sabato 27 settembre 2008

UNIVERSITA' MAGNA GRAECIA: CONCLUSO CONVEGNO SU “INFEZIONE DA HBV”

di Andrea Ursini

L’infezione da virus epatico B (HBV) è un problema sanitario di straordinaria rilevanza mondiale: l’OMS stima l’esistenza di oltre 400 milioni di portatori cronici del virus che sono ad elevato rischio di cirrosi, scompenso epatico, epatocarcinoma.
La prevalenza di infezione varia notevolmente a seconda delle diverse zone geografiche potendo superare l’8% nei paesi in via di sviluppo. In Italia si sta assistendo ad una profonda trasformazione dello scenario epidemiologico dell’epatite B grazie al miglioramento degli standard igienico-sanitari ed alla introduzione della vaccinazione obbligatoria per tutti i nuovi nati (Legge 165/1991). L’incidenza annua di casi di infezione da HBV/100.000 abitanti è infatti scesa da 5 (1990) a 1,6 (2004) e l’odierna prevalenza di portatori è inferiore al 2%.
Sono dati diffusi nel corso del convegno scientifico nazionale “L’infezione da HBV: una nuova era?” promosso dalla sezione calabrese della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), presieduta dal professor Vincenzo Guadagnino, Direttore della Cattedra di Malattie Infettive dell’Università Magna Graecia, tenutosi presso il Campus di Germaneto.
Aperto ad infettivologi, gastroenterologi, biologi, medici di medicina interna e di medicina generale, il convegno si è avvalso del patrocinio dell’Università, Cattedra di Medicina Sperimentale e Clinica “Gaetano Salvatore”, di quello dell’Azienda Ospedaliera Mater Domini, dell’Ordine dei Medici della Provincia di Catanzaro e del Gruppo Epatologico Calabro-Siciliano.
Dopo la introduzione del professor Vincenzo Guadagnino, presidente del Convegno; dei professori Tullio Barni, in rappresentanza del Magnifico Rettore, ed Elio Gulletta, in rappresentanza del Preside della Facoltà di Medicina, hanno portato il saluto ai convegnisti il direttore dell’Azienda Ospedaliera “Mater Domini”, Anna Rosalba Buttiglieri, e il direttore generale dell’Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Enzo Ciconte.
Nel corso della riunione scientifica sono state illustrate le modifiche temporali dell’epidemiologia dell’HBV in Italia ed affrontato e dibattuto il problema del residuo sommerso epidemiologico, evidenziato da una recente indagine effettuata in Sicilia e Calabria. “Tale studio - è stato sottolineato - ha chiaramente dimostrato l’esistenza di un calo di livello di attenzione sulla infezione da HBV sia da parte dei pazienti che da parte dei curanti con un conseguente insufficiente impegno nella prevenzione della diffusione dell’infezione da HBV specie nell’ambito intrafamiliare”.
Altro argomento di particolare interesse dibattuto è stata la storia naturale della malattia da HBV. Questa è caratterizzata da ampia variabilità nel decorso: nel management dei soggetti con epatite B cronica è fondamentale una adeguata conoscenza dei fattori che influenzano la storia naturale della malattia determinandone la progressione e dei benefici/rischi correlati alle varie terapie antivirali disponibili.
“Nell’ambito della gestione terapeutica dell’infezione - ha detto il professo Vincen zo Guadagnino - certamente stiamo vivendo una era realmente nuova e grandi sono i progressi conseguiti e numerose sono le opzioni oggi disponibili che alimentano un grande ottimismo. Siamo in possesso di terapie efficaci sul controllo della replicazione virale il cui principale obiettivo è prevenire/interrompere la progressione verso la cirrosi, l’insufficienza epatica e l’epatocarcinoma”.
Il convegno ha consentito di approfondire le complesse problematiche di questa malattia e di discutere, con la partecipazione di qualificatissimi esperti (Francesco Mazzotta, Tommaso Stroffolini, Giovanni Raimondo, Giuseppe Foti, Giovanni Battista Gaeta, Teresa Pollicino, Sandro Vento, Carlo Filice, Vincenzo Guadagnino, Benedetto Caroleo, solo per citarne alcuni)) le strategie terapeutiche più attuali con l’obiettivo di fornire precise indicazioni pratiche finalizzate alle corrette scelte del medico nelle condizioni di trattamento.
A fine convegno è stato approvata, infine, una intesa sinergica, sotto l’aspetto scientifico e culturale, tra le sezioni SIMIT della Calabria e della Sicilia.

Il professor Guadagnino porge il saluto ai convegnisti

Libro di Raimondo Verduci, docente emerito di Filosofia Teoretica al “S. Pio X”: IL CREDO DI UN BIOLOGO: JEAN ROSTAND

di Andrea Ursini

CATANZARO - Quando Jean Rostand (Parigi 1894-1964, accademico di Francia dal 1959), scrittore e filosofo di biologia, si trovava all’apice della sua attività di divulgatore, fu invitato a tracciare una presentazione di un libro stampato da Einaudi nel 1959, che riuniva tre sue opere, così si espresse: “che la biologia sia indispensabile ad una maggiore comprensione dell’uomo, nessuno oggi potrebbe contestarlo. E’ impossibile, senza fare appello ai suoi lumi, trattare un po’ seriamente molte questioni il cui chiarimento è così grave di conseguenze non solo per l’avvenire fisico dell’umanità, ma per il suo avvenire psicologico e sociale. Ma la biologia non si limita a istruirci su noi stessi. E’ scienza attiva, sperimentale, che sempre più tende ad applicare all’essere umano i poteri che ha acquisito attraverso l’esperimento sull’animale”.
Dalla scomparsa di Rostand sono passati poco più di trent’anni, e, naturalmente, anche le idee dei biologi hanno cominciato a cambiare. I ricercatori del settori più avanzati non si accontentano più di ripetere in modo meccanico le leggi di Darwin, ma costruiscono teorie nuove, spesso notevolmente sorprendenti con ipotesi che poggiano chiaramente sull’intervento di un principio organizzatore. Se la vita è una proprietà emergente della materia, il problema che si pone agli uomini di scienza e di filosofia è quello di sapere se esista una transizione continua tra la materia e la vita, tra l’inerte e il vivente e se esista un’area in cui domina la continuità.
Sono questi gli argomenti che Raimondo Verduci, docente emerito di Filosofia Teoretica nell’Istituto Teologico Calabro “San Pio X” e nel Seminario interdiocesano di Scutari (Albania), analizza nel suo volume “Il credo di un biologo: Jean Rostand”, pubblicato di recente dalle
Edizioni Ursini di Catanzaro nella collana “Quaderni di Vivarium”.
Il libro, attraverso la critica del pensiero di Jean Rostand, mette in evidenza la problematica sempre attuale sul fenomeno della vita nelle sue manifestazioni e sul concetto filosofico di diversità, rispetto a tutte le cause strutturali che in essa si manifestano.
Dal punto di vista filosofico, difatti, come tutte le scienze, anche la biologia tende ad una visione unitaria del suo oggetto costruendo delle teorie, che sintetizzano i fenomeni vitali.
“Analizzando le opere scritte da Rostand – dice Verduci – si vuole soprattutto mettere in rilievo quelle formulazioni del suo “credo”, “ce que je crois” che sono un insieme di affermazioni che vanno al di là della biologia e toccano problemi filosofici”.
Evidenziando confronti e riscontri – aggiunge – non si pretende di risolvere tutti i problemi che tuttora restano complessi, ma rendere consapevoli che oggi si va verso cognizioni scientifiche “semantiche”, cioè più cariche di quei significati che vanno oltre il riduzionismo”.
Di fronte agli studi in campo biologico, potrebbe sembrare di scarsa importanza occuparsi dei problemi filosofici nei confronti dell’origine e del perché della vita. Tuttavia le teorie filosofiche formulate nel passato, quali il meccanismo e il vitalismo, possono essere ancora discusse, accertate o rifiutate solo secondo ragionamenti filosofici che trascendono il campo della scienza. Il libro di Verduci approfondisce diversi aspetti di queste teorie.

giovedì 25 settembre 2008

Libro di Giuseppe De Simone, docente all’Istituto Teologico “San Pio X”: LA MORALE SOCIALE DEI PADRI

Il volume è stato pubblicato dalle Edizioni Ursini nella collana “Quaderni di Vivarium”, diretta da don Vincenzo Lopasso

“La morale sociale dei Padri”: è il nuovo saggio del professore Giuseppe De Simone, docente all’Istituto Teologico Calabro “San Pio X”, pubblicato di recente dalle Edizioni Ursini.
“La Optatam totius - sottolinea in premessa mons. Domenico Graziani, vescovo di Crotone-Santa Severina - raccomandava di porre speciale cura nel perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla Sacra Scrittura, illustri l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo”.
“Parlando poi più propriamente di trasmissione e spiegazione delle verità rivelate e cogliendo il valore delle loro dinamiche e delle linee seguite, - aggiunge - ci si è accorti della necessità di conoscere e valorizzare l’apporto dei Padri, soprattutto nell’ambito più proprio della teologia patristica accompagnato dalla patrologia, sua consociata in ambito storico e letterario”.
E’ questo, in sintesi l’argomento del volume che la casa editrice catanzarese ha inserito nella collana “Quaderni di Vivarium”, diretta da don Vincenzo Lopasso.
Inoltre, l’autore approfondisce non solo ciò che i Padri hanno detto, ma come si sono collocati all’interno delle loro culture e come hanno interagito con esse. “Essi - afferma De Simone - non solo sono i testimoni privilegiati della Tradizione, ma sono stati coloro che “hanno iniziato la grande opera della inculturazione cristiana”, come si suole chiamarla oggi. Sono diventati l’esempio d’un incontro fecondo tra fede e cultura, tra fede e ragione, rimanendo una guida per la Chiesa di tutti i tempi, impegnata a predicare il Vangelo a uomini di culture diverse e a operare in mezzo ad esse”.
Chiaramente, come per la Scrittura, anche per i Padri non si tratta di usare i testi patristici come “prove” o brani slegati dal contesto letterario e storico, senza penetrare il contesto in cui sono vissuti i Padri.
“In teologia sistematica, - sottolineae De Simone - come in teologia morale, soprattutto dopo la svolta data dal Concilio Vaticano II, si parte dal dato biblico e, attraverso la mediazione patristica, si giunge alla riflessione teologica”.
“Sono lieto di poter riconoscere nell’opera di don Giuseppe De Simone e nella comunità di studio del «S. Pio X», - aggiunge Monsignor Domenico Graziani - il pathos autentico, le utopie condivise (sia pure come “linee divise” e come “liminalità”), e nei docenti e negli studenti ben orientati, così che posso augurare anche nelle nostre Chiese quel vigore di trasmissione e di spiegazione dell’esperienza cristiana che i Padri vissero nelle loro comunità ecclesiali”.
Presbitero della diocesi di Rossano-Cariati, dottore in Teologia dommatica e Filosofia, Giuseppe De Simone è professore straordinario di Teologia patristica nell’Istituto Teologico Calabro di Catanzaro e docente invitato di Sacramentaria speciale nello Studio teologico cosentino.
Ha pubblicato diversi articoli di natura teologica e patristica su “Vivarium” e altre riviste specializzate. Tra le altre sue opere ricordiamo “Cassiodoro e l’“Expositio Psalmorum” e “La miseria del ricco. Esegesi biblica e pensiero sociale nella Storia di Nabot di Ambrogio”.

mercoledì 24 settembre 2008

UNIVERSITA' DELLA CALABRIA: COMITATO LOTTA CONTRO DECRETO GELMINI

RENDE (Cs), 24 set - Un Comitato di Lotta della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'UniCal contro il Decreto Gelmini ha convocato per domani, 25 settembre, un'assemblea aperta a studenti e docenti di tutte le Facoltà dell'Università della Calabria. Le obiezioni al decreto Gelmini si sono concentrate su alcuni punti in particolare: la possibilità che le università pubbliche si trasformino in fondazioni di diritto privato è un attacco violentissimo all'idea che l'alta formazione debba essere governata dallo stato nazionale e pone il sistema universitario in condizione di subalternità nei confronti del mercato; la limitazione del turnover al 20% delle unità di personale provocherà la scomparsa di molti saperi specialistici, di cui la tradizione culturale italiana è depositaria a livello internazionale e la penalizzazione delle giovani generazioni di studiosi; il taglio nel prossimo triennio di circa 500 milioni di euro dal fondo di finanziamento ordinario, già largamente insufficiente, renderà impossibile il normale funzionamento della ricerca e della didattica in una situazione di già grave degrado delle condizioni di produzione della ricerca e di espletamento della didattica. La Facoltà di Lettere dell'Università della Calabria si legge nel documento del Comitato di Lotta, è convocata in assemblea per domani, giovedì, 25 settembre, alle ore 9,30, nell' aula Filol.8, cubo 28 B, aperta a docenti e studenti delle altre Facoltà, per discutere il Decreto Gelmini e decidere le forme di lotta piu' opportune per contrastare le misure in esso contenute.

Scorcio panoramico del Campus universitario
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CALABRIA: LO SMANTELLAMENTO DELLA SCUOLA PUBBLICA

Comunicato della “Sinistra in Movimento”

CATANZARO, 22 settembre - ''L'inizio delle attività scolastiche 2008/09 alla luce della dissennata politica della Gelmini e del Governo Berlusconi, è il più grave, più caotico e incerto degli ultimi 40 anni. È iniziato lo smantellamento della scuola pubblica e la negazione dei diritti dei lavoratori, degli studenti, dei genitori''. È quanto si legge nel comunicato del coordinamento regionale di ''Sinistra in Movimento'', che respinge la riforma Gelmini, e sostiene che ''la nostra scuola ha bisogno di edifici scolastici accoglienti e sicuri; di docenti e ata motivati, ben pagati, costantemente aggiornati; percorsi scolastici differenziati per consentire a tutti il diritto all'apprendimento, il diritto ai saperi; ricerca didattica su metodi e contenuti degli insegnamenti; finanziamenti certi e gestione trasparente; partecipazione; valutazione. La politica di questo governo è solo un'operazione di sottrazione di risorse e di diritti, diritti di chi lavora e diritti dei cittadini, che ci farà diventare più poveri, più ignoranti, più diseguali. Infine, respingiamo totalmente l'attacco ai docenti e a tutto il personale della scuola in termini di fannulloni e assenteisti e chiediamo l’immediato ritiro del decreto 137 e 112. Chiediamo più investimenti sulla scuola pubblica, sull'Università pubblica, sulla ricerca, sugli insegnanti, sul riconoscimento del loro insostituibile ruolo culturale e sociale, sulla loro professionalità che va incoraggiata e premiata, sulla garanzia imprescindibile della libertà di insegnamento''.

UNIVERSITA’ MAGNA GRAECIA, CONVEGNO SU “INFEZIONE DA HBV”

Promosso dalla sezione calabrese della SIMIT, presieduta dal Prof. Vincenzo Guadagnino.
di Andrea Ursini

Per le infezioni da HBV comincia una nuova era? A questa domanda risponderanno illustri infettivologi e docenti universitari nel corso di un qualificato convegno scientifico a carattere nazionale, promosso dalla sezione calabrese della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), presieduta dal professor Vincenzo Guadagnino, Direttore della Cattedra di Malattie Infettive dell’Università Magna Graecia; convegno che si terrà il prossimo 27 settembre, a partire dalle ore 9,30, presso il Campus di Germaneto (Catanzaro).
Aperto ad infettivologi, gastroenterologi, biologi, medici di medicina interna e di medicina generale, il convegno si avvale del patrocinio dell’Università, Cattedra di Medicina Sperimentale e Clinica “Gaetano Salvatore”, dell’Azienda Ospedaliera Mater Domini, dell’Ordine dei Medici della Provincia di Catanzaro, del Gruppo Epatologico Calabro-Siciliano e del contributo educazionale di Novartis.
Per eventuali informazioni è possibile contattare la segreteria scientifica ed in particolare le dottoresse Orietta Staltari, Chiara Dell’Isola, Sonia Greco e Ileana Mazza, del Dipartimento di Malattie Infettive.
Dopo il saluto alle autorità del professor Vincenzo Guadagnino e del Magnifico Rettore, professor Francesco Saverio Costanzo, aprirà la discussione scientifica il dottor Tommaso Stroffolini, dirigente dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia dell’Ospedale San Giacomo di Roma, che relazionerà sul tema “L’epidemiologia dell’epatite B: modifiche temporali”.
Seguiranno nell’ordine: il professor Giovanni Raimondo, Ordinario di Medicina Interna all’Università di Messina (Il sommerso epidemiologico); il dottor Giuseppe Foti, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera “Bianchi-Melacrino-Morelli” di Reggio Calabria (La storia naturale); il professor Giovanni Battista Gaeta, Ordinario di Malattie Infettive presso la II Università di Napoli, (La terapia dell’epatite cronica B); la professoressa Teresa Santantonio, Associato di Malattie Infettive all’Università di Foggia (Resistenza alla terapia antivirale) e il professor Sandro Vento, direttore dell’U.O.C. di Malattie Infettive del Presidio Ospedaliero “Annunziata” di Cosenza (La gestione preventiva e terapeutica dell’infezione da HBV nel paziente oncologico ed immuno compromesso).
Presiederà i lavori di questa prima sessione il professor Giovambattista De Sarro, preside della Facoltà di Medicina e Direttore della Scuola di Specializzazione in Farmacologia Medica.
Modereranno il dibattito Nicola Bertuccio, direttore dell’U.O.C. di Malattie Infettive dell’Ospedale di Vibo Valentia e Antonio Petronio, direttore dell’U.O.C. di Malattie Infettive dell’Asp di Catanzaro.
La seconda sessione, presieduta dal prof. Vincenzo Guadagnino e moderata dal dottor Luigi Terra (direttore dell’U.O.C. di Malattie Infettive dell’Ospedale San Giovanni di Dio di Crotone) e dal prof. Bruno Cacopardo (direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive, Università di Catania), si aprirà alle ore 15,00 con una relazione del professor Carlo Filice (direttore della Scuola di Ecografia IRCCS dell’Università di Pavia) sul tema “L’ecografia e l’elastografia nel paziente con epatite cronica B”.
Con interventi su casi clinici, concluderanno: Arturo Montineri, (dirigente II livello U.O.C. Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera Ferrarotto di Catania), Antonina Franco (dirigente responsabile U.O.S. Aids, dell’Azienda Ospedaliera Umberto I di Siracusa), Vincenzo Pisani e Benedetto Caroleo (dirigenti presso l’Unità Operativa di Malattie Infettive, Azienda Ospedaliera Mater Domini), Giuseppe Martino (dirigente medico di Malattie infettive, S.S. di Patologia, dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza).
A fine convegno si terrà l’Assemblea annuale dei soci della sezione calabrese della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali con la contestuale nomina del nuovo Consiglio Direttivo.

Stime recenti indicano che le persone infette dal virus dell’epatite B nel mondo sono circa 400 milioni. Per dare le dimensioni del problema basta ricordare che gli infetti da virus dell'epatite C sono meno della metà, mentre i soggetti infetti con il virus HIV, sono intorno ai 40 milioni.
La maggioranza dei soggetti infetti nei paesi dell'Europa Occidentale hanno un'infezione di lunga durata, attualmente sostenuta dal ceppo "mutante sull' "e"" o "e-minus", questo poiché l'introduzione capillare della vaccinazione ha notevolmente ridotto i nuovi casi di infezione. Nei paesi dell'Europa dell'Est, in Asia ed Africa, dove invece la frequenza di nuove infezioni è ancora alta, la maggioranza dei soggetti è infetta dal ceppo selvaggio o wild-type.
La malattia si trasmette principalmente per "via parenterale", per scambio di siringhe infette, contatti con sangue e liquidi infetti, trasfusioni di sangue o emoderivati infetti; per "via parenterale inapparente", ossia tramite l'uso di rasoi e forbici da unghie infetti; per via "sessuale" e, infine, per “transplacentare" e "perinatale", (al neonato da parte di madre infetta).
Il Convegno promosso dalla SIMIT farà il punto sulle più recenti metodologie e sulle nuove indicazioni terapeutiche.

Il prof. Vincenzo Guadagnino

martedì 23 settembre 2008

Ritrovamenti di epoca altomedievale nel Castello di Squillace

Gli ultimi risultati delle ricerche archeologiche presentati in una conferenza stampa a Squillace.

di Salvatore Taverniti

SQUILLACE - “Gli scavi condotti all’interno del castello ci hanno restituito una testimonianza che porta dritti nelle braccia di Cassiodoro”. Così ha definito la Soprintendente ai Beni archeologici della Calabria, Caterina Greco, i risultati parziali della campagna di scavo in atto nel castello normanno-svevo di Squillace, nel corso di una conferenza stampa svoltasi lunedì scorso. Come ha reso noto la professoressa Chiara Raimondo, che guida le operazioni di scavo, è stata rinvenuta una tomba di adulto munita di corredo consistente in una brocca di ceramica a bande rosse risalente al VI-VII secolo. Ciò dimostra che Squillace, contrariamente a quanto finora si era creduto, era abitata anche nel periodo di Cassiodoro. “Una novità di grandissima importanza – l’ha definita il sindaco Guido Rhodio - che aspettavamo da tanto tempo e che riguarda un intero territorio. Un fatto eclatante che cambia la lettura della storia e rafforza alcune ipotesi emotive, che ora diventano certezze”.
Mostrando alcune diapositive, la professoressa Raimondo, coadiuvata nella sua ricerca da una giovane équipe di archeologi (Raffaella Cicero, Angela Bosco, Paola Dedonè, Achiropita Scorpiniti, Francesca Conidi) e da Tobia Virgilio e Anna Pisano, ha illustrato gli scavi fin qui compiuti dal mese di giugno scorso. Come le indagini sulle torri: in quella angioina, a forma circolare, è venuta alla luce una botola da cui si accede al piano sotterraneo; in quella federiciana, a forma poligonale, è stato trovato un primo pavimento di pietra e una seconda pavimentazione con un taglio per accedere nei sotterranei ed è venuta fuori una scala in pietra con feritoia che guarda verso la torre angioina. Importante anche la struttura muraria venuta alla luce che potrebbe essere il muro di cinta della prima epoca normanna. Nell’ambiente esterno, nella parte più antica del castello, è venuta fuori una cisterna con materiali ceramici di una certa rilevanza e la necropoli. Finora sono state portate alla luce nove tombe, di infanti e di adulti. In una di queste ultime, vi era la brocca del VI-VII secolo che cambia la storia di Squillace e che dà nuovo impulso alla ricerca dei luoghi cassiodorei. Il professor Mauro Francini, progettista e direttore dei lavori di restauro del castello e del centro storico squillacese, ha rilevato che “ora occorre portare a compimento la parte complementare del progetto, quella relativa alle opere immateriali: l’ospitalità diffusa, la gestione dei monumenti, come attività di supporto al turismo culturale”.
“Il castello di Squillace – ha concluso la soprintendente Greco – è un monumento di altissima valenza storica e questa nuova presenza altomedievale lo conferma: una novità che riapre la dialettica in un territorio cruciale della Calabria”.

La conferenza stampa di Squillace

lunedì 22 settembre 2008

PROGETTO “CALABRIA LAZIO E CULTURA” 2008 - 2009

A cura dell' ASSOCIAZIONE "TERRE SOMMERSE". Con il Patrocinio di Regione Calabria, Provincia di Catanzaro, Comune di Stalettì, Comune di Roma, Regione Lazio.


L’associazione “Terre Sommerse” si è costituita nell’ottobre 1998.
È un’associazione “no profit” che svolge la propria attività nel campo della musica, dell’editoria e dell’arte in genere, con lo scopo di ricercare e promuovere nuovi talenti. Ha, inoltre, lo scopo di indirizzare le esperienze umane e di dare spazio ad una maggiore consapevolezza interiore, approfondendo varie tematiche nell’ambito delle arti.
L’associazione agisce, inoltre, a scopo di beneficenza, in particolare in aiuto all’infanzia, nelle zone del terzo mondo e nelle zone di guerra (adozioni a distanza e opere di sussistenza).

Dopo la bella iniziativa svoltasi in Calabria nel mese di giugno 2007, l'Associazione propone:

PROGETTO “CALABRIA LAZIO CULTURA”
2008-2009

Una rassegna annuale di eventi artistici e culturali
Il programma sarà presentato nel corso di una 

CONFERENZA STAMPAPalazzo Aracri, Stalettì
Sabato 27 settembre – ore10.00

Nella stessa giornata IL RECITAL: POESIA - MUSICA - IMMAGINI dedicato a ITALO EVANGELISTI. Mostra di pittura di DOMENICO BARBALACE dal 22 al 30 setembre.

domenica 21 settembre 2008

"UTOPIE CALABRESI" sostiene "AMMAZZATECITUTTI"

“Ammazzateci tutti”, il movimento anti-'ndrangheta sorto su iniziativa spontanea dei giovani a Locri (RC) negli ultimi mesi del 2005, ossia all'indomani dell'omicidio del vicepresidente del Consiglio Regionale della Calabria, Francesco Fortugno, rischia di chiudere entro un mese. NON PERMETTIAMOLO: SAREBBE UNA GRAVE SCONFITTA PER TUTTA LA CALABRIA!

di Domenico Condito

Giusto ieri “Utopie Calabresi” ha lanciato un grido di allarme: “Ammazzatecitutti” rischia di chiudere entro un mese”. Su queste pagine è stata pubblicata, ripresa da www.ammazzatecitutti.org, la LETTERA APERTA A CHI CI VUOLE BENE, a firma di Aldo Pecora e Rosanna Scopelliti, figlia del giudice Antonio Scopelliti assassinato nel ‘91. Nella lettera vengono denunciati i gravi attacchi e gli atti intimidatori contro il Movimento dei Ragazzi di Locri, con la richiesta di aiuto per far fronte alle difficoltà economiche che affliggono il Movimento. Oggi “Ammazzatecitutti” rischia di morire per mancanza di fondi e i debiti contratti per sostenere una battaglia di civiltà e di libertà che riguarda non solo Locri, ma tutta la Calabria: il riscatto della nostra regione dalle mafie, dalla politica corrotta e collusa, dalla barbarie, dall’omertà, dalla sfiducia e dalla rassegnazione. L’iniziativa di “Utopie Calabresi”, che ha deciso di sostenere “Ammazzatecitutti”, ha suscitato un vivace tam-tam telematico che sta producendo i primi risultati positivi. Da questo blog la LETTERA APERTA del Movimento di Locri è rimbalzata su Salviamo Italia, la Redazione Calabria di Salviamo Italia, Salviamo Carrara, Osservatori Romani , picnicconlefragole, la piazza di delphine, due parole due pensieri quattro passi, la nostra Africa, breakthemafia.it e tanti altri siti e blog con i quali abbiamo cominciato ad interagire, e che hanno già avviato campagne di sottoscrizione a favore di “Ammazzatecitutti”. Quasi tutti i siti web citati sono del centro-nord. Registriamo, invece, una “risposta più lenta” nella nostra regione, e vogliamo sperare che ciò non sia dovuto a una minore sensibilità civile dei calabresi. La fine di “Ammazzatecitutti” sarebbe una grave sconfitta per tutta la regione, il segnale più inquietante di un declino che non vogliamo ancora definire irreversibile. A proposito dei Ragazzi di Locri, il prof. Umberto Galimberti afferma che “c’è una profonda, inevitabile dignità a dichiarare ad alta voce la complicità tra la dimensione mafiosa e la dimensione politica, perché è assolutamente impossibile che la mafia possa muoversi con quella capacità in cui si muove, senza l’appoggio politico e, finché la politica non interromperà questa relazione perversa con il mondo mafioso, allora la mafia non potrà che continuare ad esserci, per cui lo striscione di quei ragazzi non è “estetica della disperazione” ma un atto d’accusa non solo nei confronti della mafia ma anche nei confronti della politica che non disdegna di approfittare anche di questo fenomeno. E’ una provocazione, se non volete che ci ammazziamo tutti, intervenite e fate qualcosa”. 

INTERVENIAMO!

Informazioni per sostenere "Ammazzateci Tutti" su:www.ammazzatecitutti.org

sabato 20 settembre 2008

"M’ 'a sùanu e mm’ 'a cantu": opera prima del sambiasino Giovannino Borelli edita da Ursini

Il poeta dialettale di Sambiase (Catanzaro) "letto" da Pasquino Crupi e dal prof. Carmelo Carabetta, dell'Università di Messina.

Lamezia Terme - “Tale il padre, tale il figlio. Poeta - scrive Pasquino Crupi - di alto e individuo profilo il padre Salvatore Borelli, che ha arricchito la poesia dialettale con le raccolte Duci e amàru (1986), Comu nu suanu (1995) e Quandu canta la cicale (2005); poeta di robusta fibra il figlio Giovannino, che questa nostra poesia dialettale contribuisce ad aumentare, a qualificare, a farla sentinella e custode del dialetto remoto.
Nato a Sambiase nel 1962, Giovannino ha ereditato dal nonno e dal padre la passione per la musica e la poesia. Giovanissimo, ha iniziato lo studio della chitarra classica, conseguendo il diploma presso il Conservatorio “Niccolò Paganini” di Bari. All’attività concertistica abbina quella didattica presso le scuole medie ad indirizzo strumentale.
M’ ‘a sùanu e mm’ a cantu, pubblicata in questi giorni dalle
Edizioni Ursini di Catanzaro, è la sua opera prima, e l’opera prima, secondo codice canonico, è per sua natura sempre incompiuta. Non in questo caso.
“Giovannino Borelli - continua Crupi - si rivela poeta adulto, solo di tanto in tanto seduto sulle spalle del Padre, che è stato un poeta gigante. Lui, Giovannino, è poeta contemporaneo all’epoca sua, cioè poeta del tempo relativo, come hanno saputo esserlo i grandi poeti in lingua e in lingua dialettale”.
Presente e passato, passato e presente rotolano di continuo in M’ ‘a sùanu e mm’ a cantu: mai o quasi mai fraterni, sempre in antitesi lontana, senza reciprocante dialettica. Passato e presente, insomma, sono l’uno all’altro termine di paragone, non già due poli della Storia, che preparano un migliore futuro. Sta in questo la novità smagliante della raccolta poetica di Giovannino Borelli. Non conosco nella lunga vicenda della poesia dialettale nessun altro poeta, che, come Giovannino Borelli, sia stato capace di stringere in una sintesi poderosa e prodigiosa le ragioni, liricamente dette, della stagnazione della Calabria, del suo sole nero cui tolgono ombra solo e soltanto i valori spirituali della civiltà contadina, le sue gagliarde feste, la facondia e la fecondità della natura. Il tutto riconvocato dall’orfismo dei versi di Giovannino Borelli, tecnicamente ben costruiti, ritmicamente perfetti, musicalmente compiuti”.
“L’amicizia, il vino, le castagne e la vita campestre - scrive, invece, il prof. Carmelo Carabetta dell’Università di Messina - vengono esaltate nella loro piena validità anche in funzione di un pieno riconoscimento del sacrificio che i lavori della terra richiedevano. In questa direzione Borelli pone come sfondo centrale la religiosità degli individui, sempre presenti ai rituali della comunità. La descrizione di tali riti propizia un sapore nostalgico diffuso, anche se maggiormente inquietante per quelli che in qualche modo vissero quelle esperienze al loro tramonto.
La lettura delle liriche di questo volume riporta alla memoria i sapori scomparsi, gli usi e le tradizioni non più presenti in una società interessata da nuovi valori e da nuovi modelli di vita.
Il senso romantico della percezione della vita di quei tempi sarebbe errato interpretarlo come un mondo esclusivamente idilliaco, anche perché Borelli, con la necessaria obiettività, di quei tempi recupera tutti gli aspetti: quelli piacevoli e quelli meno piacevoli. A questo ultimo ambito appartiene il tema dell’emigrazione…
Nell’ultima parte del volume, Borelli recupera l’attenzione verso il presente, che offre spunti di riflessione preoccupanti e preoccupati. Su questa linea vengono esaltati i temi dominanti della nuova epoca ovvero della post-modernità. Di questa epoca Borelli ne descrive i nuovi comportamenti, i nuovi valori, le nuove convinzioni, che non sempre vengono condivisi dallo stesso.
Le liriche di Borelli con il loro linguaggio e la loro purezza sentimentale offrono al lettore uno scenario affascinante che richiama luoghi e modi di vivere di altri tempi, che se anche relativamente recenti risultano ampiamente posti in oblio da un sistema culturale innovativo propiziato dalla nuova epoca, ovvero dalla post-modernità, che esalta una società dove si celebra la crisi del sentimento del pudore, la crisi dell’autorità parentale, la fine delle passioni e la crisi delle istituzioni.
“A conclusione - dice Carmelo Carabetta - ritengo che le poesie di Borelli rappresentano un valido punto di riferimento per l’interpretazione di un passato fondato sulla cultura di valori che esaltavano la famiglia e tutti quei comportamenti davanti ai quali gli individui della società del tempo presente si dimostrano insofferenti. Borelli con questa sua opera convalida il valore dell’eredità genetica, essendo egli figlio di un genitore che nella sua vita si è sempre lasciato guidare da un rilevante senso artistico come evidenziano i tre volumi di poesie da lui stesso scritti”.

Il poeta-musicista Giovannino Borelli

"Ammazzatecitutti" rischia di chiudere entro un mese

di Aldo Pecora e Rosanna Scopelliti

LETTERA APERTA A CHI CI VUOLE BENE

Cari italiani, care italiane,
quando abbiamo deciso di fondare Ammazzateci Tutti, in quel lembo di terra meravigliosa e disgraziata che si chiama Calabria, abbiamo cercato di concentrare le poche, pochissime risorse disponibili e le tante, tantissime speranze, di tutta quella gente che non ce la faceva più a vivere “incellophanata” dall'omertà e, soprattutto, dalla paura.

Per essere davvero liberi non ci siamo mai voluti legare a nessun carrrozzone, né politico né imprenditoriale. Solo con il tempo abbiamo capito che è stata una scelta coraggiosa, una sfida più grande di noi, che ha certamente appesantito - non di poco - le già tante preoccupazioni che avevamo comunque messo in conto.

Pensate, invece, come sarebbe stato fin troppo conveniente e facile per noi sceglierci uno o più “Mecenate”, anche i meno peggiori e, nel portare silenziosamente acqua al loro mulino, ottenerne laute ricompense in termini economico-logistici (apertura sedi, pubbliche relazioni con gente che conta, produzione di gadget, pianificazione di campagne pubblicitarie, ecc..).

Ma abbiamo fatto la scelta di essere come gli straccioni di Valmy, abbiamo scelto di combattere contro mostri pieni di soldi e di potere, anche indicandoli con nome e cognome, a nostro rischio e pericolo, facendo ogni giorno la nostra parte anche se rimanevamo e rimaniamo sempre più ai margini dello studio, delle professioni, delle assunzioni, dei diritti di cittadini, mentre chi ha certamente meno titoli ma più amici nelle stanze del potere riesce a laurearsi, ottiene consulenze, incarichi, sponsorizzazioni. E il loro “esercito” diventa ogni giorno più potente ed incontrastabile, mentre il nostro fa i salti mortali per riuscire a sopravvivere e sostenere anche l'azione di magistrati ed uomini delle forze dell'ordine coraggiosi che si trovano finanche nella situazione di dover pagare loro la benzina delle auto di servizio o i toner nelle fotocopiatrici di caserme, commissariati e Procure.

Adesso bisogna ragionare seriamente sul ruolo e l'incisività che Ammazzateci Tutti può rappresentare in Italia oggi e domani, se e quanto valga la pena continuare.E lo facciamo iniziando a fare i cosiddetti “conti”: se in termini di consenso e sensibilizzazione il bilancio è in segno positivo ed in netta ascesa costante (partendo dalla Calabria oggi siamo in più di 8.000 ragazzi e ragazze in tutta Italia, dalla Lombardia, alla Sicilia, al Lazio, al Veneto, alla Puglia, al Piemonte, alla Campania), non possiamo dire altrettanto in termini di spese vive sostenute per mantenere aperta la baracca.

L'idea di portare sul web e nei territori le nostre rivendicazioni, la nostra voglia di gridare al mondo intero che l'Italia non è solo mafia, che non è colpa nostra se emergono sempre e solo i nostri peggiori concittadini, ci hanno portato a scommettere (e rischiare) sulla nostra stessa pelle il prezzo dell'impegno che ci siamo assunti tre anni fa di fronte a tutti gli italiani onesti.

E come se non bastassero le querele, le preoccupazioni, le intimidazioni implicite ed esplicite alle quali siamo ormai abituati, adesso ci troviamo nella situazione in cui - lo diciamo chiaramente - non possiamo più permetterci il “lusso” di continuare con le nostre attività sui territori e quelle telematiche.

Partiamo dal nostro sito internet, generosamente ospitato gratuitamente sin dalla nascita su un piccolo server di una azienda calabrese alla quale abbiamo procurato, con la nostra presenza, solo e soltanto danni e preoccupazioni.

Ci hanno defacciato il sito per decine di volte, siamo stati vittime di ben 5 attacchi informatici, dei quali due violentissimi (che hanno costretto l'azienda a buttare il server ed acquistarne uno nuovo) ed ora, proprio ieri, veniamo a sapere che, sempre a causa nostra, alcuni pirati informatici sono riusciti a violare nuovamente il server trasformandolo questa volta in uno “zombie” (così si definisce in gergo tecnico) atto a frodare migliaia di persone in tutto il mondo mediante phishing su conti bancari esteri. Per capire meglio la gravità della situazione basti pensare che siamo stati contattati direttamente dai responsabili della sicurezza informatica di due importanti istituti bancari in Australia ed in Belgio, i quali hanno anche tenuto ad informarci delle responsabilità penali di fronte alla legge nostre e dell'azienda che ci ospita.

Quantificare ora il danno economico e quello eventualmente penale, ci porta inevitabilmente a stabilire che la nostra esistenza dovrà essere indipendente da ogni preoccupazione futura e, quindi, essere disposti anche a trarne le estreme conseguenze: partendo dalla chiusura di Ammazzatecitutti.org e degli spazi di comunicazione ad esso collegati (forum, ecc..).

A questi conti che non tornano dobbiamo aggiungere diverse migliaia di euro di debiti contratti (anche personalmente) nell'organizzazione delle nostre iniziative (sostenute solo parzialmente dalle poche Istituzioni alle quali ci siamo rivolti).Senza contare il fatto che ormai i nostri ragazzi stanno devolvendo interamente alla causa le loro paghette settimanali in ricariche telefoniche e fotocopie.

Per questo ci appelliamo a tutti voi, chiedendovi un piccolo grande gesto di solidarietà; diventate nostri "azionisti", almeno noi cercheremo di non fare la fine di Parmalat e Alitalia.
Non parliamo di milioni, a conti fatti basterebbero 30 mila euro per farci riprendere fiato e metterci in condizione di fissare obiettivi di medio-lungo termine.

Lo facciamo stabilendo una data simbolica: il 16 ottobre prossimo, terzo anniversario dell'omicidio Fortugno e quindi della nostra “nascita”. Se entro questa data non dovessimo riuscire a sanare ogni passivo saremo costretti a staccarci la spina da soli, archiviando prematuramente questa bellissima esperienza. Con la morte nel cuore.

Dobbiamo dimostrarci persone serie, soprattutto con chi ci guarda da sempre con ammirazione, stima ed aspettative che non meritiamo, perché, come dice spesso Monsignor Giancarlo Bregantini, "non basta sperare, bisogna saper organizzare la speranza" ed evidentemente noi abbiamo fallito, non riuscendo ad organizzare degnamente le speranze di tutti noi, di tutti voi.

Aldo Pecora
Rosanna Scopelliti
Coordinamento nazionale "Ammazzateci Tutti"

Informazioni per sostenere "Ammazzateci Tutti" su:

giovedì 18 settembre 2008

IL RE DEGLI ALCHIMISTI: un libro sulla vita di Raimondo Lullo edito da Ursini

L'Autore è Jakob Phanus, pseudonimo di un noto studioso catanzarese.

CATANZARO - “Un’opera avvincente di narrativa impegnata che ad una generazione stordita dalle mode parla di una dimensione altra e totalizzante”. E’ il commento di Fabrizio Tonna al volume “Il Re degli alchimisti” di Jakob Phanus, pseudonimo di un noto studioso catanzarese, pubblicato di recente dalle Edizioni Ursini.
Si tratta di uno stralcio della vita, romanzata, ma con reali riferimenti storici, dell'alchimista Raimondo Lullo.
Phanus va al di là della diatriba se sia veramente Lullo, o lo pseudo-Lullo, l'autore di numerosi testi alchemici a suo nome, molti dei quali sono raccolti nella Biblioteca Chemica Curiosa e nel Theatrum Chemicum.
Al protagonista "storico", Lullo, l'Autore ne affianca uno inventato, Mundanus. Dai dialoghi e dalle interazioni fra i due, Phanus mette anche, fra le righe, il frutto del suo studio e delle sue tante traduzioni.
Ricercatore molto conosciuto soprattutto nel Nord-Italia, Phanus si è specializzato nella traduzione dal latino di testi medievali. Apprezzatissima la sua presentazione delle epistole di Sendivogio. Dalle lunghe conversazioni davanti i forni, ha ricavato idee chiare su una dottrina sconosciuta; idee che hanno ispirato questo suo romanzo che Ursini ha inserito nella collana “Incontri”.
“L’autore - aggiunge Fabrizio Tonna - ci presenta un Lullo teologo, che non disdegnò di avvicinarsi alla Scienza, a torto vista come in contraddizione con il pensiero della Cristianità Medievale. Egli è capace di trasmettere nel linguaggio sobrio di chi conosce l’Opera, alcune tappe fondamentali del cammino. Del resto, già altri eminenti teologi si erano azzardati in quella direzione, utilizzando un linguaggio in parte velato, tale da far trasparire un concreto interesse.
Spesso Lullo viene egli stesso dicotomizzato dagli storici che ne vogliono vedere ora il Teologo (e non Alchimista), ora l’Alchimista (e mai il Teologo). Poco importano la paternità dei testi o le reali esigenze dei personaggi; la disputa sul “vero autore” è destinata ad essere infinita e, forse, senza risposta.
Jacob Phanus lascia aperto il problema sull’autenticità di Lullo alchimista, collocando, sullo scenario storico del Duecento tormentato, due protagonisti, Lullo e Mundanus.
L’interesse su Lullo, venerato in Spagna come Beato, non è mai cessato e molti scrittori hanno approfondito l’argomento nel corso dei secoli ed in particolare negli ultimi decenni.
“Il romanzo di Phanus - sottolinea Tonna - svela e rivela i segni della grande opera, filtrati nelle espressioni sublimi dei canti poetici che si ispirano al bellissimo libro lulliano dell’amico e dell’amato, anche nella trama avvincente della narrazione che necessariamente cede talvolta il passo a brani di saggistica. Spesso l’autore sacrifica il dato biografico per celebrare significati e messaggi trascendenti l’evento umano, col risultato meritevole di rendere interessante ed attraente una dottrina che può dire qualcosa di suo anche alla scienza moderna continuamente sottoposta alla falsificabilità”.

mercoledì 17 settembre 2008

La 'ndrangheta all'assalto degli appalti per l'Expo 2015 a Milano

Le indagini della Procura di Busto Arsizio chiamerebbero in causa politici di Forza Italia. Dopo il grido "Roma ladrona", il Senatur avrà il coraggio di scagliarsi contro "Milano abbuffona"?

di Domenico Condito

La generale condizione di degrado della Calabria costituisce una drammatica emergenza nazionale, e la 'ndrangheta è ormai riconosciuta come la più efferata e potente organizzazione criminale del mondo. Se da un lato urge una generale assunzione di responsabilità della società calabrese per un radicale rinnovamento della vita civile e culturale della regione, dall’altro c’è anche la chiara consapevolezza che senza l’intervento determinato dello Stato la battaglia per il riscatto della nostra Terra andrà perduta. Ma le notizie che arrivano da Milano, relative ad esponenti del principale partito di governo del nostro paese, non sono affatto rassicuranti al riguardo. È risaputo che la 'ndrangheta ha da tempo messo radici al Nord, facendo di Milano il suo principale centro di malaffari nel nostro paese. Proprio in questi giorni la stampa nazionale ci ha informato dei tentativi della 'ndrangheta di mettere le mani sugli appalti per l’Expo 2015, entrando in collusione con imprenditori e esponenti politici del Nord. La Procura di Busto Arsizio (Varese), che sta indagando da tempo sulla vicenda, ha aperto un fascicolo, destinato a essere trasferito alla Procura distrettuale Antimafia di Milano. In mano ai magistrati ci sarebbero intercettazioni e resoconti d’incontri “informali”, che porterebbero ai nomi di due esponenti di Forza Italia: Vincenzo Giudice, Consigliere comunale a Milano e presidente della società Zincar, e di Massimilano Carioni, Consigliere provinciale a Varese e Assessore all’Urbanistica a Somma Lombardo (Varese). Sia Giudice che Carioni negano di essere entrati in collusione con la 'ndrangheta, ma Forza Italia trema. Chissà se questa volta il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, sarà così solerte e attivo, così come lo è stato nei confronti degli extracomunitari, e se il Senatur, dopo il grido “Roma ladrona”, avrà il coraggio morale e civile d’indignarsi contro “Milano abbuffona”.

Francesca Rizzari Gregorace, PAGINE DELL’OTTOCENTO CATANZARESE, Edizioni Ursini

Un'opera interessante e suggestiva sulla storia della città di Catanzaro durante il Risorgimento, con episodi inediti e quasi del tutto dimenticati.

CATNAZARO - Un’altra qualificata pubblicazione si è aggiunta in questi giorni ai tanti volumi sulla storia di Catanzaro pubblicati dalle Edizioni Ursini. Trattasi di “Pagine dell’Ottocento catanzarese” di Francesca Rizzari Gregorace che la casa editrice catanzarese ha inserito in “Galassie”: collana che accoglie libri di storia e letteratura locale e del Mezzogiorno.
“E’ il periodo della Storia d’Italia tumultuosa e rivoluzionaria e, di questi momenti travagliati e febbrili, - spiega Francesca Rizzari Gregorace - la città di Catanzaro vive con l’intensità dello spirito di cambiamento. Il Risorgimento rende protagonisti molti nostri concittadini e sono vivi gli esempi di resistenza e di coraggio dettati dalla veemenza di autentici sentimenti”.
“In queste pagine - aggiunge l’autrice - ho voluto fissare le storie che mi raccontava mia nonna Giuditta e che poi ho riscontrato vere nei miei studi di approfondimento”.
Nel volume emerge la storia della famiglia Manfredi, di patrioti e di intellettuali, dal capostipite avvocato Giuseppe, soldato napoleonico e difensore dei martiri del ’23 catanzarese, ai figli: Cesare, che ebbe l’onore d’issare la bandiera tricolore all’arrivo dei garibaldini; Ottavia maritata col marchese generale Pallavicini venuto a debellare il brigantaggio; Michele, ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Comunale al quale dobbiamo il Piano regolatore unico e completo.
L’opera offre una suggestiva presentazione della società del tempo evocando spunti reali di vita quotidiana basata su convivenze tra le varie classi sociali. Lineare nella trattazione, è condotta con efficacia di stile.
“Gli avvenimenti storici proposti da Francesca Rizzari - aggiunge l’editore Vincenzo Ursini - sono molto interessanti perché inediti e quasi del tutto dimenticati”.
Non mancano modi di dire, canzoni popolari, filastrocche e fiabe ambientate in determinati spazi urbani e ispirate a fenomeni sociali.
Nata a Catanzaro il 17 agosto 1945, allieva di Carlo Salinari, Edoardo Sanguineti e Gabriele De Rosa, Francesca Rizzari si è laureata in Lettere con la discussione della Tesi: «Mattia Preti, il Cavaliere Calabrese interprete del Seicento», relatore chiarissimo professore Filiberto Menna.
Appassionata di Storia e di Storia dell’Arte, ha insegnato per un quarantennio nei vari tipi di scuola media e si è dedicata alla stesura e alla realizzazione di progetti di approfondimento relativi al territorio.
Fa parte dell’associazione culturale: «Calabria: storia, leggende, favole» in qualità di autrice di testi teatrali portati con successo sul palcoscenico.

martedì 16 settembre 2008

Ministro Mariastella Gelmini, sia coerente, si dimetta: è una questione di MERITOCRAZIA!

di Domenico Condito

È ormai noto a tutto il paese il modo in cui il Ministro della Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini, sostenitrice d’una riforma della scuola basata sulla MERITOCRAZIA, superò l’esame di stato per ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato: scendendo dal profondo nord a Reggio Calabria, dove l’assoluta inconsistenza delle prove d’esame le avrebbe garantito una promozione certa, senza eccessivo sforzo, né meriti speciali. Bastava veramente molto poco: 93% per cento di ammessi agli orali in Calabria, a fronte del 94% di respinti nel resto d’Italia! Che furbetta, la Mariastella, al tempo astro nascente di Forza Italia nel bresciano. Non è un caso, allora, che sia stata proprio lei ad affermare che la qualità della scuola italiana è abbassata dalle scuole del Sud, visto che ne aveva ricavato un così comodo beneficio. Eppure il Ministro, che non è certo un buon esempio meritocratico per gli studenti italiani, intende realizzare una profonda riforma della scuola basata sul principio della MERITOCRAZIA! Il suo progetto di rifondazione del sistema scolastico italiano prevede, fra l’altro, la riduzione del numero degli insegnanti di 87 mila unità in tre anni. Senza voler entrare nel merito di quest'ultimo colpo di genio della Mariastella, mi domando se il ministro Gelmini possegga i titoli morali e culturali, e quindi la necessaria credibilità agli occhi del paese, per interpretare questa nuova fase storica della scuola italiana. La mia, beninteso, è solo una domanda, peraltro doverosa, visto che è stato affidato a questo rampante personaggio della provincia bresciana il “futuro” del nostro paese. Ma sembra inverosimile parlare di futuro, nel momento in cui si profila un preoccupante, quanto incomprensibile, ritorno all’antico modello deamicisiano di fine Ottocento: la scuola elementare del maestro unico, mirabilmente descritta nel libro “Cuore”, che tutti abbiamo amato, appartiene ad un'epoca lontana, e non ci aiuterà ad affrontare le complesse sfide della modernità e la drammatica “emergenza educativa” dei nostri giorni. Si cancellano così, con un solo volgare colpo di spugna, un secolo di studi e ricerche condotti da insegnanti, pedagogisti, psicologi, studiosi e scienziati di ben altro spessore culturale di quello fin qui espresso dalla graziosa Mariastella. E allora il problema della competenza del Ministro Gelmini per l’assunzione di una così grande e storica responsabilità è ineludibile: l’avvocato bresciano possiede le necessarie competenze scientifiche e culturali per poter imporre una tale riforma al paese? La mia, ribadisco, è solo una domanda, legittima quanto doverosa, fonte di profonda inquietudine e preoccupazione nel mondo della scuola e nel paese. Ma ciò che finora non è stata adeguatamente messa in luce è la “filosofia” della riforma, la concezione della scuola e della società ad essa sottesa. A far luce su questo è stato “il Giornale”, quotidiano di proprietà del cavaliere-presidente, con un articolo di Geminello Alvi, pubblicato sul giornale lo scorso 6 settembre, dal titolo: “La Gelmini ci salverà dalla scuola matriarcale”. Ne riportiamo uno stralcio significativo, che, con un linguaggio per certi versi “antico”, richiama un’epoca dalle tinte scure, mai del tutto superata, gettando, a mio avviso, una luce fosca sul futuro della scuola italiana e del nostro paese: “Si vive di apparenze, giacché a ben vedere abbiamo in questa vita solo quelle. E a studiarsela nelle foto la ministra Gelmini Mariastella parrebbe perfetto archetipo di professoressa, con nome acconcio. Adatto allo scassato gineceo di laureate in crisi di nervi, che educano alla noia gli studenti con la stessa stanca fretta con cui fanno la spesa. Perché questo è ora in Italia la scuola: luogo dove non solo la cultura massificandosi s’è immiserita; come previsto da Nietzsche. Ma inoltre pure sede di procedura devirilizzante, per esclusiva somministrazione di insegnanti donna. Dalle tre maestre per classe alle schiere di casalinghe traviate nelle medie superiori, dove il livello finale di ignoranza risulta peggiore addirittura di quello europeo. E la Gelmini di questo insistito spreco di anime giovani, per via di massificazione e matriarcato, parrebbe coi suoi occhialini la perfetta incarnazione. Invece ci sorprende: da ministra, sia benedetta, difende i due atti più sani ed eversivi che potevano pensarsi. Dimagrisce in un triennio di 87 mila unità gli, e soprattutto le, insegnanti; proclama la riforma delle scuole in fondazioni. E la direi solo perciò genio virile e pratico”. Estirpare la “procedura devirilizzante” delle insegnanti nella scuola, questo sembra uno dei compiti affidati al “genio virile e pratico” della Gelmini dalla triplice Berlusconi-Tremonti-Brunetta, con buona pace delle lotte politiche e culturali per l’affermazione della dignità delle donne nella nostra società! Può un paese moderno e civile tollerare tutto questo? Sembrerebbe proprio di sì, visto che nel deficit spaventoso di opposizione che c’è oggi nel nostro paese, l’unica voce fortemente dissonante è quella del leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. Con tutto il rispetto per l’ex ministro, al quale sono grato, credo sia necessaria un’opposizione di popolo più generale e incisiva, che però le forze di sinistra e di centro-sinistra non sembrano oggi in grado di movimentare. D’altronde è proprio di oggi la dichiarazione di Luigi Berlinguer, Ministro della Pubblica Istruzione dal ’96 al 2000 nel governo di centro-sinistra, che difende la riforma-Gelmini: “io non credo che il ministro voglia sciupare la scuola elementare”, ha sentenziato l'esponente dell'opposizione (!?). A questo punto, mi chiedo se dopo l’imposizione del grembiule arriveranno le esercitazioni scolastiche con i salti nel cerchio di fuoco e moschetti a carico. Se ciò dovesse avvenire, non sarà solo per i meriti del “genio italico” di Mariastella, ma anche per l’inefficacia di un’opposizione, questa sì, senza attributi, sempre più autoreferenziale e scollata dalla realtà drammatica del nostro paese. Ciò nondimeno “Utopie Calabresi” si rivolge al Ministro Gelmini chiedendo le sue dimissioni. Per una questione di MERITOCRAZIA, ma non solo: non si può riformare così profondamente la scuola contro il mondo della scuola, che non riconosce al Ministro la giusta autorevolezza morale e culturale per un tale progetto. Senza la necessaria condivisione degli insegnanti ogni progetto di riforma è destinato a fallire, con grave danno per il paese. Perciò Ministro Gelmini, sia coerente e si dimetta, e non è solo una questione di MERITOCRAZIA …

Grembiule e moschetto, studente perfetto!



Il Ministro della Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini

lunedì 15 settembre 2008

De Magistris, "Troppi magistrati collusi con la casta"

Lo afferma il magistrato in un'intervista rilasciata all'AGI.

Chiuderà la porta del suo ufficio della Procura di Catanzaro martedì sera. L'ultimo giorno di lavoro, mai interrotto nonostante il vorticoso giro di polemiche, prima di trasferirsi mercoledì mattina a Napoli, sua nuova sede. Il sostituto procuratore al centro di polemiche infinite, Luigi De Magistris, lascia, dunque, il suo incarico calabrese, così come hanno deciso il Csm, la Cassazione e poi il ministero della Giustizia con il via libera al trasferimento. Si chiude un capitolo che ha segnato, in ogni modo, la giustizia catanzarese e nazionale, finita alla ribalta della cronaca giudiziaria con inchieste scottanti, ancora tutte da definire, che hanno coinvolto personaggi di spicco della politica, dell'imprenditoria, della magistratura. Dall'allora presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi, all'ex ministro della Giustizia, Clemente Mastella, passando per molti magistrati delle procure lucane. Da "Poseidone" a "Why not", finendo proprio con l'inchiesta "Toghe lucane" che ha sconvolto la Basilicata, il sostituto procuratore De Magistris ha segnato le inchieste più discusse, prima di finire nei provvedimenti disciplinari che ne hanno decretato il trasferimento. In un'intervista all'AGI, De Magistris racconta quello che ha vissuto, proiettandosi nel suo nuovo incarico campano, nella città in cui è nato e in cui la sua famiglia vanta antiche tradizioni in magistratura.
D) Dottore De Magistris, il ministro della Giustizia ha firmato il provvedimento e lei mercoledì lascerà la Procura di Catanzaro. Si aspettava tutto quello che è successo intorno al suo lavoro?
R) "Credo di aver previsto quasi tutto e messo anche tutto, come si dice, penna su carta".
Che fine faranno, secondo lei, le inchieste che ha avviato?"E' una domanda che non dovrebbe porre a me. Io sono molto soddisfatto del lavoro espletato in questi anni e per i risultati straordinari raggiunti".
Lei ha più volte avanzato sospetti e dubbi su boicottaggi nella sua attività."Più che sospetti e dubbi ho certezze ed ho portato prove nelle sedi istituzionali preposte all'accertamento dei fatti. I boicottaggi, come lei li chiama, provengono tutti da ambienti istituzionali".
Esistono veramente, in Calabria e in Italia, per quella che è la sua esperienza, i personaggi "intoccabili"?"E' quella parte della magistratura collusa, purtroppo non residuale in Calabria, che rende intoccabili taluni personaggi".
Crede ancora nella giustizia e nella magistratura?"Credo fermamente nella Giustizia, con la G maiuscola, per l'affermazione della quale ognuno deve lottare ogni giorno. Credo che all'interno della Magistratura vi siano tanti Magistrati che ogni giorno onorano la toga in modo esemplare, così come penso che vi sia una fetta rilevante dell'ordine giudiziario che ha cestinato i valori costituzionali per i quali ha prestato giuramento".
Quando è esploso il caso De Magistris, con le sue inchieste più dirompenti, in molti sono scesi in piazza per difenderla e sostenerla; oggi, a poche ore dal suo trasferimento, non sono state registrate manifestazioni simili o attestati di sostegno nei suoi confronti. Perchè?"Quello che si doveva dire è stato detto, quello che si doveva fare penso sia stato fatto. E' un anno e mezzo che si parla del mio caso. Ad un certo punto il popolo calabrese - al quale il Consiglio Superiore della Magistratura doveva, a mio avviso, inviare ben altri segnali - che già di per sè è storicamente rassegnato, ha preso atto che il mio allontanamento coatto era divenuto il prezzo, in qualche modo ineludibile, per il modo, costituzionalmente orientato, con cui ho esercitato le funzioni in Calabria: credo che anche gli alberi, che riempiono le bellissime foreste della Calabria, hanno compreso gli esatti termini della mia vicenda".
Per chiedere la revisione del suo trasferimento serve qualcosa di nuovo e di eclatante. Potrebbero essere le novita' che arrivano dalla Procura di Salerno che indaga su quanti avrebbero ostacolato le sue inchieste? "

Domenico Rotundo, CALABRIA ESOTERICA, dai Pitagorici ai nostri giorni

Una nuova opera dello studioso calabrese, pubblicata dalle Edizioni Ursini di Catanzaro

CATANZARO - Calabrese di nascita, ma da anni residente a Veroli, dove insegna, Domenico Rotundo, dopo “Templari, misteri e cattedrali” (1983), “Nel segno di Sion” (2000), “Le origini calabre di San Tommaso d’Aquino” (2005), “L’alta finanza ebraica e le rivoluzioni” (2005), “Pelasgi calabri e pelasgi dalmati” (2007), solo per citare alcune delle sue numerose pubblicazioni, propone in questi giorni, sempre con i tipi delle Edizioni Ursini di Catanzaro, un’altra interessante opera dal titolo “Calabria esoterica: dai Pitagorici ai nostri giorni”.
“Abbiamo ritenuto opportuno pubblicare quest’opera sulla Calabria esoterica, scritta in buona parte circa venti anni fa, - afferma Rotundo - per rimarcare che non a caso erano calabresi i monaci che fondarono quell’Ordine di Sion che diede origine ai Templari. L’Ordine di Sion è addirittura documentato in Calabria anteriormente alla prima Crociata; nel libro viene, inoltre, fornito un quadro esauriente della presenza templare in provincia di Reggio Calabria e si evidenzia la parentela fra i Pelasgi calabri e quelli della Ciociaria, ma si documentano anche i rapporti fra Tommaso Campanella e l’Ordine di Sion, nonché il carattere solare-olimpico del Pitagorismo che si rifece alla primordiale Tradizione italico-atlantidea e i cui stretti legami con la cultura degli Ausoni, gli Esseni di Palestina, l’Ordine Carmelitano e la Tradizione romana, sono veramente sorprendenti”.
“La scienza-alchemica, - spiega Rotundo - come tutte le scienze iniziatiche tradizionali, si propone di utilizzare, le forze occulte dell’uomo e della natura al fine di reintegrare l’io nell’Assoluto, cioè nello stato metafisico originario da cui si è “caduti”. Condizione indispensabile per l’iniziazione è l’assoluta aspirazione, da parte dell’adepto, alla Trascendenza. È bene ricordare che fra gli alchimisti vi furono molti cattolici insigni come Raimondo Lullo, Alberto Magno, San Tommaso d’Aquino e, perfino, papi, come Silvestro II. Altri e non trascurabili motivi del silenzio iniziatico e dell’esposizione per simboli sono dovuti a ragioni interne e tecniche facilmente intuibili”.
Tra l’altro il pericolo di gravi scissioni della personalità o addirittura il pericolo di morte (perché bisogna percorrere coscientemente, in stati invisibili della natura corrispondenti ad altrettanti stati dell’inconscio, il cammino che l’anima dopo la morte percorre all’inizio in uno stato di deliquio) è, in mancanza di vocazioni libere ed eccezionali, un altro motivo dell’occultamento delle tecniche iniziatiche tradizionali”.
L’autore, con la serietà che da anni lo contraddistingue, ha saputo individuare gli elementi più significativi dell’esoterismo calabrese, proponendoli ai lettori e agli studiosi che ormai lo seguono con grande attenzione.
Numerosi suoi saggi sono, infatti, apparsi anche sulle riviste: Calabria Sconosciuta, Calabria Letteraria, Historica, Brutium, Lazio ieri e oggi, Calabria, Teretum, Potenza e carità di Dio, Graal, Vivarium, Talent Scout.

Ursini Edizioni
Domenico Rotundo, CALABRIA ESOTERICA, dai Pitagorici
ai nostri giorni
, Ursini Edizioni, pp. 176.

domenica 14 settembre 2008

Fini, Veltroni, Casini e la Repubblica di Salò

di Domenico Condito

Grazie al fascismo, il nostro paese è stato il principale alleato di Hitler e del nazismo, ovvero della più mostruosa forma di abiezione che l’umanità abbia mai espresso fin dalle sue origini. Un’ignominia intollerabile, affidata al giudizio severo della storia e di Dio. Non c’è ragione al mondo capace di giustificare un patto così scellerato. In quegli anni il mondo precipitò in un abisso di orrore e di morte, e il nostro paese fu complice di tutto questo. Basterebbe una conoscenza da scuola elementare della storia, perché tutto ciò risulti intollerabile alla coscienza di ogni italiano capace ancora di un minimo di senso etico e umanità. Eppure tanti, troppi, sono ancora i nostri connazionali incapaci di questa sana e ovvia consapevolezza della storia e della tragedia del nostro paese. Credo, però, che non si tratti solo di un limite intellettuale, ma che ciò sia l’espressione di una forma di degenerazione dello spirito, una sorta di malattia dell’anima, quella stessa che rese possibile l’orrore, e che potrebbe un giorno rinnovarne il suo potenziale di distruzione e di morte nel mondo: una cloaca immonda per coscienza, un masso al posto del cuore. E non è un giudizio, ma una diagnosi. Si, sono malati, forse intimamente pazzi, scissi, seppure apparentemente compensati in un ruolo sociale che li fa apparire normali, magari brutti e antipatici, ma normali. D'altronde qual è la logica “sana” di chi afferma che il male assoluto furono le leggi razziali e non il fascismo che le promulgò? Più che una elaborazione intellettuale, mi sembra la proiezione della profonda frattura di un pensiero malato. Eppure, di tanto in tanto, qualcuno riesce a rinsavire. ''Sicuramente ci sarà stato da parte di alcuni assoluta buona fede, ma è doveroso dire che non era equivalente stare da una parte o dall'altra. C'era chi combatteva dalla parte giusta, dalla parte della libertà, dell'uguaglianza e della giustizia sociale e chi stava dall'altra parte''. È quanto ha dichiarato ieri Gianfranco Fini, riferendosi alle polemiche scoppiate dopo le dichiarazioni di Ignazio La Russa e del Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sulla repubblica di Salò. Fini ha poi aggiunto che a Salò, fatta salva la buona fede di alcuni, si combatteva dalla parte sbagliata. Non si sono fatte attendere le reazioni degli altri leaders politici. Francamente inadeguato e privo di senso storico il commento di Walter Veltroni, pronto a celebrare il tardivo pronunciamento del Presidente della Camera “un grande passo avanti dopo le polemiche sollevate da alcuni esponenti del suo partito. Lasciatemi dire che si tratta di una evoluzione personale del presidente Fini”. Dopo sessant’anni? Mi è sembrata più lucida e ponderata l'analisi di Pier Ferdinando Casini, ieri alla Festa del suo partito a Chianciano Terme, e per una volta sento di poter condividere una sua opinione. Il fatto che “la cultura moderata espressa dall'Udc sia fuori dalla coalizione di governo è il segno di uno sbandamento che porta il presidente della Camera, di cui non dubito dell'onestà intellettuale, a precisare cose che in una democrazia matura non dovrebbero aver bisogno di precisazioni. Il fascismo è il fascismo - ha sottolineato Casini - il comunismo è il comunismo, la democrazia è un altro film, così vanno i tempi. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica che uno degli elementi fondanti della Repubblica è la lotta di liberazione, ma pensavamo di averlo imparato all'asilo della politica...". Secondo Casini "c'è un'ansia di revisionismo ed è la stessa che porta Sofri a dire che non è terrorismo il delitto Calabresi...". Comunque la si pensi sulle singole dichiarazioni, ciò che preoccupa maggiormente è lo squallore e la consistenza del dibattito politico su quella ch’è stata la più grande tragedia del secolo scorso: un vuoto di pensiero e di coscienza civile, spinto ai massimi livelli istituzionali, e sfociato nell’intollerabile provocazione del Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, durante le celebrazioni dell’8 settembre alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
Allarme, son fascisti...

Senza parole









sabato 13 settembre 2008

Libro di Caterina Pagano edito da Ursini: PODESTA’ DEL VENTENNIO FASCISTA nelle province di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia

Un volume che va a colmare alcune lacune della storiografia locale

LAMEZIA TERME - Dopo “Sant’Eufemia, vita breve di un comune” (1993) e “Joppolo e il suo circondario” (1997), Caterina Pagano, lametina, propone in questi giorni, per i tipi della casa editrice Ursini di Catanzaro, il volume “Podestà del ventennio fascista nelle province di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia”.
Già Archivista di Stato, Direttore Coordinatore, l’autrice ha collaborato a diversi convegni nazionali e internazionali organizzati dal Ministero per i beni e le Attività Culturali e alla stesura di tre volumi su Cropani.

“Questo nuovo volume che la casa editrice Ursini ha inserito nella sua più qualificata collana, - spiega Pagano - è nato dall’esigenza di colmare delle lacune nell’ambito della storiografia locale. La ricerca è relativa alla ex provincia di Catanzaro e, quindi, ai 154 Comuni che ne facevano parte (comprese le attuali province di Vibo Valentia e Crotone, all’epoca semplici Comuni) senza alcuna comparazione con altre realtà provinciali della Regione, data la particolare morfologia e la varietà delle condizioni della zona esaminata con le peculiarità geo - sociali che inconfondibilmente la distinguono”.
In quegli anni, molti notabili, seppure non animati da alcuna fede fascista, finirono per aderire al PNF, spesso anche con finalità estranee alle ideologie del partito.
“Nei piccoli centri - sottolinea Caterina Pagano - si era creato il partito del tale o del tal dei tali, e le lotte per il potere anziché attenuarsi degeneravano tra la famiglia che ambiva a dominare e quella dominante, con un alternarsi costante di denunce”.
Le cose non cambiarono nemmeno dopo il 1943, con la mutata situazione politica nazionale. Alla guida di molte amministrazioni comunali furono, infatti, confermati molti di coloro i quali già detenevano il potere, cosa che contrastava palesemente con le nuove norme per la scelta e l’individuazione della classe dirigente post-fascista.

venerdì 12 settembre 2008

Libro di Rosa Critelli, presidente Argessa-Cia: “L’OLIVO, FRUTTO PREZIOSO”

Un’opera di consultazione immediata, prima del genere nella nostra regione.

CATANZARO - L’attività di promozione dell’Associazione Regionale per la Gestione dei Servizi di Sviluppo Agricolo (Argessa), della Confederazione Italiana Agricoltori della Calabria, continua senza sosta e con ottimi risultati.
Dopo “Fare Agriturismo” (manuale per divulgatori e operatori), giunto alla terza edizione, “Norma fiscali per l’agriturismo”, “Strategie di qualità in agriturismo”, “Doc, Dop, Igp, Igt, made in Calabria”, “La qualità in agricoltura” e “Grano duro”, l’Argessa propone, sempre per i tipi delle
Edizioni Ursini di Catanzaro, un altro interessante volume dal titolo “L’olivo, frutto prezioso”, a cura di Rosa Critelli, presidente di “Turismo Verde Calabria” e componente della Presidenza regionale della Cia, destinato ai ragazzi delle scuole elementari e medie.
“Il testo, - commenta Ursini - realizzato a colori con illustrazioni originali di Alfredo Piacente, è il risultato di una miriade di attività didattiche realizzate dall’autrice in molte scuole della provincia, con la piena condivisione di dirigenti e insegnanti”.
L’importanza dell’olivicoltura e dell’olio d’oliva in Calabria non è sufficientemente riconosciuta e divulgata.
“Non si tratta soltanto di prendere atto del peso della filiera olivicolo-olearia per l’economia locale, - spiega Enzo Perri, direttore del Centro di ricerca per l’olivicoltura e l’industria olearia del CRA - ma di riconoscere il valore storico, culturale, sociale, ambientale e paesaggistico che questa coltura riveste per la nostra terra. Seconda regione olivicola Italiana, la Calabria è da millenni habitat privilegiato dell’olivo e non si può escludere che sia essa la vera patria della specie, considerati i risultati di recenti studi filogenetici basati sulla variabilità genetica valutata mediante l’analisi del polimorfismo del DNA”.
“Comunque sia, - aggiunge Perri - i frutti dell’olivo e dell’oleaster erano raccolti e lavorati per la produzione del prezioso olio sin dalla media età del bronzo, come testimoniano i dolii delle popolazioni enotrie ritrovati nel corso degli scavi in località Broglio di Trebisacce (CS), risalenti al XVII avanti Cristo. Più recentemente, non fu un caso che nel 1889 il Ministero dell’Agricoltura istituì a Palmi il Regio Frantoio Sperimentale e che, successivamente, nel 1967, fu istituito l’Istituto Sperimentale per l’Olivicoltura a Cosenza. Ancor più recentemente, la Calabria ha avuto l’onore di “tirare le fila” della ricerca scientifica lungo l’intera filiera grazie alla istituzione del Centro di ricerca”.
Il libro di Rosa Critelli, primo del genere nella nostra regione, è un’opera di consultazione immediata, ricca di illustrazioni, foto e figure che attraggono per la loro bellezza. Un testo semplice, essenziale, ma rigoroso, adatto per gli studenti ed i giovani che sono così orientati e facilitati verso un ulteriore approfondimento di questa importante risorsa dell’economia regionale.

mercoledì 10 settembre 2008

“Utopie Calabresi” sostiene l’Osservatorio per il decoro urbano di Catanzaro sulla salvaguardia dell’area archeologica di Germaneto

Perchè non si ripeta la vicenda di Santa Maria del Mare e di San Martino, a Stalettì, dove le Istituzioni, nei decenni passati, non impedirono la quasi totale distruzione della Scillacium cassiodorea, la cittadella medievale dove fu scritta una delle pagine più importanti della storia culturale e spirituale d’Europa.
L’intervento di Quirino Ledda, ex vice Presidente del Consiglio Regionale della Calabria.

di Domenico Condito

Stalettì (Catanzaro) avrebbe avuto uno sviluppo culturale ed economico di ben’altra importanza se, fra gli anni settanta e ottanta, il suo territorio non avesse subito una delle più vergognose e devastanti speculazioni edilizie della storia del nostro paese. Una colata di cemento immane che, in fasi diverse, ha quasi completamente distrutto il considerevole patrimonio archeologico del territorio, danneggiandone anche le splendide risorse paesaggistiche. Mi riferisco, in particolare, alla costruzione di un complesso turistico-residenziale in località Santa Maria del Mare, sull’area archeologica di Scillacium, la città monastica fondata da Flavio Magno Aurelio Cassiodoro nel VI secolo, e divenuta nei secoli successivi sede di una delle più importanti comunità bizantine della Calabria. Qui, le ruspe infami hanno distrutto uno dei patrimoni archeologici più importanti d’Europa, talvolta lavorando anche di notte con l’ausilio di gruppi elettrogeni, come quando si effettuò lo sbancamento per la realizzazione della piscina del villaggio. In quell’occasione, come risulta dalle pubblicazioni degli archeologi dell’École Française de Rome, fu sventrata l’antica necropoli bizantina: i resti di uomini antichi e sapienti, dediti allo studio, alla preghiera e alla composizione di preziosi codici miniati, furono trattati alla stregua di spazzatura, insieme ai rilevanti reperti archeologici che affioravano durante lo scavo. Una triste storia calabrese, dove sommamente invereconda e colpevole fu la latitanza, se non la collusione diretta, delle Istituzioni pubbliche deputate alla salvaguardia del territorio e delle sue risorse storiche, artistiche ed archeologiche. I lavori per la realizzazione del complesso si protrassero per diversi anni, in fasi successive. Ben tre furono le Amministrazioni Comunali che si succedettero in quel periodo. E queste non solo non si opposero allo scempio, ma fornirono anche il necessario supporto amministrativo e tecnico per l’espletamento della pratica edilizia. Agli atti del Comune di Stalettì esistono, inoltre, i nulla osta rilasciati dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici della Calabria, con sede a Cosenza, per la realizzazione dei lavori. Non furono invece richiesti i pareri della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria di Reggio, perché l’area interessata non era stata ancora sottoposta a vincolo archeologico. Quest’elemento, però, non giustifica il mancato intervento della Soprintendenza per i Beni Archeologici, ma costituisce, a mio parere, una pesante aggravante. Fin dagli anni trenta diversi e autorevoli studiosi avevano segnalato allo stesso Ente la rilevante importanza archeologica dell’area, identificandola insieme a quella di San Martino, poco distante, come “luogo cassiodoreo”: cito, fra tutti, l’Ispettore onorario Cesare Sinopoli nel 1931, Pierre Courcelle col Marrou nel 1938, ancora Courcelle negli anni cinquanta, e infine Emilia Zinzi con i suoi primi studi degli anni sessanta sui "luoghi cassiodorei". C’erano, insomma, tutti gli elementi e i riscontri tecnico-scientifici necessari per vincolare le aree interessate. La mancata adozione del provvedimento da parte dell’Autorità competente è stata un’omissione gravissima, colpevole e devastante per gli effetti che ha prodotto.
Tutti sapevano, nessuno è intervenuto, qualcuno era consapevolmente colluso. Non può essere altrimenti. I lavori, ripeto, sono stati realizzati nell’arco di diversi anni. Ci sarebbe stato tutto il tempo per bloccare la cementificazione e vincolare l’area. Ma i vincoli, purtroppo, per salvare ciò che è rimasto dei “luoghi cassiodorei”, sarebbero arrivati soltanto negli anni novanta, grazie all’azione pressante dell’Amministrazione Comunale del tempo, dov’ero presente come Consigliere comunale con delega alla Cultura e ai Beni Culturali. Operazioni analoghe a quella realizzata a Santa Maria del Mare, furono compiute anche nelle località di San Martino e Palombaro, sempre a Stalettì. Mi domando quale sia stato il ruolo della magistratura calabrese in quegli anni in relazione ai fatti descritti. La domanda è scontata e legittima, molto meno il silenzio assordante che tale interrogativo suscita in chi se lo pone.
Perché non abbiano a ripetersi vicende simili, “Utopie Calabresi”, in sintonia di vedute con Quirino Ledda, ex vice Presidente del Consiglio regionale della Calabria, sostiene la posizione dell'Osservatorio per il decoro urbano di Catanzaro, che chiede alla Soprintendenza Archeologica della Calabria precise garanzie per la tutela e la valorizzazione dell’area archeologica di Germaneto, venuta alla luce durante i lavori per la realizzazione della futura Cittadella Regionale. ''La posizione dell'Osservatorio per il decoro urbano di Catanzaro va sostenuta – afferma Quirino Ledda - affinchè le indagini archeologiche, in località Germaneto, siano serie e approfondite da parte della Soprintendenza, perchè i recenti scavi possono rivelarsi una scoperta importante, non solo per la nostra ricostruzione storica, ma anche per tutta l'area che va dal promontorio “Coscia” (a Stalettì – n.d.B), con i resti Cassiodorei, sino al parco archeologico di Roccelletta, che dista meno di due chilometri in linea d'aria dal luogo dei ritrovamenti. Credo che non destino meraviglia - continua Ledda - questo o altri giacimenti, che potrebbero essere scoperti, perché nella ultima guerra, aerei inglesi, nel fotografare il territorio di Catanzaro Lido, individuarono i resti di un molo antico sul Corace, il che fa dedurre che una parte fosse navigabile, permettendo a Scolacium di fornirsi e avere un traffico commerciale via mare. Questa volta bisogna evitare uno dei tanti rischi già avvenuti nel recente passato da parte delle Istituzioni, che, con il loro silenzio-assenso, hanno provocato danni incalcolabili ai nostri beni culturali, in nome dell'interesse economico. Lo scrittore americano William Faulkner disse «il passato non è mai morto, non è neanche passato». Queste parole - continua Ledda - raccolgono il senso dell'impegno che dobbiamo avere, affinchè la nostra Provincia non rinunci al patrimonio culturale di cui dispone, per rilanciarlo seriamente e renderlo fruibile a tutti coloro che ne sono interessati. La riduzione drastica delle spese in materia di Beni Culturali che il Governo ha deciso, ci deve stimolare affinchè gli Enti intermedi prevedano meno feste e più finanziamenti in questa direzione. Inoltre sarebbe interessante che la città capoluogo si facesse promotrice di un distretto culturale con i Comuni interessati, per creare una rete, un sistema che sappia rispondere alla nuova domanda di un turismo colto ed intelligente''.


Nella foto, Santa Maria del Mare, Stalettì: area archeologica del “castrum quod dicitur Scillacium” nel 1990. Dopo le gloriose campagne di scavi degli anni ottanta e novanta, a San Martino e a Santa Maria del Mare non si scava più. Il sito non è fruibile, e le stesse imponenti strutture, portate alla luce dagli archeologi dell’École Française de Rome, rischiano di andare perdute per sempre, se non si interviene con adeguate opere di risarcimento. Nella foto, a destra, la prof.ssa Ghislaine Noyé che, insieme al prof. François Bougard, ha curato le campagne di scavi sui “luoghi cassiodorei” di Stalettì. (Foto realizzata dal fotografo Antonio Froio di Stalettì).

Nella foto, un momento della “Giornata per i Beni Culturali”, Stalettì - 29 giugno 1990: Domenico Condito (a sinistra), all’epoca Consigliere comunale di Stalettì con delega alla Cultura e ai Beni Culturali, e l’on Quirino Ledda, allora vice Presidente del Consiglio Regionale della Calabria. (Foto realizzata dal fotografo Antonio Froio di Stalettì).
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