Giusva Branca ha pubblicato ieri su www.strill.it un articolo dove, partendo dal "caso-Tricoli", sviluppa una riflessione attenta e lucida sui rapporti tra certa magistratura e torbidi ambienti politico-affaristico-imprenditoriali. Collusioni intollerabili in una società civile, che penalizzano fortemente la crescita della nostra regione. Riproponiamo l'articolo su "Utopie Calabresi".
Articolo di Giusva Branca, da www.strill.it - Dorina Bianchi si dice “perplessa e preoccupata”; Doris Lo Moro, magistrato, dice che il “caso-Tricoli” rappresenta la sconfitta di tutta la Calabria, e non sono i soli rappresentanti delle Istituzioni a manifestare sorpresa per il caso-Tricoli, che, a Crotone, ha scoperchiato l’ennesimo rapporto ambiguo tra impresa, criminalità e magistratura.
Bene, questi signori o mentono (ben sapendo di farlo) o vivono in un altro mondo.
Se la Calabria ha ancora un barlume di speranza questo passa attraverso la necessità di scrollarsi di dosso incrostazioni vecchie di decenni, zone grigie create ad arte nei lustri attraverso assi tanto occulti quanto robusti tra i veri esponenti della classe dirigente intesa in senso ampio.
La (falsa) sorpresa palesata nello scoprire i rapporti tra Vrenna e Tricoli fa il paio con quella – analoga – che scosse Catanzaro rispetto alla scoperta (sic!) dei fittissimi collegamenti intercorrenti tra politica e magistratura, nella fattispecie emersa dalle intercettazioni tra il Procuratore Capo pro tempore, Lombardi, ed il parlamentare, nonché avvocato, Pittelli.
Bene, se vogliamo continuare – tutti – a svolgere il nostro ruolo in questa rappresentazione di noi stessi (intesi come società calabrese) che sta rapidamente evolvendo dalla commedia al dramma passando per la farsa, siamo padroni di farlo, ma, altrimenti, è ora di dire le cose che, peraltro, quasi tutti sanno.
Per decenni il sistema di potere calabrese è passato anche attraverso la contiguità di rapporti, quasi sempre perfettamente leciti, ma altrettanto inequivocabilmente inopportuni, di alcuni magistrati con ambienti politico-affaristico-imprenditoriali che, a loro volta, troppo, troppo spesso, si sono dimostrati soltanto la testa di ponte, la camera di compensazione verso attività – quelle sì – dichiaratamente illecite portate avanti da gruppi criminali.
In troppi casi nelle città calabresi, per decenni e decenni, hanno sviluppato l’intera loro carriera magistrati nati e cresciuti sul posto, inevitabilmente amici, parenti, compagni di scuole o di università con persone che, poi, hanno preso altre strade, a loro volta troppo spesso intersecantesi, negli anni, sul piano professionale.
Eppure, se si fosse soltanto voluto, nei decenni, analizzare in maniera incrociata i rapporti di frequentazione, ma anche di veri e propri affari, spesso a nome di mogli, fratelli, etc. tra i rappresentanti dei sopra elencati quattro poli-cardine della società civile, non sarebbe stato difficile individuare quanto meno dei punti di partenza per meglio comprendere alcune dinamiche.
Continuiamo a dircelo con franchezza e chiarezza: per troppi anni i salotti ed i circoli di provincia calabresi hanno rappresentato una sorta di “zona franca extraterritoriale” dai contorni in origine – forse – netti ma che, nel tempo, chi ne aveva interesse ha fatto in fretta a fare diventare ambigui.
La qual cosa, nella maggior parte dei casi, dove non ha creato danni reali, ha, comunque alimentato chiacchiere, pettegolezzi, passaparola – devastanti in tutte le piccole comunità – che spesso hanno portato al danno più grande, pur se intangibile: la perdita di credibilità dei singoli e, conseguentemente, delle Istituzioni rappresentate. A maggior ragione se si tratta del potere giudiziario.
Eppure, il metodo per porre un freno, da almeno 40 anni, a questo tipo di degenerazione ci sarebbe anche stato: sarebbe bastato ruotare i magistrati nelle loro sedi di applicazione, così come avviene per i Prefetti, i Questori, soprattutto per evitare che, in maniera grossolanamente induttiva, ci andassero di mezzo, nella considerazione collettiva, anche coloro i quali – vivaddio la maggior parte – invece, si sono sempre mantenuti con le loro condotte specchiate, personali e professionali, al di sopra di ogni sospetto.
Perché se è vero, come è vero, che sulla moglie di Cesare non erano tollerati sospetti, è anche vero che qualcuno dovrà anche porsi il problema di chi controlli il controllore…
Bene, questi signori o mentono (ben sapendo di farlo) o vivono in un altro mondo.
Se la Calabria ha ancora un barlume di speranza questo passa attraverso la necessità di scrollarsi di dosso incrostazioni vecchie di decenni, zone grigie create ad arte nei lustri attraverso assi tanto occulti quanto robusti tra i veri esponenti della classe dirigente intesa in senso ampio.
La (falsa) sorpresa palesata nello scoprire i rapporti tra Vrenna e Tricoli fa il paio con quella – analoga – che scosse Catanzaro rispetto alla scoperta (sic!) dei fittissimi collegamenti intercorrenti tra politica e magistratura, nella fattispecie emersa dalle intercettazioni tra il Procuratore Capo pro tempore, Lombardi, ed il parlamentare, nonché avvocato, Pittelli.
Bene, se vogliamo continuare – tutti – a svolgere il nostro ruolo in questa rappresentazione di noi stessi (intesi come società calabrese) che sta rapidamente evolvendo dalla commedia al dramma passando per la farsa, siamo padroni di farlo, ma, altrimenti, è ora di dire le cose che, peraltro, quasi tutti sanno.
Per decenni il sistema di potere calabrese è passato anche attraverso la contiguità di rapporti, quasi sempre perfettamente leciti, ma altrettanto inequivocabilmente inopportuni, di alcuni magistrati con ambienti politico-affaristico-imprenditoriali che, a loro volta, troppo, troppo spesso, si sono dimostrati soltanto la testa di ponte, la camera di compensazione verso attività – quelle sì – dichiaratamente illecite portate avanti da gruppi criminali.
In troppi casi nelle città calabresi, per decenni e decenni, hanno sviluppato l’intera loro carriera magistrati nati e cresciuti sul posto, inevitabilmente amici, parenti, compagni di scuole o di università con persone che, poi, hanno preso altre strade, a loro volta troppo spesso intersecantesi, negli anni, sul piano professionale.
Eppure, se si fosse soltanto voluto, nei decenni, analizzare in maniera incrociata i rapporti di frequentazione, ma anche di veri e propri affari, spesso a nome di mogli, fratelli, etc. tra i rappresentanti dei sopra elencati quattro poli-cardine della società civile, non sarebbe stato difficile individuare quanto meno dei punti di partenza per meglio comprendere alcune dinamiche.
Continuiamo a dircelo con franchezza e chiarezza: per troppi anni i salotti ed i circoli di provincia calabresi hanno rappresentato una sorta di “zona franca extraterritoriale” dai contorni in origine – forse – netti ma che, nel tempo, chi ne aveva interesse ha fatto in fretta a fare diventare ambigui.
La qual cosa, nella maggior parte dei casi, dove non ha creato danni reali, ha, comunque alimentato chiacchiere, pettegolezzi, passaparola – devastanti in tutte le piccole comunità – che spesso hanno portato al danno più grande, pur se intangibile: la perdita di credibilità dei singoli e, conseguentemente, delle Istituzioni rappresentate. A maggior ragione se si tratta del potere giudiziario.
Eppure, il metodo per porre un freno, da almeno 40 anni, a questo tipo di degenerazione ci sarebbe anche stato: sarebbe bastato ruotare i magistrati nelle loro sedi di applicazione, così come avviene per i Prefetti, i Questori, soprattutto per evitare che, in maniera grossolanamente induttiva, ci andassero di mezzo, nella considerazione collettiva, anche coloro i quali – vivaddio la maggior parte – invece, si sono sempre mantenuti con le loro condotte specchiate, personali e professionali, al di sopra di ogni sospetto.
Perché se è vero, come è vero, che sulla moglie di Cesare non erano tollerati sospetti, è anche vero che qualcuno dovrà anche porsi il problema di chi controlli il controllore…
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