Per Squillace come si è mosso?
“Nel caso specifico, il messaggio che scaturisce da un evento simile doveva arrivare ai destinatari con garbo e anche con una carica di riflessione che accompagnasse ancora qualche minuto, usciti dal museo, il pensiero dei visitatori. Pare che ci siamo riusciti”.
Cos’è che colpisce il visitatore?
“La sintesi espositiva, cioè il canale di trasmissione, gioca il ruolo fondamentale. Questa fase deve necessariamente essere testata (materiali scelti, dimensioni, colori, assemblaggi tecnici, ecc.); il risultato finale deve quasi sempre essere la conciliazione delle aspettative rilevate. In poche parole un linguaggio semplice che arrivi a tutti”.
E dei volti dei due individui?
“Le scelte, ovviamente, sono maturate da un gruppo di lavoro ben motivato. Ad esempio, la ricostruzione dei volti, eseguiti dal maestro scultore Gabriele Mallegni, che ha tradotto i dati scientifici dei punti anatomici dei crani forniti dal prof. Francesco Mallegni hanno rappresentato un’ineludibile testimonianza che doveva arricchire il contesto espositivo. I calchi, così come il restauro delle ossa, ed i pannelli descrittivi, hanno impegnato non poco: le scelte operate ci hanno premiato. Infatti, è stata raggiunta la sobrietà solenne del contesto che ci eravamo prefissati”.
Poca informazione promozionale è stata fatta, eppure è continua la presenza dei visitatori...
“Il luogo incantevole, il castello con i suoi ruderi e il contributo della cittadinanza sono l’ urlo di risonanza fatto dal silenzio e dall’orgoglio che si deve ai propri antenati: forse è questa la vera ricetta. E poi la Calabria e la sua gente bella ed estremamente sensibile”.
A quanto pare lei si intende di comunicazione?
“Ho avuto la fortuna di essere stato selezionato dal Ministero qualche anno fa per un perfezionamento in comunicazione pubblica svolto per due anni alla scuola superiore della Pubblica Amministrazione di Bologna. Tra gli argomenti trattati, alcuni affascinanti legati proprio al modo di fare informazione culturale”.
Delle esperienze passate che cosa l’ha colpita di più?
“Nel corso della mostra ‘Mater, incanto e disincanto d’amore’, tenutasi a Roma nel 2000, un alto prelato arrivò defilato con il suo autista, sostò nella sala dedicata all’abbandono dei bambini per più di un quarto d’ora, per allontanarsene commosso. La cosa mi colpì molto”.
Delle sue esperienze di lavoro, quali apprezzamenti le sembrano significativi?
“Alcune recensioni sull’Osservatore Romano, e sicuramente i complimenti di diverse note personalità”.
Come passa il tempo libero?
“Mi piacciono i film del dopoguerra, una miniera di informazioni su come eravamo, come erano i nostri luoghi, le nostre città, vere pagine di poesia universale, scritte dalla sofferenza. ‘Sciuscià’, che ebbi modo di commentare nel 2005 in una proiezione al Ministero dei Beni Culturali, descrive bene il mio intendimento”.

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