di Pancho Pardi - 1 novembre 2008
In un contesto segnato dalla presenza alla guida del governo del titolare della tessera 1816 della Loggia massonica P2 non può essere considerato strano che a Licio Gelli, Maestro venerabile di quella stessa Loggia, venga data la conduzione di un programma televisivo, sia pure su una rete minore. Venerabile Italia è il suo titolo allusivo.
Può essere perfino manifestazione di understatement. Con ciò che sa di molti protagonisti della politica italiana potrebbe forse pretendere di più. Invece, dopo vicende giudiziarie che avrebbero potuto ridurlo almeno al silenzio e che invece pare si sia scrollato di dosso, si è accontentato per qualche anno di inseguire il riconoscimento pubblico di uno status da poeta laureato, molto pubblicato (si ignora quanto letto) e addirittura archiviato. E ora si accontenta di una presenza su una rete minore.
E’ il profeta riconosciuto del “Piano di rinascita democratica” che prevedeva l’annichilimento della Rai (per controllare il potere bisogna prima prendere la TV), la museruola alla magistratura, la riduzione del Parlamento a pura cornice del presidenzialismo. Disegno perseguito da tempo dal titolare della tessera 1816. Licio Gelli ne rivendica con pieno diritto il copyright e, bontà sua, ne ritiene possibile l’attuazione solo da parte del suo tesserato 1816. Mostra così la fatalistica magnanimità che si addice a un novantenne che rinuncia alla prospettiva di centoventi anni di vita cui aspira invece senza perplessità il suo storico tesserato (ormai nel cerchio della televisione tutto è, senza rimedio alcuno, storia).
La prima uscita del Venerabile è perfettamente adeguata alla sua cognizione degli arcana imperii: le stragi ci sono sempre state. La butta lì come una chiacchiera in treno: le stragi banali come incidenti stradali. Ma la banalità della strage non gli basta. Sarebbe troppo poco. “Le stragi ci sono sempre state e sempre ci saranno (attenzione! ndr) perché non c’è ordine. Prima del 1960 non c’erano perché il popolo era uscito dalla dittatura del fascismo che aveva abituato la gente a lavorare senza scioperare. Ora il terreno è fertile per la rinascita delle BR. E se torneranno le BR ci saranno altre stragi”.
E’ difficile immaginare tante mistificazioni una dietro l’altra. La strage di Portella della Ginestra precede di parecchio gli anni sessanta. La relazione tra le stragi mancate e l’obbedienza dei lavoratori presuppone che se i lavoratori fossero disubbidienti ci sarebbero, oltre gli scioperi, le stragi. Falsità sistematiche: le stragi di piazza Fontana, di Piazza della Loggia a Brescia, dell’Italicus precedono la comparsa delle BR.
Falsità a parte, il principio è chiaro: più disciplina. Con un corollario imperioso: se non c’è disciplina ci sono le stragi. Difficile considerarlo un tema teorico: l’Italia è l’unica democrazia che ha avuto per decenni in Parlamento una Commissione stragi. La preoccupazione aumenta a vedere come il tema venga posto all’ordine del giorno: perfino per giustificare la riformetta Gelmini l’obbiettivo invocato è la restaurazione del principio di autorità. Si resta interdetti: possono individui privi di qualsiasi autorevolezza pretendere autorità?
Qui gli esperti stagionati della politica italiana e delle sue infinite tristezze sdrammatizzano: perché prendere sul serio le farneticazioni di un vecchio arnese dei servizi (intesi come Servizi Segreti Deviati)? Rispondere? Mettersi al suo livello? In una parola, diminuirsi?
Nelle stanze della politica la domanda ha un suo opaco realismo. Lo stesso realismo rassegnato prende atto senza reazioni dell’intervista del presidente emerito Cossiga di una settimana fa: infiltrare le manifestazione studentesche con provocatori pronti a tutto e poi, risparmiando i piccoli perché è controproducente, picchiare studenti universitari e professori, anzi soprattutto i professori. E le sirene delle ambulanze prevalgano sulle sirene delle camionette.
Per il momento ci si limita, per buone maniere, a una sola domanda: il presidente Scalfaro, il presidente Ciampi avrebbero mai potuto pronunciare una frase simile?
Il presidente della repubblica è, per dettato costituzionale, politicamente irresponsabile. Ma il dettato va inteso in senso molto ristretto: non ha responsabilità politiche ma solo istituzionali. Perché un solo presidente emerito deve dilatare il senso di quella irresponsabilità alla sua condizione di senatore a vita? Ai senatori a vita niente concede di essere irresponsabili. Tantomeno Gladio.
Tratto da: MicroMega
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