che abbia fiducia nella capacità di scelta dei ragazzi. Di una scuola guidata da un progetto educativo moderno e capace di promuovere opportunità sociali e merito, in un contesto di permanente, indipendente, valutazione di qualità.
I conservatori sono quelli che si preoccupano di sistemare piccoli particolari, come il grembiule e il ripristino dei voti. C’è bisogno invece di una radicale riforma. E voglio dire che se c’è una materia sulla quale il Paese dovrebbe proiettare se stesso oltre le divisioni, è proprio una scelta di fondo della scuola e dell’Università. Non si può ad ogni cambio di ministro stravolgere la vita di milioni di famiglie, di ragazzi, maestri e professori. E’ la sfida dell’innovazione della scuola, quella che ci interessa. La scuola elementare italiana, una delle migliori del mondo, è il frutto di decenni di elaborazione pedagogica, teorica e sul campo. Che cultura, che pensiero, che innovazione c’è dietro il ritorno al maestro unico o all’abolizione per via di fatto del tempo pieno?E davvero qualcuno pensa che il fenomeno del bullismo si possa risolvere con il voto in condotta? No. Non è così semplice, non è così banale. Dietro questi atteggiamenti c’è molto di più. Dietro il fatto che un bambino su cinque comincia a bere tra gli 11 e i 15 anni c’è davvero un vuoto più grande. C’è il degrado e sociale e il disagio familiare. C’è l’annoiarsi di fronte alla vita di chi forse è spinto a conoscere il prezzo ma certo non il valore delle cose.
Quel vuoto a noi spaventa. Per voi è indifferente. Perché vi è congeniale. L’avete alimentato con la vostra cultura dell’individualismo e dell’egoismo. Con il vostro fastidio per ogni regola morale. Con la vostra idea che contano non lo studio e il lavoro, ma solo il successo facile. Quello che si raggiunge anche senza saper far niente, basta apparire in televisione. Quello che si può ottenere in ogni modo, anche prendendo le scorciatoie e passando sopra gli altri.
Uno scrittore, che di mestiere fa anche il professore, ha raccontato così i pensieri di una sua studentessa, di una ragazza come tante della sua generazione: “Professore, ha presente il fascio di luce che d’improvviso avvolge l’ospite d’onore e lo separa dal buio? Quella chiazza bianca o gialla sul palcoscenico? Mi sono accorta – dice questa ragazza – che è piccola, un cerchio minimo. Tutti non ci possiamo entrare, e neanche parecchi. Lì c’è posto per pochissimi. Per gli altri c’è il buio, il niente, al massimo un posto in platea per applaudire chi ce l’ha fatta e crepare d’invidia. A me non piace stare da una parte ad applaudire agli altri. Oggi a nessuno piace. Ma non mi va nemmeno di uscire dal teatro e mettermi a battere chiodi o sudare per due lire come mio padre e mia madre. Io quella luce la voglio. Io li capisco quelli che bruciano le macchine a Parigi. Loro la luce se la fanno da soli, e il mondo li guarda, arrivano le telecamere e il buio non c’è più, non c’è più questo schifo di vita”.
Questa cultura l’ha creata la destra. L’avete costruita voi. Non vi interessa la scuola perché la vostra scuola è la televisione. E la vostra diseducazione civile degli italiani rimbalza fin dentro le scuole. Fa rabbrividire la mozione della Lega sulle classi differenziate per i bambini stranieri. “Famiglia cristiana” l’ha definita “la prima mozione razziale approvata dal Parlamento italiano”.
Che nella scuola dell’obbligo ci siano classi separate o test d’ammissione per distinguere un bambino dall’altro è un danno per tutti. E’ un danno per i bambini italiani, che considereranno quei loro amici diversi da loro, introiettando un concetto foriero di catastrofi. E’ un danno drammatico per i bambini immigrati, che si sentiranno messi ai margini e respinti, e coltiveranno un senso di separatezza che potrà essere molto rischioso in primo luogo per la sicurezza della nostra società.
Quella mozione offende i bambini, umilia la scuola e il Parlamento. La questione dell’insegnamento dell’italiano ai bambini stranieri è una questione reale, che da anni la scuola elementare affronta con successo e che dovrà ancora di più saper affrontare, attraverso lo sviluppo dei corsi integrativi e non con la segregazione etnica.
Si chiama interculturalità. Ed è un altro esempio di come l’Italia sia migliore, molto migliore della destra che la governa.
E’ con l’Italia, allora, che dovete discutere e ragionare. Con la scuola e l’università, innanzitutto. E poi in Parlamento: aprendo quello spazio di confronto auspicato con la consueta saggezza dal Presidente Napolitano, cercando soluzioni condivise e perciò stesso durature, perché sottratte al conflitto politico immediato. Noi vi facciamo una proposta: il Governo ritiri o sospenda il decreto attualmente in discussione in Parlamento, modifichi con la Legge Finanziaria le scelte di bilancio fatte col decreto e avvii subito un confronto con tutti i soggetti interessati, giovani studenti, famiglie, docenti. Fissando un tempo al termine del quale è legittimo che le decisioni siano prese.
E’ il tempo di dirsi chiaramente una cosa, anche autocriticamente: nella scuola e nell’Università italiana forse si spende male, ma certo si spende poco. E’ il cuore del futuro del Paese, e per questo voglio prendere un impegno: quando governeremo l’Italia, noi dovremo fare quello che in questi giorni ha detto il Presidente francese. E cioè un grande sforzo per l’istruzione, per la formazione dei giovani. Sarkozy ha annunciato che all’Università sarà progressivamente destinato il 50 per cento in più di risorse. E’ una assoluta priorità, che non si può non vedere e che non ha colore politico. Quando noi governeremo, faremo altrettanto.
Se le cose cambiano, va cambiato anche il modo di guardarle. Alla parola “costi” si deve sostituire la parola “investire”.
Vale, questo, per la grande frontiera dell’ambiente, per il gigantesco problema del surriscaldamento globale, per la strada indispensabile delle energie rinnovabili. Basta col pensare che tutto, quando si parla di questioni ambientali, sia solo un costo da sopportare. “Costi irragionevoli”, ha detto il Presidente del Consiglio di fronte ai nostri partner europei.
L’ambiente e l’economia non sono nemici tra loro. Il Pil può salire mentre contemporaneamente aumenta la tutela della natura e migliora la qualità della vita. Anzi: il Pil sale solo se al centro dello sviluppo c’è la sostenibilità, c’è la riconversione dell’economia.
Davvero non si capisce perché se la Germania è riuscita a creare, nel comparto delle fonti rinnovabili, duecentomila posti di lavoro negli ultimi dieci anni, da noi non possa avvenire qualcosa di simile. O perché non sia possibile seguire l’esempio della California, che puntando sull’efficienza energetica ne ha creati un milione e mezzo.
E ad ogni modo: solo se gli impegni internazionali assunti dall’Italia saranno confermati, come è dovere di un grande paese europeo, sarà giusto studiare momenti di flessibilità per venire incontro alle esigenze delle imprese nell’attuale situazione. Il Partito Democratico vuole essere il grande partito dell’ecologismo moderno, fatto non di pregiudizi antiscientifici, ma dall’idea che sia proprio l’ambiente, scegliendo la via della “rottamazione” del petrolio, della fine della dipendenza dai combustibili fossili, degli investimenti sulle fonti rinnovabili, del potenziamento del trasporto pubblico, a poter garantire la nostra ricchezza di oggi e il domani dei nostri figli.
Alle mie spalle, la vedete, c’è una bellissima frase di di Vittorio Foa: “pensare agli altri, oltre che a se stessi, e pensare al futuro, oltre che al presente”.
Valgono, queste parole, per l’ambiente. E valgono per il drammatico corto circuito che nella nostra società si sta creando per colpa di un’equazione tanto ingiusta quanto sbagliata: più immigrazione uguale insicurezza, straniero uguale estraneo, diverso, “altro” da sé, minaccia per il proprio territorio, la propria casa, la propria incolumità. E quindi nemico da allontanare, da respingere, da cacciare.
Non ci stancheremo mai di ripeterlo e mai di fare di tutto per rendere concreto questo principio: la sicurezza è un diritto fondamentale di ogni cittadino. Chiunque lo colpisce va perseguito, qualunque sia la sua nazionalità. E basta con la vergogna di troppi delinquenti, non importa se italiani o stranieri, arrestati dalla polizia e poi scarcerati dopo pochi giorni, o di condannati che evitano il carcere grazie a una serie infinita di premi e benefici.
Però quell’equazione no, non si può fare. Non si può negare uno dei fondamenti della nostra civiltà: sono gli individui che commettono un crimine che vanno puniti. Mai i gruppi, mai le comunità etniche, sociali o religiose.
La madre del razzismo è la paura. Il problema è che ad alimentarla c’è anche l’uso politico dell’immigrazione. Il massimo dell’ipocrisia in chi, come il governo, dovrebbe avere l’onestà di dire che da quando ci sono loro gli sbarchi sono raddoppiati, le espulsioni sono ferme e si sta creando una nuova bolla di clandestinità.
La paura, ha detto bene Ilvo Diamanti, “paga”. In termini elettorali e di consenso, almeno nell’immediato. “Per contrastare il razzismo”, ha scritto ancora Diamanti, “si dovrebbe combattere la paura. Invece viene lasciata crescere in modo incontrollato. E molti, troppi, la coltivano, questa pianta dai frutti avvelenati che cresce nel giardino di casa nostra”.Molti, troppi episodi si sono verificati negli ultimi mesi, nelle ultime settimane. Di quasi tutti si è detto “il razzismo non c’entra”. Ma non è razzismo l’assassinio di Abdoul, ucciso per una scatola di biscotti al grido di “sporco negro”? Non ci sono l’ignoranza, l’estraneità e l’ostilità verso “l’altro” dietro l’aggressione di un ragazzo cinese alla fermata di un autobus? Non dobbiamo pensare che ci sia razzismo dietro il fermo violento da parte dei vigili e il pestaggio di Emanuel? Dietro quel negargli persino il cognome?
E c’è un episodio che mi ha colpito particolarmente. In una scuola di una provincia italiana i bambini avevano disegnato, insieme alle loro maestre, delle sagome da mettere vicino alle strisce pedonali per dire agli automobilisti di rallentare. Queste sagome ritraevano loro. Erano bambini e bambine. Erano di colori diversi. Qualcuno deve aver pensato che c’era qualcosa di sbagliato nel fatto che ci fossero ritratti di bambini neri e di bambini bianchi insieme, e ha pensato di andare, di notte, a sbiancare con la vernice le sagome scure. Razzismo strisciante, vigliaccheria e pretesa di insegnare la propria aberrante idea di ciò che è giusto: il peggio del peggio riunito in un solo gesto. Ecco qualcosa di fronte al quale noi non siamo e non saremo mai indifferenti. Qualcosa che noi combattiamo e combatteremo sempre.
L’Italia non è non sarà mai un Paese razzista. E domando: la libertà e la democrazia non sono diminuite e ferite quando si ripetono atti di odiosa e intollerabile omofobia, che allontanano le nostre possibilità di convivenza civile e allargano il discrimine che vive sulla propria pelle chi non gode di leggi di pari opportunità e non è adeguatamente tutelato contro i reati d’odio?
L’Italia è un paese migliore della destra che la governa. La sua storia racconta un paese migliore.
Un bravo giornalista lo ha detto bene. Nei decenni successivi alla guerra, i nostri dialetti erano lingue ben strutturate, che resistevano tenacemente alla penetrazione dell’italiano. Allora nessuna Lega pensò di differenziare i ragazzi. Nessun ministro italiano immaginò mai di separare i piemontesi dai calabresi, i lombardi dai siciliani, i veneti dagli abruzzesi. Eppure quella era un’Italia nettamente divisa in classi, piena non solo di differenze linguistiche ma di diseguaglianze sociali. Ma quell’Italia non fu mai razzista, non fu mai “differenziata”.
L’Italia non può diventare questo proprio oggi, nel tempo che vede incrociarsi culture, popoli e persone. Noi non permetteremo che accada. Noi continueremo a credere che alla paura e anche alla sua percezione va data risposta, e che insieme va data risposta a chi arriva qui, lavora onestamente, e chiede integrazione, chiede diritti civili, chiede di poter votare, a cominciare dalle amministrative.
L’Italia è un Paese migliore della destra che la governa. Moltiplicano l’ingiustizia in un Paese ingiusto.
Scelgono l’immobilismo in un Paese fermo.Alimentano l’odio in un Paese diviso.Cavalcano la paura in un Paese spaventato.
Ma l’Italia, nonostante tutto, resta migliore.
Stanno facendo dell’Italia un deserto di valori e la chiamano sicurezza.Stanno cercando di creare un pensiero unico e lo chiamano gradimento, consenso.Stanno calpestando principi e regole della vita democratica e la chiamano decisione.
Ma l’Italia, nonostante tutto, resta migliore.
C’è l’Italia delle 250 mila persone che con una firma si sono strette attorno ad un ragazzo di ventotto anni che rischia ogni giorno la vita e che continua a combattere contro la camorra con le sole armi che possiede e vuole usare: la passione civile, il coraggio delle idee e la straordinaria forza della scrittura, che arriva lì dove la violenza e la stupidità di uomini che non valgono nulla non arriveranno mai. A Roberto Saviano va il grazie di tutti noi che oggi siamo qui in questa piazza. Lo stesso grazie va alle forze dell’ordine, ai magistrati, agli imprenditori coraggiosi e alle associazioni che ogni giorno contrastano l’illegalità, resistono alla sopraffazione, tengono viva la speranza. Ad ognuno di loro va il grazie di tutti gli italiani onesti e perbene, di tutti coloro che non si rassegnano a pensare che le cose continueranno ad andare così perché così è sempre stato e nulla può cambiare.
Un’altra Italia è possibile. L’Italia della legalità, e non della furbizia. L’Italia della responsabilità, e non dell’esclusivo interesse personale. L’Italia del merito, e non dei favori. L’Italia della solidarietà, e non dell’egoismo. L’Italia dell’innovazione, e non della conservazione.
Oggi da questo luogo meraviglioso noi vogliamo far arrivare agli italiani un messaggio di fiducia.
Le cose possono cambiare. Le cose cambieranno. Non c’è rassegnazione che non possa cedere il passo alla speranza. Non c’è paura che non possa essere vinta dalla consapevolezza di sé e dall’apertura agli altri. Non c’è buio dopo il quale non venga la luce.
E allora dell’Italia tornerà a vedersi tutto il meglio. La civiltà di un popolo che sa accogliere ed includere. La creatività e il talento di generazioni di donne e di uomini che hanno sempre cercato il nuovo. Il coraggio di chi ha traversato il mare, di chi ha lasciato la propria terra per lavorare e fare più ricco il Paese. La tenacia di chi ha rischiato per fare impresa e di chi si sacrifica per difendere legalità e sicurezza.E’ la nostra meravigliosa Italia. Quella che è stata e quella che può essere. Quella che sarà con il nostro lavoro, il nostro coraggio, la nostra voglia di futuro.Un’altra Italia è possibile. La faremo insieme.
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