Un'iniziativa d'avanguardia per l'integrazione delle persone con disabilità, in una realtà sociale difficile.
25 agosto - 6 settembre
25 agosto - 6 settembre
di Domenico Condito
L’approccio alle problematiche delle “persone” con disabilità si è andato modificando profondamente nel corso degli ultimi decenni. Il rinnovamento pedagogico ha favorito il passaggio da un atteggiamento assistenziale e protezionistico, che garantiva la soddisfazione dei bisogni primari, alla promozione di una qualità della vita e di una realizzazione della “persona” con disabilità attenta e rispettosa del suo divenire biologico, psicologico ed esistenziale. Ma molto resta ancora da fare. La centralità della persona è un valore certamente acquisito a livello teorico, ma non sempre realizzato concretamente e in modo adeguato negli interventi a favore delle persone con disabilità. Ma esiste un luogo in Calabria, dove l’impegno a favore dell’integrazione delle persone con disabilità si colloca oltre il dire eccessivo e retorico, le buoni intenzioni e le vuote celebrazioni formali. Succede a Isola Capo Rizzuto (Crotone), dov’è stato concepito un progetto d’avanguardia, perché la parità dei diritti, la non emarginazione, l’integrazione sociale delle persone con disabilità si traducano in azioni concrete. Giusto ieri, nella sala del Palazzo Vescovile del Duomo di Isola, è stata presentata la “Mini Olimpiadi per disabili: lo sport come strumento di comunicazione fra il sé e l’altro”. L’iniziativa è promossa dall’ufficio progetti della “Misericordia di Isola”, in collaborazione con il gruppo dei giovani dell’Oratorio, e avrà la durata di 10 giorni, densi di attività motorie, teatrali, laboratori, giochi di abilità - orientamento. Una giornata, inoltre, sarà dedicata ad attività con i cavalli, spesso validi "collaboratori" di educatori, riabilitatori e terapeuti che si occupano di disabilità. Il progetto è patrocinato dalla Regione Calabria, dalla Provincia di Crotone e dall’Amministrazione Comunale di Isola Capo Rizzuto. Durante la presentazione dell’iniziativa, il parroco don Edoardo Scordio ha citato il brano del Vangelo di Marco (10, 46-52) relativo al “cieco di Gerico”, per riflettere sull’atteggiamento di solidarietà e di ascolto che Gesù manifestò nei confronti di una persona con disabilità, che nella cultura del tempo era, invece, considerato sinonimo di impurità e castigo di Dio.
“Ma i disabili non vogliono compassione da noi - ha affermato don Edoardo - perchè per tanti aspetti siamo noi ad essere più carenti di loro, sotto molti punti di vista”. Don Edoardo ha poi tracciato la differenza tra il concetto di solidarietà e quello di assistenzialismo. Quest’ultimo è stato definito “un brutto modo di aiutare gli altri, perchè promuove la cultura della diseducazione, così com’è accaduto ai cittadini di Isola, i quali si sono abituati a fare ciò che vogliono, con il conseguente risultato del mancato pagamento delle tasse, dell’abusivismo edilizio o delle lamentele per la crisi idrica, che non viene sopperita da atteggiamenti di responsabilità, studio e impegno nel provvedere personalmente alla risoluzione dei problemi. Questa è la vera disabilità”.
Ci colpiscono, e condividiamo pienamente, le riflessioni del parroco di Isola, capace di concepire, insieme ai suoi ragazzi, un progetto d’integrazione d’avanguardia, affidando ad esso un forte messaggio per il riscatto civile e morale dell’intera comunità. Quella di Isola, purtroppo, è una realtà “marchiata” da gravi contraddizioni sociali. La riaffermazione della centralità della persona e del suo valore etico, a partire dai soggetti più emarginati, ci sembra un modo utile, quanto coraggioso, per rilanciare quel territorio. Isola Capo Rizzuto potrebbe diventare in questo senso un esempio per la Calabria, che non sarà salvata dalla classe politica, ma solo da un profondo e radicale rinnovamento culturale e spirituale. Ma, si sa, un don Edoardo non fa primavera, e l’operato dei sacerdoti nelle nostre comunità non è sempre all’altezza della profonda crisi di valori che attraversa drammaticamente la nostra regione, anzi! Se dovesse continuare così, la crisi delle vocazioni potrebbe essere addirittura salutata come un fatto provvidenziale, il male minore, sempre che il laicato cattolico, sacerdozio regale, prenda maggiore coscienza della propria missione nella Chiesa e nel mondo. In fondo sarebbe come tornare alla Chiesa delle origini: “non abbiate paura”!
“Ma i disabili non vogliono compassione da noi - ha affermato don Edoardo - perchè per tanti aspetti siamo noi ad essere più carenti di loro, sotto molti punti di vista”. Don Edoardo ha poi tracciato la differenza tra il concetto di solidarietà e quello di assistenzialismo. Quest’ultimo è stato definito “un brutto modo di aiutare gli altri, perchè promuove la cultura della diseducazione, così com’è accaduto ai cittadini di Isola, i quali si sono abituati a fare ciò che vogliono, con il conseguente risultato del mancato pagamento delle tasse, dell’abusivismo edilizio o delle lamentele per la crisi idrica, che non viene sopperita da atteggiamenti di responsabilità, studio e impegno nel provvedere personalmente alla risoluzione dei problemi. Questa è la vera disabilità”.
Ci colpiscono, e condividiamo pienamente, le riflessioni del parroco di Isola, capace di concepire, insieme ai suoi ragazzi, un progetto d’integrazione d’avanguardia, affidando ad esso un forte messaggio per il riscatto civile e morale dell’intera comunità. Quella di Isola, purtroppo, è una realtà “marchiata” da gravi contraddizioni sociali. La riaffermazione della centralità della persona e del suo valore etico, a partire dai soggetti più emarginati, ci sembra un modo utile, quanto coraggioso, per rilanciare quel territorio. Isola Capo Rizzuto potrebbe diventare in questo senso un esempio per la Calabria, che non sarà salvata dalla classe politica, ma solo da un profondo e radicale rinnovamento culturale e spirituale. Ma, si sa, un don Edoardo non fa primavera, e l’operato dei sacerdoti nelle nostre comunità non è sempre all’altezza della profonda crisi di valori che attraversa drammaticamente la nostra regione, anzi! Se dovesse continuare così, la crisi delle vocazioni potrebbe essere addirittura salutata come un fatto provvidenziale, il male minore, sempre che il laicato cattolico, sacerdozio regale, prenda maggiore coscienza della propria missione nella Chiesa e nel mondo. In fondo sarebbe come tornare alla Chiesa delle origini: “non abbiate paura”!
Cieli e terra nuova...
Crediamoci!
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