giovedì 4 settembre 2008

Chi salverà la Calabria?

Non la salverà la classe politica, moralmente e culturalmente inadeguata a determinare il riscatto della nostra regione. Serve un profondo e radicale rinnovamento del senso etico e civile dell’intera società calabrese, la generale riappropriazione dei grandi valori culturali della nostra storia e della nostra tradizione.

di Domenico Condito

Non sarà la classe politica a salvare la Calabria. È culturalmente e moralmente inadeguata, nel suo complesso, a determinare il riscatto della regione. E la rinascita calabrese non è solo una questione politica o economica. Il nostro dramma è dato dallo sconcertante e generale degrado etico che sta avvelenando la nostra Terra. L’ultima notizia è di questi giorni: schiavismo in Calabria, sei indiani costretti alla schiavitù all’interno di un circo dove lavoravano da due anni, e uno di loro era morto nei mesi scorsi in un incidente sul lavoro, mentre il circo si trovava in Lazio. Ma la nostra regione non è nuova a questa vergognosa forma d’inciviltà e infamia. Solo l’anno scorso venivano denunciate le dure condizioni di vita degli immigrati che lavoravano nei campi della Piana di Gioia Tauro, schiavizzati dalla ’ndrangheta nella raccolta di agrumi. Per non parlare delle indagini della Procura di Catanzaro, che aveva scoperto un traffico di esseri umani ridotti in schiavitù, arrestando 31 uomini appartenenti ad una organizzazione internazionale di eritrei e marocchini, che gestiva gli sbarchi illegali e le fughe di extracomunitari dai centri di accoglienza. Un malaffare internazionale che non sarebbe possibile senza le necessarie complicità «nostrane» e l’esistenza di una consistente «domanda» regionale, capace di alimentare questo vergognoso mercimonio di uomini. È l’ultima frontiera del degrado etico della regione. Come se non bastasse tutto il resto: la ’ndrangheta; una classe politica ch’è sinonimo di corruzione e inefficienza; casi di magistrati collusi con la malavita; l’imprenditoria selvaggia - che dopo le devastazioni dei decenni passati continua indisturbata a fare scempio del nostro territorio, grazie all’«adeguamento» ad hoc dei piani regolatori in molti comuni calabresi; la mala-sanità che uccide, ed è cronaca degli ultimi mesi; il lavoro negato; l’usura, ormai vera sciagura sociale; e l’elenco delle nostre abiezioni sociali potrebbe continuare.
Mi domando se tutto ciò si sarebbe potuto verificare in una società mediamente sana, provvista dei necessari anticorpi morali per contrastare il cancro che la sta devastando, o se l’«emergenza Calabria» non sia l’espressione di una più generale compromissione etica della società calabrese. Non è necessario essere direttamente collusi con l’illegalità e il malaffare per favorire la catastrofe sociale che ci sta divorando. Piccoli accomodamenti qua e là, qualche compromesso, atteggiamenti rinunciatari - e magari per quieto vivere, bisogno, paura, o senso di impotenza - finiscono per generare quella sorte di «pigrizia morale» collettiva, che poi è l’humus ideale per il proliferare dei mali che affliggono la nostra regione. È la peggiore delle dominazioni che la Calabria abbia mai subito nel corso dei secoli: quella messa in atto dagli stessi calabresi, vittime-artefici delle «mostruosità» che essi stessi hanno contribuito a generare, con atteggiamenti troppo spesso accomodanti e rinunciatari, se non direttamente collusivi.

Il 6 ottobre 2002, alla chiusura dell'Anno Bruniano, nel IX Centenario della morte del fondatore dei Certosini, i vescovi calabresi indirizzavano una Lettera alle nostre Chiese di Calabria contro la 'ndrangheta e il degrado morale della regione. In essa si legge che “la mafia sta prepotentemente rialzando la testa. E di fronte a questo pericolo, si sta purtroppo abbassando l’attenzione. Il male viene ingoiato. Non si reagisce. Non c’è società civile, fa fatica a scuotersi. E’ chiaro per tutti il giogo che ci opprime. Le analisi sono lucide ma non efficaci. Si è consapevoli, ma non protagonisti! La mafiosità, poi, è ancora più pericolosa della mafia stessa. Perché si insinua tra le pieghe delle istituzioni, diventa facile accomodamento, addirittura in certi casi si trasforma in comoda autogiustificazione (poiché c’è la mafia, è inutile operare, inutile investire, inutile cambiare e vano è restare per cambiare la nostra terra!). L’usura spoglia e depaupera tante attività e getta nella paura numerose famiglie. Gli usurai si fanno sempre più prepotenti, arroganti. Non hanno paura a farsi notare. Spudorati, e pur tuttavia spesso impuniti! E allora, perché non ci diamo strumenti moderni ed efficienti per fronteggiarli? (…) Gli stessi percorsi di legalità non creano ancora una cultura ed una forza adeguata. Occorre infatti riempire la legalità con contenuti precisi di giustizia. La legalità da sola non basta più. (…) Si sta ingenerando un terribile principio negativo: l’appartenenza a certe forze politiche prevale sulla competenza per il ruolo che si è chiamati a svolgere! L’appartenenza più della competenza: allora diventa inutile studiare, essere qualificati e ben preparati, specializzarsi. Tutto si svuota. E’ quel vuoto di etica che sopra abbiamo chiesto alle nostre chiese e alla società civile di colmare, perché siano scuole di etica per ogni uomo di buona volontà”. In un altro passaggio del documento dei Vescovi calabresi, capaci anche di una severa autocritica, leggiamo che “in questo contesto, è decisiva una più coraggiosa progettualità nelle nostre Parrocchie, perché è nell’interno della comunità cristiane che maturano le risposte adeguate ai drammi della nostra terra. Ma si richiede più discernimento, più profondità nei Consigli Pastorali, perché siano vigili e sappiano dare, al momento giusto, suggerimenti veri ed adeguati per educare l’intera comunità ed il paese. Abbiamo perciò bisogno di Preti profondi, più coraggiosi e più uniti, pieni di progettualità e speranza, nelle omelie propositivi e rispettosi di tutti, ma insieme chiari nella forza interiore, esempi luminosi di vita spirituale”.

Sono parole di ieri, ma d’una drammatica attualità. La soluzione all’«emergenza Calabria»? Un profondo rinnovamento etico e culturale della nostra società, che chiami in causa, in vario modo, ogni calabrese di buona volontà. Solo una società ricostruita radicalmente nel proprio sentire etico e civile, sarà in grado, fra l’altro, di esprimere una classe politica degna di questo nome. Oggi la politica calabrese è inadeguata, perché collusa fortemente con la cosiddetta «società civile»: quanti politici calabresi sarebbero eletti, se non si prestassero al gioco perverso delle clientele e del voto di scambio? L’unica via di riscatto rimane quella del rinnovamento culturale, ch’è soprattutto riappropriazione dei grandi valori etici della nostra storia e della nostra tradizione. Per non morire, per non diventare l’abiezione dell’intero paese.

Questo è il momento della rivolta morale. Non abbiamo altra scelta. Crediamoci.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Credere, sperare, lottare e rimboccarsi le maniche perchè la società possa funzionare, perchè vi sia rispetto della vita.

Sfruttare non è accogliere gli extracomunitari, prendere manovalanza a buon mercato è solo allargare delle piaghe e non ha senso la guerra tra poveri.

Le istituzioni se colluse non possono che chiudere un occhio, sacrificando chi davvero volesse operare per la rinascita della regione.

Si deve portare consapevolezza circa i valori che sono in gioco in Calabria, saper rilanciare le risorse e l'immagine culturale e storica della regione.

Qualcosa si sta muovendo, tutti dobbiamo scuoterci di dosso il torpore e cooperare affinchè si possa essere capaci di migliorare di giorno in giorno.

Amare questa terra è impegnarsi perchè possa aprire le porte ad un vivere civile, dove ogni persona deve essere chiaro esempio di etica e civiltà.

Un sorriso
Daniela

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