martedì 29 giugno 2010

Sentenza di Palermo: Marcello Dell’Utri condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa

Adesso si dimetta dalla carica di senatore. La tutela della dignità e dell’onorabilità delle nostre Istituzioni non può aspettare la Corte di Cassazione. I tempi e le ragioni dell’etica pubblica e del “decoro” istituzionale prescindono da quelli della “verità giudiziaria”, e sono prioritarie rispetto ad essa.
.
Il senatore Marcello Dell'Utri (Pdl), l’uomo a cui il premier Silvio Berlusconi deve molto, forse troppo, è stato condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza è stata emessa dai giudici della Corte d'Appello di Palermo, che si era riunita in camera di consiglio giovedì scorso. Il procuratore generale Nino Gatto aveva chiesto la condanna per Dell'Utri a 11 anni di carcere. Il primo grado si concluse in tribunale l'11 dicembre 2004, con la condanna a nove anni.
Il processo in appello al senatore Dell'Utri ha avuto più di un colpo di scena. In particolare, il pentimento di Gaspare Spatuzza, il killer di Brancaccio e uomo di fiducia dei boss Graviano, il quale ha raccontato del ruolo che avrebbe svolto la mafia nelle stragi del 1993. Stragi che, secondo il pentito, sarebbero state finalizzate a favorire il passaggio politico e la vittoria della forza politica voluta da Berlusconi. Dell'Utri, però, è stato assolto per le vicende successive al 1992 perché il fatto non sussiste. Ciò suonerebbe come una sconfessione di Spatuzza, ma su questo punto bisognerà leggere le motivazioni della sentenza, per capire se i giudici della corte d'appello hanno valutato il pentito del tutto inattendibile, oppure se si sono limitati a ritenere il suo contributo non determinante, perché sulla trattativa politica-mafia avrebbe riferito solo quanto appreso da uno dei suoi capi, Giuseppe Graviano.

Adesso si dirà che anche per Dell’Utri vale la presunzione d’innocenza sancita dalla Costituzione Italiana, che all’articolo 27, comma 2, recita che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Bisogna però ricordare che i Costituenti introdussero tale principio, ancorando la presunzione di non colpevolezza al passaggio in giudicato della sentenza, “perché – come ha spiegato Gerardo D’Ambrosio - l’allora vigente codice Rocco del 1930 prevedeva un processo squisitamente inquisitorio in cui, l’esercizio del diritto di difesa era molto limitato, e non solo nella fase dell’istruttoria, ed era molto difficile, essendo la prova stata raccolta nel segreto dell’istruttoria, togliere il processo dai binari in cui era stato incardinato”.
Naturalmente rimane valido il principio costituzionale, ma dopo la sentenza di oggi, per il rispetto che lo stesso pluricondannato Dell’Utri deve alle Istituzioni, le sue dimissioni dalla carica di senatore s’impongono almeno per un fatto etico, oltre che “estetico”. Non è affatto “onorevole” che nel Senato della Repubblica sieda un pluricondannato per “concorso esterno in associazione mafiosa”. La credibilità delle nostre Istituzioni ne verrebbe senz’altro compromessa sia in Italia che all’estero. E questo a prescindere da quale possa essere l’esito del ricorso in Cassazione dell’amico e collaboratore del premier Silvio Berlusconi.

Non possiamo comunque dimenticare le parole che il procuratore generale Nino Gatto rivolse ai giudici del processo di Palermo nella sua requisitoria finale: «Non vorrei essere nei vostri panni – dichiarò il pg - dovete prendere una decisione che è veramente storica, non solo dal punto di vista della storia giudiziaria, ma che attiene alla storia del nostro Paese. Voi potete contribuire alla costruzione di un gradino, salito il quale forse, e ripeto forse, si potranno percorrere altri scalini che potranno fare accertare le responsabilità che hanno insanguinato il nostro Paese. Oppure lo potete distruggere questo gradino».

Forse un giorno sapremo se le dichiarazioni del pg siano realmente fondate nei fatti che hanno insanguinato la storia recente del nostro paese, e se la sentenza di Palermo avrà contribuito ad accertare le terribili responsabilità di quegli anni. Nel frattempo, si chieda a Dell’Utri di rinunciare ad ogni carica istituzionale. Perché varrà anche la presunzione d’innocenza fino alla sentenza definitiva, ma la tutela della dignità e dell’onorabilità delle nostre Istituzioni non può aspettare la Corte di Cassazione. I tempi e le ragioni dell’etica pubblica e del “decoro” istituzionale prescindono da quelli della “verità giudiziaria”, e sono prioritari rispetto ad essa.

L’Italia è una Repubblica di carta bagnata nel sangue. Tuteliamola e prendiamocene cura.

Domenico Condito


Rosa insanguinata

Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...