Intervista alla rete televisiva Abc: "La caccia alle armi di distruzione il più grande rammarico della mia presidenza".
di Domenico Condito
“Il nemico principale è nel nostro stesso paese”: con questa celebre frase, nel 1912, Karl Liebknecht si oppose alla partecipazione della Germania alla prima guerra mondiale.
Nel 1933, nelle sue Riflessioni sulla guerra, Simone Weil scriveva che tale frase acquista “tutto il suo significato, e si rivela applicabile a ogni guerra in cui i soldati sono ridotti allo stato di materia passiva in mano a un apparato militare e burocratico – vale a dire, fintanto che persisterà la tecnica attuale, a ogni guerra in senso assoluto”.
“Allo stesso modo – scriveva ancora la Weil - la guerra, ai giorni nostri, si definisce in quanto subordinazione dei combattenti agli strumenti di combattimento; e gli armamenti, veri eroi delle guerre moderne, sono, al pari degli uomini consacrati al loro servizio, retti da coloro che non combattono. E poiché questo apparato dirigente non ha altro modo di sconfiggere il nemico che costringere i propri soldati ad andare incontro alla morte, la guerra di uno Stato contro un altro Stato si trasforma in guerra dell’apparato statale e militare contro il proprio esercito”.
E’ per questo che Simone Weil definiva un “grande errore… considerare la guerra come un episodio di politica estera, mentre costituisce innanzitutto un fatto di politica interna – e il più atroce di tutti. Qui il punto non sono riflessioni sentimentali o un rispetto superstizioso della vita umana, ma un’osservazione molto semplice: che il massacro è la forma più radicale di oppressione, e I SOLDATI NON SI ESPONGONO ALLA MORTE, MA SONO MANDATI AL MASSACRO”.
A maggior ragione, aggiungo, se la guerra è decisa sulla base di un ERRORE TRAGICO QUANTO COLPEVOLE.
Tali considerazioni rispecchiano perfettamente la storia della guerra in Iraq, e il presidente George Bush può essere definito, a ragion veduta, il principale nemico del suo Paese.
E’ possibile trarre queste conclusioni sulle base delle affermazioni gravissime rilasciate da Bush alla rete televisiva Abc, dove lo stesso ha ammesso che la caccia alle armi di distruzione di massa in Iraq è risultata viziata da informazioni di intelligence infondate. E’ "il più grande rammarico della mia presidenza", ha affermato il presidente americano uscente. "Un sacco di persone - ha detto Bush durante l'intervista che la Abc ha realizzato nella residenza presidenziale di Camp David - avevano messo in gioco la loro reputazione, dicendo che le armi di distruzione di massa erano una ragione per rimuovere Saddam Hussein". Il presidente americano ha evitato però di rispondere alla domanda se avrebbe lanciato o meno l'invasione dell'Iraq, sapendo quello che sa adesso.
LA GUERRA IN IRAQ? UN TRAGICO ERRORE, dunque, e a trarre questa conclusione è proprio il suo principale sostenitore: George W. Bush.
Oggi sappiamo con certezza che le decine di migliaia di morti ammazzati, più di 1 trilione di dollari bruciati, la crisi economica che sta sconvolgendo il mondo intero sono solo le tragiche conseguenze di un DELIRIO spacciato per anni come una GIUSTA CAUSA per la quale morire e massacrare migliaia di vittime innocenti: in Iraq non c’erano armi di distruzione di massa capaci di minacciare la sicurezza dell’Occidente, al punto da giustificare una guerra contro quel Paese.
Ma non ci sarà nessuna Alta Corte che giudicherà per questo il presidente Bush e i suoi collaboratori per CRIMINI CONTRO L’UMANITA’, così come resteranno impuniti i Governi occidentali che hanno sostenuto l’intera operazione.
Nel 1933, nelle sue Riflessioni sulla guerra, Simone Weil scriveva che tale frase acquista “tutto il suo significato, e si rivela applicabile a ogni guerra in cui i soldati sono ridotti allo stato di materia passiva in mano a un apparato militare e burocratico – vale a dire, fintanto che persisterà la tecnica attuale, a ogni guerra in senso assoluto”.
“Allo stesso modo – scriveva ancora la Weil - la guerra, ai giorni nostri, si definisce in quanto subordinazione dei combattenti agli strumenti di combattimento; e gli armamenti, veri eroi delle guerre moderne, sono, al pari degli uomini consacrati al loro servizio, retti da coloro che non combattono. E poiché questo apparato dirigente non ha altro modo di sconfiggere il nemico che costringere i propri soldati ad andare incontro alla morte, la guerra di uno Stato contro un altro Stato si trasforma in guerra dell’apparato statale e militare contro il proprio esercito”.
E’ per questo che Simone Weil definiva un “grande errore… considerare la guerra come un episodio di politica estera, mentre costituisce innanzitutto un fatto di politica interna – e il più atroce di tutti. Qui il punto non sono riflessioni sentimentali o un rispetto superstizioso della vita umana, ma un’osservazione molto semplice: che il massacro è la forma più radicale di oppressione, e I SOLDATI NON SI ESPONGONO ALLA MORTE, MA SONO MANDATI AL MASSACRO”.
A maggior ragione, aggiungo, se la guerra è decisa sulla base di un ERRORE TRAGICO QUANTO COLPEVOLE.
Tali considerazioni rispecchiano perfettamente la storia della guerra in Iraq, e il presidente George Bush può essere definito, a ragion veduta, il principale nemico del suo Paese.
E’ possibile trarre queste conclusioni sulle base delle affermazioni gravissime rilasciate da Bush alla rete televisiva Abc, dove lo stesso ha ammesso che la caccia alle armi di distruzione di massa in Iraq è risultata viziata da informazioni di intelligence infondate. E’ "il più grande rammarico della mia presidenza", ha affermato il presidente americano uscente. "Un sacco di persone - ha detto Bush durante l'intervista che la Abc ha realizzato nella residenza presidenziale di Camp David - avevano messo in gioco la loro reputazione, dicendo che le armi di distruzione di massa erano una ragione per rimuovere Saddam Hussein". Il presidente americano ha evitato però di rispondere alla domanda se avrebbe lanciato o meno l'invasione dell'Iraq, sapendo quello che sa adesso.
LA GUERRA IN IRAQ? UN TRAGICO ERRORE, dunque, e a trarre questa conclusione è proprio il suo principale sostenitore: George W. Bush.
Oggi sappiamo con certezza che le decine di migliaia di morti ammazzati, più di 1 trilione di dollari bruciati, la crisi economica che sta sconvolgendo il mondo intero sono solo le tragiche conseguenze di un DELIRIO spacciato per anni come una GIUSTA CAUSA per la quale morire e massacrare migliaia di vittime innocenti: in Iraq non c’erano armi di distruzione di massa capaci di minacciare la sicurezza dell’Occidente, al punto da giustificare una guerra contro quel Paese.
Ma non ci sarà nessuna Alta Corte che giudicherà per questo il presidente Bush e i suoi collaboratori per CRIMINI CONTRO L’UMANITA’, così come resteranno impuniti i Governi occidentali che hanno sostenuto l’intera operazione.
Il Governo italiano, presieduto da Silvio Berlusconi, fu il principale sostenitore in Europa della posizione americana sull’Iraq, ma non avrà nulla da temere dalla confessione del presidente-guerrafondaio George W. Bush. Il nostro Paese ha perso da tempo la capacità d’indignarsi e di chiedere conto ai propri governanti delle loro malefatte.
Il ridente e giulivo Cavaliere di Arcore potrà dormire sonni tranquilli, né saranno i rimorsi di coscienza a turbare le sue giornate. La gestione del patrimonio di famiglia richiede mente lucida e nervi saldi, soprattutto in tempo di crisi, e sarebbe inutilmente dispendioso piangere sul “latte” versato, anche se questo appare venato di rosso, il colore del sacrificio per alcuni, quello della vergogna per altri: il SACRIFICIO dei caduti e la VERGOGNA di coloro che li mandarono a servire un'operazione inutile e ingiusta.
In questo momento, il ricordo commosso del Paese vada ai MARTIRI DI NASSYRIA, morti da EROI nella certezza di servire una giusta e nobile causa, ma finiti in Iraq per una guerra sbagliata.
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