“L’uomo poeta di cui parliamo è caduto in un «antron» oscuro di una terra chiamata Calabria. Forse anche il toponimo non appartiene a questa «regione», o le deriva da altri luoghi. Le memorie tramandano che un tempo il suo nome era Enotria o Italia, terra di Enos o di Italo, del vino o del guerriero, dell’euforia o del moto, del ben sopportare la vita o del ben vivere la vicenda del mondo. Il mare la cinge: l’elemento liquido le è connaturato. Il toponimo varia: il «topos» dilegua nell’«onoma» inteso come «regione», ma anche come «cantare» e «recitare». L’apofonia muta il destino delle parole nel variare del suono, che, simile alla luce, cangia toni, accenti, fiati, illuminandoli e chiaroscurandoli, trasformandoli col proprio «tropos» e la propria «morphé». Del «luogo» non rimane che un’eco. La terra del Poeta del quale si parla è forse una thule misteriosa, o un «topos» mentale. La storia ci dice che il suo nome è «Magna Grecia». Ciò è certo; e il certo si converte nel vero. La civiltà dei portenti migrò su questa terra e la nomarono con lo stesso nome della «patria», e in essa trasmigrarono le «cose dei padri». Fu il «topos» ideale, l’«antron» che si fece «patria» simile alla propria «casa», il «topos» ignoto e bramato ove, pervenuti, si vive a proprio agio. I greci, qui giunti per varie loro vicende, vi portarono la nostalgia della «casa» lontana, ma da emigranti coscienti sentirono la forza e la potenza di ciò che portavano con sé . L’emigrato conserva e radica ancor di più i valori del proprio «mondo» originario. La sua cultura nella terra nuova si radicalizza e si affina: Dei e padri, casa e famiglia, usi e costumi assurgono a fondamenti vitali e si sprofondano in zone umorali. Se nella propria patria ogni cosa appare naturale, lontani da essa le medesime cose vengono sottoposte a ragione e a riflessione, ovvero si «misurano» per ristabilirne il «valore» nel fluire della vita, ovvero del «rhéin» del tempo: nel «ritmo» delle opere e dei giorni. La civiltà degli avi si fa divina e rinsalda i vincoli. I Greci attraversano l’Oceano e approdano sui lidi della «Terra del Mare» apparsa ai primi naviganti come un miraggio. Vi si fermano, fondano città, fanno proprio lo spazio e lo correlano intimamente a quello dei padri. I grandi insediamenti calamitano sempre l’attenzione: Taranto, Metaponto, Sibari, Crotone, Caulonia, Regio sono i centri polari della loro civiltà; ma lungo le coste i greci occupano ogni «punto», ricercano ogni angolo, si diffondono in ogni «dove». La «Terra del Mare» non pone loro resistenza; il toponimo di Metaponto diviene emblematico: il mare è solo un «ponte» da percorrere per raggiungere l’altra sponda dello spazio originario. Tutto accade nella maniera naturale e a compimento del Destino. Questa «Terra del Mare» era ugualmente greca. Lungo le rive i piccoli centri fioriscono, le piccole comunità vi si propagano, gli uomini e le donne si moltiplicano. La vita si vive «naturaliter».
Vien da supporre che i greci qui trovassero la loro patria «ideale», quella dei sogni sublimi, quella delle evasioni spirituali, quella della fondazione dei sistemi mentali. Pitagora ne è l’esponente più rappresentativo. La loro lingua si espande e penetra nella realtà quotidiana e nell’intelligenza del mondo. I conquistatori pare non debbano imporre né il loro linguaggio né le loro leggi. In questa acquorea «isola» i greci non trovano nemici da schiavizzare. I Bretti abitano sulle alture, lontani dai lidi, lontani dal mare; e le guerre con essi sono violente ma rare. La lingua greca nel volgere del tempo diviene il sostrato della civiltà reale e si protrae sino a oggi a livello popolare e dialettale. Ciò viene a significare che la civiltà greca si radica genuinamente nella Magna Grecia. Il «topos» si dilata sino a quasi scomparire nel mondo della visione”.
Vien da supporre che i greci qui trovassero la loro patria «ideale», quella dei sogni sublimi, quella delle evasioni spirituali, quella della fondazione dei sistemi mentali. Pitagora ne è l’esponente più rappresentativo. La loro lingua si espande e penetra nella realtà quotidiana e nell’intelligenza del mondo. I conquistatori pare non debbano imporre né il loro linguaggio né le loro leggi. In questa acquorea «isola» i greci non trovano nemici da schiavizzare. I Bretti abitano sulle alture, lontani dai lidi, lontani dal mare; e le guerre con essi sono violente ma rare. La lingua greca nel volgere del tempo diviene il sostrato della civiltà reale e si protrae sino a oggi a livello popolare e dialettale. Ciò viene a significare che la civiltà greca si radica genuinamente nella Magna Grecia. Il «topos» si dilata sino a quasi scomparire nel mondo della visione”.
Nicola Silvi
Estratto da: Nicola Silvi, Linguaggio del tempo-spazio nel "Poeticus" di R. Aloisi, Lacaita Editore, Manduria 1986, pp. 9-10.
Tutte le opere di Nicola Silvi sono diponibili alla consultazione presso la Biblioteca Comunale "Vivarium" di Stalettì (Catanzaro).
Antonio Nunziante, Mito infranto
Olio su tela, cm 40x50 (2000)
Collezione privata
In alto a sinistra, all'inizio della pagina: Antonio Nunziante, Dialoghi misteriosi - Olio su tela, cm 80x40 (2001) - Opera pubblicata in: Vittorio Sgarbi, Antonio Nunziante, Giorgio Corbelli Editore 2001, p.186.
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