“Siamo governati da un tipo di anarchico che, arrivato al potere, ha provocato avvenimenti contrari alla natura del suo paese, alla sua tradizione, alla sua storia. Ha momenti di debolezza, e i cedimenti inconsulti dei violenti. Non tollera che si parli di altri, e vorrebbe il mondo concentrato su lui solo. Ha profondi abbattimenti. Ha creduto, e forse crede ancora, di non poter essere toccato dal destino, e forse di essere fisicamente immortale”.
Sono parole di Corrado Alvaro, scritte nel 1939, ma d’una stringente attualità. Un ritratto nel quale è possibile riconoscere tanto il duce di ieri, quanto la sua patetica “reinterpretazione” dei giorni nostri. Entrambi accomunati dal bisogno di circondarsi di falsi uomini, o controfigure di certe personalità: falsi uomini di affari, falsi poeti, falsi personaggi politici. Sono gli “attori della realtà”, chiamati a recitare la loro parte per compiacere servilmente lo sfoggio esibizionistico del loro capo e la sua ricerca maniacale di riconoscimento, adulazione, venerazione.
Questa degenerazione nevrotica e fallocratica dello Stato, dove il potere è posto al servizio delle labilità psicologiche di un solo individuo, è alla base dell’involgarimento e del declino in atto oggi nel nostro Paese. E’ il regime, l’oscuramento della “memoria”, l’esilio del Paese dal suo vero “luogo”, dove la civiltà del Rinascimento aveva indicato al mondo l’orizzonte della modernità. Un Paese ormai inconoscibile, scriverebbe Anna Maria Ortese, in cui la degradazione è la dea del momento.
Un fondamentale tratto distintivo di ogni regime fallocratico è l’atteggiamento sprezzante nei confronti dell’arte, della musica, del teatro e della letteratura, che sono la coscienza critica di un Paese, la sua riserva d’anima e bellezza. Ovvero, tutto ciò che il potere fallocratico e sfascista continua a mortificare e reprimere, sottraendo spazi e risorse alla creatività e al talento. In questa realtà desolante, può succedere di dover assistere all’orrore di un “giullare priapico” che indica al pubblico ludibrio uno scrittore, un giornalista o chiunque non lo serva con devota sottomissione. E’ lo stesso cialtrone che impone le proprie perversioni erotiche, ostentate nelle forme più volgari e ridanciane, nell’esercizio degradato del potere, nella selezione della classe dirigente. E’ il tradimento di quell’idea di “civiltà” alla quale abbiamo ancorato la nostra storia, ma dalla quale rischiamo di essere irrimediabilmente esclusi dalla fallocrazia “italica”, vera tragedia del nostro Paese.
Sono parole di Corrado Alvaro, scritte nel 1939, ma d’una stringente attualità. Un ritratto nel quale è possibile riconoscere tanto il duce di ieri, quanto la sua patetica “reinterpretazione” dei giorni nostri. Entrambi accomunati dal bisogno di circondarsi di falsi uomini, o controfigure di certe personalità: falsi uomini di affari, falsi poeti, falsi personaggi politici. Sono gli “attori della realtà”, chiamati a recitare la loro parte per compiacere servilmente lo sfoggio esibizionistico del loro capo e la sua ricerca maniacale di riconoscimento, adulazione, venerazione.
Questa degenerazione nevrotica e fallocratica dello Stato, dove il potere è posto al servizio delle labilità psicologiche di un solo individuo, è alla base dell’involgarimento e del declino in atto oggi nel nostro Paese. E’ il regime, l’oscuramento della “memoria”, l’esilio del Paese dal suo vero “luogo”, dove la civiltà del Rinascimento aveva indicato al mondo l’orizzonte della modernità. Un Paese ormai inconoscibile, scriverebbe Anna Maria Ortese, in cui la degradazione è la dea del momento.
Un fondamentale tratto distintivo di ogni regime fallocratico è l’atteggiamento sprezzante nei confronti dell’arte, della musica, del teatro e della letteratura, che sono la coscienza critica di un Paese, la sua riserva d’anima e bellezza. Ovvero, tutto ciò che il potere fallocratico e sfascista continua a mortificare e reprimere, sottraendo spazi e risorse alla creatività e al talento. In questa realtà desolante, può succedere di dover assistere all’orrore di un “giullare priapico” che indica al pubblico ludibrio uno scrittore, un giornalista o chiunque non lo serva con devota sottomissione. E’ lo stesso cialtrone che impone le proprie perversioni erotiche, ostentate nelle forme più volgari e ridanciane, nell’esercizio degradato del potere, nella selezione della classe dirigente. E’ il tradimento di quell’idea di “civiltà” alla quale abbiamo ancorato la nostra storia, ma dalla quale rischiamo di essere irrimediabilmente esclusi dalla fallocrazia “italica”, vera tragedia del nostro Paese.
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